Bojadzi | Macchi | Mezzaqui
Galleria Continua inaugura nella sua sede di San Gimignano 3 nuove mostre personali.
Comunicato stampa
BARBANA BOJADZI
Monades
Inaugurazione sabato 14 settembre 2024 via del Castello 11, dalle ore 18.00 alle ore 24.00
Fino al 26 gennaio 2025, da lunedì a domenica 10/13 - 14/19; dal 3 novembre da lunedì a domenica 10/13 - 14/18
GALLERIA CONTINUA è lieta di presentare, nel suo spazio di San Gimignano, Barbana Bojadzi. Nata nel 1996 si è diplomata all’École des Beaux-Arts di Parigi nel 2021, lo stesso anno in cui ha ricevuto il Premio Khalil de Chazournes, prima di tornare a Provins, dove attualmente vive e lavora. Nel 2023 l’artista si è ulteriormente distinta vincendo il premio Sisley Beaux-Arts de Paris per la Giovane Creazione. “Monades” segna la sua prima mostra personale in Italia, offrendo uno sguardo su un anno di profonda evoluzione artistica attraverso una serie di dipinti recenti, la maggior parte dei quali realizzati appositamente per questa esposizione.
I dipinti Barbana Bojadzi nascono da un abile accumulo di strati di colore applicati su pannelli solitamente utilizzati per la costruzione e la ristrutturazione. Introdotta a questo materiale da bambina, osservando il lavoro del padre, è nato in lei il desiderio di sperimentare, sovvertendo l’approccio tradizionale della pittura su pannelli di legno. Durevoli e versatili, questi pannelli le offrono la libertà creativa di riproporre il suo lavoro indefinitamente; recuperando ulteriori scarti di costruzione o rielaborando le sue opere precedenti, creando palinsesti astratti e promuovendo un processo continuo di evoluzione che è al centro della sua pratica. L’artista concepisce la pittura come una ricerca infinita di profondità e un’accordatura di energie che, insieme, infondono vita a un soggetto in un determinato spazio-tempo. Il titolo della mostra si riferisce al concetto filosofico di Monade che, nel suo senso pitagorico, rappresenta il concetto dell’Uno, l’origine di tutte le cose. Una Monade è l’unità più elementare e indivisibile dell’esistenza e, allo stesso tempo, racchiude l’intero universo al suo interno. È la fonte da cui emergono tutti i numeri, le forme e le entità, simboleggiando l’unità, la totalità e il principio dell’unità nel cosmo. Il lavoro di Barbana Bojadzi indaga la condizione che esiste nella transizione tra il nulla e questa materia di base ma onnicomprensiva, operando nel passaggio dallo zero all’uno.
Questa mostra documenta un momento cruciale di evoluzione nella pratica dell’artista. Allontanandosi gradualmente dalla mineralità e dalla ricerca di texture estreme che caratterizzavano i suoi primi lavori, Bojadzi ha iniziato a sperimentare sfumature e gradazioni, tendendo verso ciò che potrebbe essere definita un’astrazione organica. Dai suoi anni di ricerca sull’essenza dei materiali e dei colori, che cataloga metodicamente con rigore scientifico, l’artista ha creato una collezione di texture che dispone, fonde o contrasta alla ricerca di un’armonia naturale. Approccia queste nuove composizioni come spazi aperti nei quali la libertà di gesto, unita a una conoscenza viscerale dei materiali, genera flussi vividi di energia – a volte complementari, a volte antagonisti – consentendo allo spettatore di percepire istintivamente l’essenza del soggetto indagato. In Soleil II (Phase II), l’artista dona tattilità alla luce solare, rendendola quasi palpabile e trasformando la luce in texture. Allo stesso modo, Adam’s fall (Phase II) ci invita a sperimentare la consistenza della carne come materiale tangibile, privo di qualsiasi simbolismo ma portatore di una verità trascendente sulla mortalità e sulla natura umana. Rifiutando la facile tentazione di una narrazione lineare del prima e del dopo, “Monades” evidenzia piuttosto l’evoluzione sottile ma cruciale in atto nella pratica della giovane pittrice, presentando opere che illustrano le fasi successive di questa transizione continua, celebrando il fare artistico come una produzione di significato in continua trasformazione.
La pratica di Barbana Bojadzi è una pratica del movimento: un processo trasformativo ininterrotto e senza fine in cui la distruzione e il decadimento trovano il loro posto. Lavorando prevalentemente all’aperto, dove le sue opere sono soggette ai rapidi cambiamenti climatici del nord della Francia, l’artista vive questa sottomissione alle forze naturali come una forma ultima di umiltà artistica e ne accoglie le conseguenze imprevedibili. I pannelli esposti in precedenza vengono frequentemente rotti in pezzi più piccoli o, al contrario, uniti per creare opere più grandi. Ulteriori strati di colore e texture vengono aggiunti o raschiati dalle opere precedenti, non per negarne l’esistenza ma piuttosto per affermarla, modellando il flusso inarrestabile del tempo. Questo processo continuo di evoluzione solleva comunque la secolare questione, centrale nel lavoro dell’artista, del rapporto tra forma e identità, reminiscenza del paradosso della Nave di Teseo. Concettualizzato per la prima volta dal filosofo greco Plutarco (c. 46 d.C. - dopo il 119 d.C.) nelle sue Vite Parallele, questa storia racconta della nave dell’eroe divino Teseo, conservata con orgoglio dagli ateniesi dopo che il mitologico semidio tornò vittorioso dalla sua missione di uccidere il Minotauro. Per preservare questo prezioso patrimonio, gli ateniesi sostituirono gradualmente qualsiasi asse marcia, vela strappata o meccanismo arrugginito in modo tale che, dopo pochi secoli, nessuno dei pezzi originali della nave rimasse. A tal proposito, potrebbe ancora essere considerata la nave di Teseo? L’identità delle cose è intrinseca, o è nascosta nella somma delle loro componenti? Come si produce e si mantiene il significato, nel tempo, nell’ambiente che ci circonda? Attraverso la sua pratica, Barbana Bojadzi ci offre la rara opportunità di riflettere su queste domande metafisiche attraverso il prisma della nostra stessa esperienza di spettatori, intravedendo una risposta con forme e colori che le sole parole non potrebbero contenere.
Nata nel 1996, Barbana Bojadzi è un’artista francese che attualmente vive e lavora a Provins, in Francia. Si è diplomata con lode all’École Nationale Supérieure des Beaux-Arts di Parigi nel 2021 dove è stata seguita da Dominique Gauthier, Nina Childress e Dominique Figarella.
Nella sua pratica artistica, Barbana Bojadzi è particolarmente interessata alla memoria associata al gesto, all’idea dell’impronta e alla sua relazione con il Tempo. Le sue opere sono caratterizzate dall’accumulo di strati, colori e texture, creando così una stratificazione di significati e materiali, dove l’immagine emerge attraverso un meccanismo di estrazione. Barbana Bojadzi è sempre alla ricerca di nuovi processi tecnici, mettendo in risalto materiali usati e recuperati che riflettono l’umiltà e la semplicità presenti nel suo lavoro.
Barbana Bojadzi ha vinto diversi premi rinomati di arte contemporanea negli anni successivi alla sua laurea. Ha inoltre partecipato a numerose mostre collettive, tra cui la “Société Générale Art Collection” presso la Société Générale Tower a Puteaux, in Francia, e “Felicità” presso POUSH ad Aubervilliers, in Francia.
JORGE MACCHI
False Autumn
Inaugurazione sabato 14 settembre 2024 via del Castello 11, dalle ore 18.00 alle ore 24.00
Fino al 26 gennaio 2025, da lunedì a domenica 10/13 - 14/19; dal 3 novembre da lunedì a domenica 10/13 - 14/18
Galleria Continua ha il piacere di ospitare una nuova mostra personale di Jorge Macchi dal titolo “False Autumn”. Il lavoro dell’artista argentino si colloca esattamente nel punto di svolta tra due opposti, in quel cono d'ombra tra forma reale e forma fittizia della realtà. In un mondo in cui l’arte funge da ponte tra il tangibile e l’intangibile, il lavoro di Macchi testimonia il potere dell’espressione visiva, del caso e dell’influenza duratura delle esperienze personali. La sua arte cattura l'effimero e il transitorio, invitandoci a riflettere sui fragili confini che definiscono la nostra esistenza.
Le sculture di piccole e di grandi dimensioni, gli acquerelli, i dipinti ad olio e le installazioni presenti in questa mostra ricreano le condizioni per una nuova realtà paradossale che, attraverso l'affermazione dell'artificio, sconvolge le nostre certezze e si insinua nelle pieghe della coscienza. “Il paradosso è la sospensione di significato. È una delle forme dell’umorismo. È uno degli strumenti preferiti di Borges. È la parola che definisce gran parte di ciò che faccio. L’arciere e la freccia, l’aporia di Zenone di Elea, la scena in cui una freccia puntata su un bersaglio non lo raggiunge mai perché la distanza tra loro è divisibile all’infinito, è un paradosso che mi accompagna da sempre.” afferma l’artista.
“False Autumn” è l’opera che dà il titolo alla mostra che Macchi realizza a San Gimignano. In un angolo della galleria, oltre un migliaio di foglie giacciono sparse sul pavimento. Come già annunciato dal titolo (“Falso autunno”) non si tratta di vere foglie autunnali: non sono gialle o rosse, bensì verdi. Ciascuna ha la forma unica di un pezzo di puzzle. Uno sguardo più attento rivela che i pezzi del puzzle sono realizzati con foglie vere, ognuna accuratamente fustellata. Questo processo sconvolge la consueta armonia tra la forma naturale di una foglia e le sue venature, invitando così l’osservatore a chiedersi quale possibile immagine potrebbe crearsi assemblando tutti i pezzi del puzzle. Del resto, ‘falso autunno’, è anche un’espressione coniata questa estate per descrivere un fenomeno che ha interessato diverse zone della Gran Bretagna e molte nazioni europee, inclusa l’Italia: a causa della grave siccità e delle forti ondate di caldo, la natura si è messa in modalità di sopravvivenza anticipando di alcuni mesi il foliage autunnale. Foglie rossastre, secche e cadute a terra, rami già quasi spogli e terreni sempre più aridi hanno contraddistinto numerosi panorami boschivi destando un allarme diffuso. La produzione di Jorge Macchi costruisce potenti finzioni visive, le sue opere sono artefatti che indagano il funzionamento della visione e della percezione. “Rorschach #1” e “Rorschach #2” sono dei dipinti murali site specific realizzati agli angoli di una stanza della galleria. Immediato è il richiamo alle immagini simmetriche del famoso test psicodiagnostico di Hermann Rorschach. Le figure che Macchi crea sul muro, tuttavia, non sono il frutto di una sovrapposizione, non c’è un reale trasferimento di forma e colore da una parte ad un’altra: l’artista realizza queste immagini utilizzando due sagome simmetriche di carta. Ciò che resta, dunque, è la suggestione di un foglio, di pareti che si fingono fogli piegati, lasciandoci dentro l’inquietante sensazione che le stabili e durevoli mura di un edificio possano improvvisamente piegarsi cambiando la loro struttura. Il gioco tra realtà e artificio torna in “Dos banderas”, dove un elemento del dittico è composto da quattro fogli di uno stesso block notes mentre l’altro da fogli di blocchi diversi. Il nastro, che sembra tenere insieme i fogli, è dipinto con acquerello e tempera. In “Déjà vu” Macchi interviene con un’operazione di restauro e lucidatura sulla metà di un tavolo che è stato esposto per due anni al sole e alle intemperie. L’assemblaggio finale delle due parti, quella esposta all’aperto e quella conservata in studio, ricostituisce un unicum fittizio e artificioso. “Confesión” è una scatola di cartone di una Smart TV da 50 pollici con tutti i lati scavati a forma di croce ripetuta, come un modulo, che rimanda al metallo traforato dei confessionali. La scatola non contiene più alcun oggetto, l'azione del traforo l’ha trasformata in uno strumento visivo che offre un punto di vista frammentato del suo interno e di ciò che c'è dietro.
Tra il 1864 e il 1933 furono buttate in mare migliaia di bottiglie di vetro contenti un documento che riportava l'ora e il luogo esatto in cui la bottiglia era stata rilasciata nell'oceano. Si trattava di un esperimento per studiare le correnti marine superficiali. Nella serie “Drift Bottles” di Jorge Macchi le bottiglie sono di plastica, come quelle che la grande distribuzione utilizza ormai diffusamente per l’acqua minerale e le bibite di ogni tipo. Al posto del messaggio, l’artista colloca un veliero in miniatura appositamente realizzato da un artigiano di Buenos Aires. Le bottiglie di Macchi attivano il nostro immaginario facendo affiorare immagini stridenti: i messaggi in bottiglia - romantici, scientifici o giocosi - che nel corso del tempo hanno attraversato i mari e la storia; il mondo racchiuso in una bolla di plastica; le mani di un artigiano che cesella preziosi manufatti; le isole di plastica in costante crescita nei mari del nostro pianeta.
Jorge Macchi nasce a Buenos Aires nel 1963, città dove vive e lavora. Vincitore nel 2001 del premio John Simon Guggenheim Memorial Foundation Fellowship, ha esposto in numerose istituzioni internazionali. Tra mostre personali ricordiamo: Diaspora, Galleria Continua, San Gimignano (2022); The Submerged Cathedral, Musée Cantonal des Beaux-Artes, Lausanne, Svizzera (2020); Portal, Galleria Continua Habana, Cuba (2019); Der Zauberberg, Quartz Studio, Torino (2018); Perspectiva, MALBA, Museo de Arte Latinoamericano Buenos Aires (2016) y CA2M, Centro de Arte 2 de Mayo, Madrid (2017); Lampo, NC ARTE, Bogotà (2015); Prestidigitador, Contemporary Art University Museum (MUAC), Messico (2014); Container, Kunstmuseum di Lucerna, Svizzera (2013); Music Stand Still, SMAK di Gent, Belgio (2011). Nel 2005 Macchi ha rappresentato l’Argentina alla 51° Biennale di Venezia. Le sue opere sono incluse in importanti collezioni internazionali tra le quali: Tate Modern (Londra), MoMA (New York), MUSAC, Museo d’Arte Contemporanea (Leon), CGAC, Centro Galego de Arte Contemporáneo (Santiago de Compostela), Fundación Arco (Spagna), MUHKA (Anversa), SMAK (Gent), MAMAC Musee d’Art Moderne et d’Art Contemporain (Nizza), Fundación Banco de la Nación Argentina, (Buenos Aires).
SABRINA MEZZAQUI
Raccogliere parole
Inaugurazione sabato 14 settembre 2024 via del Castello 11, dalle ore 18.00 alle ore 24.00
Fino al 12 gennaio 2025, da lunedì a domenica 10/13 - 14/19; dal 3 novembre da lunedì a domenica 10/13 - 14/18
Galleria Continua è lieta di ospitare nei suoi spazi di San Gimignano la mostra di Sabrina Mezzaqui dal titolo “Raccogliere parole”. Allestita al piano terra dell’ex cinema teatro, dove ha sede la galleria, l’esposizione raccoglie un nutrito numero di opere, per lo più inedite e realizzate nell’arco dell’ultimo anno.
Sabrina Mezzaqui trae ispirazione dal potere evocativo e simbolico delle parole traducendole in figurazioni plastiche. Ritagliare, ricomporre e restituire schegge di vita, frammenti di pensieri e di visioni contraddistingue il suo operare artistico, che si pone come pratica dialogante, interlocutoria, generatrice di epifanie parziali offerte alla condivisione. I suoi lavori cristallizzano lo scorrere del tempo con una manualità che si nutre di gesti ripetuti; spesso include la scrittura, piccoli testi, memorie, riferimenti letterari. Gesti e segni, i suoi, immersi nella sospensione temporale del rito: “Uso molto la scrittura, mia e altrui, come strumento di meditazione, descrizione, progettazione. Scrittura e lettura sono pratiche con le quali nutro la mia vita e il mio lavoro. Sono un modo per ordinare il vortice dei pensieri, focalizzare l’attenzione, favorire coerenza, cercare la verità, lasciare andare”, afferma l’artista.
Nella pratica artistica di Sabrina Mezzaqui le parole si fanno trama, escono ed entrano dalle pagine di carta, costruiscono una fitta relazione tra letteratura e pratica quotidiana, tra lavoro manuale e intellettuale, tra mondo interiore e esteriore. Il libro, elemento simbolico attorno al quale ruota tutta la sua ricerca, è oggetto doppiamente prezioso: contenitore e strumento attraverso il quale acquisire il sapere ma anche manufatto frutto di specifica sapienza artigianale. “Pratica”, spiega l’artista, “è una parola con una sua concretezza, quasi materiale. Indica possibilità di realizzazione. Riguarda l’agire, il fare. Mettere in pratica richiede coerenza e si alimenta di consuetudine. Il mio lavoro si fonda su pratiche semplici e ripetitive come piegare, arrotolare, tagliare, tratteggiare, forare, infilare, segnare, sottolineare, scrivere, ricalcare, copiare, tratteggiare, sfumare, cancellare, ritagliare, strappare, camminare, ricamare, annodare, fotografare, contare, aspettare, scarabocchiare, riordinare, annotare, sfogliare, appuntare, sbagliare, ripetere (…). Esercizi di attenzione che condivido anche con altre persone. La pratica favorisce conoscenza, sviluppa abilità, induce al silenzio meditativo. La pratica trasforma il pensiero in esperienza”.
Per Sabrina Mezzaqui il tempo è sia uno spazio di solitudine che accompagna l’atto creativo, sia uno spazio di condivisione di gesti da compiere insieme, dove le azioni ripetitive, domestiche e silenziose che caratterizzano la sua ricerca definiscono il senso dell’incontro necessario con l’altro. “EN – Il tavolo di Plotino”, l’opera esposta sul palco dell’ex cinema, accoglie all’interno di una scatola migliaia di parole ritagliate (durante diversi incontri di lavoro collettivo tenutesi a San Gimignano e a Maccastorna) da piccoli gruppi di persone interessate a condividere insieme all’artista la lettura di alcune pagine delle Enneadi di Plotino e ad esperire una modalità di ricerca e di lavoro basata sulla lentezza, la pazienza, la ripetizione e il silenzio. Alle spalle del tavolo scorrono le immagini in bianco e nero catturate dalla macchina fotografica di Paolo Carraro durante gli incontri e dal soffitto pendono nove fili realizzati con carta e perline.
La caducità di ciò che ci circonda e la fragilità dell’essere umano sono temi che emergono spesso nelle opere di Sabrina Mezzaqui come in “C’è un tacito accordo tra le mie matite e gli alberi là fuori”, una serie di disegni che prendono il titolo da una poesia di Nina Cassian sulla solitudine e che riproducono mandala parzialmente cancellati. “Nell’esperienza buddista e tibetana i mandala vengono realizzati con la polvere, sono frutto di azioni pazienti e lente, ma il rito ad essi associato si compie in un attimo e porta alla distruzione di quanto realizzato con tanta cura. In questo lavoro il gesto della cancellazione entra nell’opera con la stessa dignità del gesto artistico e rappresenta il contrasto tra la lentezza della preparazione accurata e l’immediatezza della fine, metafora di vita dove tutto è impermanente”, spiega l’artista.
Sembra un’immagine rubata alle pagine di una favola l’installazione che Sabrina Mezzaqui concepisce per la platea: al soffitto del grande teatro sono ancorate tre altalene e cinque libri di Mariangela Gualtieri (Senza polvere senza peso, Bestia di gioia, Le giovani parole, Quando non morivo, Ruvido umano) rilegati con un tessuto rosso e decorati al loro interno. Sotto ciascuna altalena è incisa una parola: non; niente; poco.
Alcuni giorni prima dell’inaugurazione della mostra Sabrina Mezzaqui, partendo da Pistoia in compagnia di un piccolo gruppo di amici, percorrerà un tratto della Via Francigena per raggiungerà a piedi San Gimignano. Le parole, i pensieri, i silenzi, le immagini e le meraviglie che incontreranno nel loro cammino, unite ad una poesia di Mariangela Gualtieri, andranno ad alimentare un’opera in divenire collocata in galleria, “Raccogliere parole/ Il tavolo della poesia”. Nel corso della mostra, con cadenza mensile, si terranno inoltre dei laboratori di composizione spontanea. I partecipanti, utilizzando frasi e parole messe a loro disposizione sul tavolo, potranno creare delle composizioni che, una volta impreziosite da perline, filo e piccoli ritagli colorati, andranno ad aggiungersi all’installazione in progress.
Sabrina Mezzaqui nasce a Bologna nel 1964. Vive e lavora a Marzobotto (BO). Tra le ultime mostre ricordiamo: “Di punto in bianco”, Galleria Continua, Parigi, Francia, (2023); “L’incorruttibile ricamo”, Fondazione Luigi Rovati, Padiglione d’arte, Milano (2023); “Fare piano”, Istituto Italiano di Cultura di Stoccolma, Stoccolma, SE (2022); “L’abilità di mutare con le circostanze” a cura di Maura Pozzati, Fondazione del Monte in collaborazione con Galleria Continua, Oratorio San Filippo Neri, ART CITY Bologna (2021); Terravecchia - Toccacieloscolora, rassegna “Una boccata d'arte” a cura di Lidia Berlingieri, un progetto di Foundazione Elpis in collaborazione con Galleria Continua, Pisticci (MT); “Della morte e del morire: La vulnerabilità delle cose preziose”, Tenuta dello Scompiglio, Vorno (2019); “Autobiografia del rosso”, Galleria Continua, San Gimignano (2017); “La saggezza della neve”, Galleria Continua, San Gimignano (2014); “I quaderni di Adriano”, Galleria Massimo Minini, Brescia (2016); “The Dormancy of the Seed”, Bengal Art Lunge, Dhaka, Bangladesh (2012); “Ciò che la primavera fa con i ciliegi”, Galleria Continua, San Gimignano (2011); “Forse noi siamo qui per dire: casa, ponte, fontana, brocca, albero da frutti, finestra”, L’Ozio, Amsterdam (2010); “La realtà non è forte”, Sala Gandini del Museo Civico d’Arte, Palazzo dei Musei, Modena (2010); “Equipaje de mano/Bagaglio a mano”, Istituto Italiano di Cultura - MOCA, Buenos Aires, Argentina (2009); “Mettere a dimora”, Galleria Continua, San Gimignano (2008); “Come acqua nell’acqua”, Castel Sant’Elmo, Napoli (2007); “C’è un tempo”, GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna, Torino (2006). Ha esposto in spazi pubblici in Italia e all’estero, tra questi: MAR, Ravenna; Palazzo da Mosto – Fondazione Palazzo Magnani, Reggio Emilia; Museo Civico d’Arte, Modena; Triennale, Milano; MAXXI, Roma; Castel Sant’Elmo, Napoli; Palazzo delle Papesse, Siena; Museion, Bolzano; Mambo, Bologna; PS1, New York; INOVA, Milwaukee – WI; Musée Art Modern, Saint-Etienne; One Severn Street, Birmingham; RAID Projects Gallery, Los Angeles; Istituto Italiano di Cultura – MOCA, Buenos Aires.
L’artista ringrazia
Galleria Continua per il sostegno
e Patrizia Izzo, Giacomo Ricci, Adarte, stamperia Squadro, legatoria Vergata per la collaborazione.
E grazie di cuore ad Antonella Fiocchi, Antonella Mazzetti, Cosimo Chirico, Debora Domenichelli, Elisa Lavello, Elysee Farazmand, Francesca Papa, Ida Chiara Giordano, Jo Lolli, Paolo Benedetti, Rino e Carlo Alberto Canobbi, Rita Aldrovandi, Serena Galimberti, Vivienne Taloni