Body Circus
La mostra affronterà uno dei temi più stringenti e ostici della realtà contemporanea: il corpo, col suo uso e il suo abuso, oggetto e soggetto di narrazione, particolarmente venerato dagli artisti di questi ultimi anni e, soprattutto, da quelli delle ultime generazioni.
Comunicato stampa
Verrà inaugurata venerdì 6 giugno presso la Pinacoteca comunale Carlo Contini di Oristano la mostra BODY CIRCUS con la partecipazione di venti artisti, sardi, nazionali e internazionali. La mostra, aperta fino al 19 luglio, affronterà uno dei temi più stringenti e ostici della realtà contemporanea: il corpo, col suo uso e il suo abuso, oggetto e soggetto di narrazione, particolarmente venerato dagli artisti di questi ultimi anni e, soprattutto, da quelli delle ultime generazioni.
Interessante, stimolante e utile, sarà verificare tangenze e differenze tra la produzione di alcuni giovani artisti isolani e altri operanti in realtà più strutturate, sia nazionali sia internazionali. Il nuovo progetto espositivo, prodotto dalla Pinacoteca Comunale Carlo Contini e dall’Associazione artistica ASKOSARTE, col patrocino della Fondazione Banco di Sardegna, è curato da Chiara Schirru e da Ivo Serafino Fenu mentre le opere pittoriche, plastiche, fotografiche, installative e video sono firmate da Karin Andersen, Juha Arvid Helminen, Lidia Bachis, Benedetta Bonichi, Gianni Casagrande, Daniele Cascone, Marianna Di Palma, Daria Endresen, Matteo Farolfi, Massimo Festi, Gavino Ganau, Kyrahm e Julius Kaiser, Daniela e Francesca Manca, Moju Manuli, Michele Mereu, Sergio Padovani, Josephine Sassu, Giorgia Vlassich.
Dell’ostensione e dell’ostentazione del corpo l’arte contemporanea ha fatto vangelo. Almeno per una parte significativa e in certi momenti dominante, il corpo è stato e continua a essere il luogo privilegiato, il Sancta Sanctorum del conflitto. Corpo, dunque, come sede del controllo sociale e della repressione, corpo come “carnaio di segni”, come lo definisce Foucault e, per l’arte contemporanea, segno per antonomasia. BODY CIRCUS è questo. Spettacolo di provocazione, di scarnificazioni, menomazioni ed erotismo, che non vuole spettatori, ma esige testimoni e complici, in cui gli artisti si violentano e auto torturano, lacrimano sangue, si fanno appendere con delle catene agganciate alla schiena, fondendo reale e surreale tra voyerismo ed esibizionismo. Esasperazione dettata dalla moda, roba per fuorviati e guardoni o, piuttosto, ricerca di un’identità non omologata al sistema, antidoto al declino, trasgressione volta a sovvertire le convinzioni in materia d’espressione artistica? O, piuttosto, l’ennesimo sberleffo dell’arte contro una contemporaneità malata e della cui malattia anch’essa è, al contempo, testimone e complice?