Bojan Šarčević – In the rear view mirror
Mostra personale
Comunicato stampa
Di questa personale di Bojan Šarčević da pinksummer si potrebbe dire che conosciamo solo qualche ingrediente, non la ricetta. Abbiamo il titolo, “In the rear view mirror”, l’immagine dell’invito, altre immagini; è arrivato un trasporto di trentuno colli; è in atto un processo di trasformazione della galleria. Sappiamo che Bojan Šarčević ha lavorato intensamente alla mostra e che ancora sta lavorando attenendosi alle sue modalità rigorose, ma rifiutando qualsivoglia forma deterministica a priori.
Bojan Šarčević ci ha messo dunque a parte del processo, passo dopo passo, che sta informando questa mostra, ma l’ha fatto evitando qualsiasi proliferazione verbale che non riguardasse l’esecuzione del progetto in loco, tendente, crediamo, non tanto a rendere lo spazio della galleria più adatto a accogliere in modo puntuale opere specifiche, quanto a renderlo più congruo alla sua specificità di galleria di arte contemporanea, in sé. Intervenendo sullo spazio espositivo di pinksummer, attraverso modifiche lievi, ma incisive, è come se Šarčević avesse ritoccato la nostra identità professionale, inducendo, volontariamente o meno, un processo di riflessione rispetto a ciò che avremmo potuto o dovuto essere. Di fatto Šarčević ha creato dentro alla nostra cornice lavorativa abituale, una nuova cornice artificiale più linda, liscia e ovattata, dentro alla quale potremmo forse conferire al nostro agire, almeno temporaneamente, modalità più appropriate e autorevoli, convenzionalmente. Brian O’Doherty in “Inside the white cube. L’ideologia dello spazio espositivo” scrive “…La galleria è il luogo in cui si conducono lotte di potere attraverso la farsa, la commedia, l’ironia, la trascendenza e, naturalmente, il commercio”.
In mostra ci sarà anche, a parte, un modellino di “rifugio”, elegante e raffinato come la scultura di Šarčević, essenziale come può esserlo un’architettura immaginata per l’abitare sobrio, senza distrazioni. L’idea è quella di realizzare assieme all’artista il “rifugio” in un luogo ameno, nella natura. Come fosse, il rifugio, nella prospettiva, un punto di fuga.
A proposito di camuffamenti, una delle prime immagini che Šarčević ci ha inviato circa la mostra “In the rear view mirror”, è quella di un uomo di origine europea, tra i 35 e i 40 anni di età, seduto in posa fotografica, sul cui petto è appoggiata una maschera lignea extraeuropea, che rappresenta un seno femminile reso cadente dall’allattamento, un simbolo di fertilità, assai poco estetizzante rispetto ai canoni, ormai convenzionali, di sensualità femminile contemporanei. La camicia hippie, dell’uomo, virile e anche barbuto, rimanda alla fascinazione antropologica, vagamente pop, collocabile tra i ’60 e i ’70 del secolo scorso.
Nelle culture extraeuropee in cui queste maschere femminili venivano/vengono usate in modo rituale per scacciare i demoni (Tanzania, Mozambico), esse dovevano/devono essere indossate rigorosamente da uomini.
Successivamente Šarčević ci ha inviato l’immagine per l’invito della mostra: si tratta di un uomo che si presenta di schiena, la cui testa accenna un breve movimento di torsione a destra e sulla cui scapola sinistra affiora un tondo e roseo seno femminile in silicone, come un’ala fantastica e inconcepibile.
L’immagine è priva di esagerazione e iperbolicità e tuttavia rimanda all’idea di corpo grottesco descritto da Michael Bachtin, inteso come corpo in divenire, interessato a tutto ciò che del corpo sbuca fuori, a tutte le escrescenze che cercano di sfuggire ai confini qualitativi e quantitativi del corpo individuale. E’ una tipologia di corpo che tende a annullare la separazione, che sia quella con l’ altro corpo o con l’ambiente. Il corpo grottesco per Bachtin è un corpo che inghiotte il mondo e si fa inghiottire da esso. La trasformazione grottesca si rivolge ai confini e ai punti di intersezione e in questo senso tende al dualismo e alla bicorporeità.
Il muliebre del seno di silicone collocato sulla schiena di un uomo, rimanda a un organo puramente espressivo e caratteriologico, che ha l’autonomia di un corpo a sé stante.
Guardando indietro, il rapporto con l’elemento femminile è stato presente in modo esplicito nel lavoro di Šarčević degli ultimi anni, pensiamo alla mostra “Involuntary twitch”, curata da Lorenzo Benedetti, coprodotta da Pinksummer e presentata per la prima volta al De Vleeshal a Middelsburg in Olanda nel 2010, in particolare alle sculture “Presence at night”, in cui il femminile assume connotazioni notturne e inquietanti, come si trattasse di Lilith o Lorelei, i cui lunghi capelli s’impigliano nel sonno di un uomo per non dargli tregua. Pensiamo poi, sempre in quella mostra, ai fluidi ineffabili degli acquerelli di “Stamina and the muse”.
Alla personale di Šarčević a Londra nella galleria Stuart Shave Modern Art “Comme des chiens et des vagues”, sempre del 2010, venne presentata la scultura monumentale “She”, che nelle mostre pubbliche Šarčević ha riaccostato a “He”, costituita anch’essa da un grande blocco di onice (“Elipse of an elipse”,I Iac Institut of art contemporain Villeubanne/Rhône-Alpes 2012 and “To curious contortion in the method of progress”, Kunstmuseum Liechtenstein, always 2012). “She” appare come una sorta di Eva, che inverte la sequenza del mito creazionale, precedendo “He” (Art Unlimited, Art Basel 42, Stuart Shave Modern Art, 2011). Nella mostra londinese “Comme des chiens et des vagues” Šarčević presentò anche una serie di sculture in metallo sul pavimento della galleria, le stesse sculture ricomparivano nelle fotografie a parete, in una dimensione nuova, come si trattasse di arnesi con una funzione misteriosa, vicine ai corpi semi svestiti di giovani modelle.
A proposito del titolo della mostra di Šarčević da pinksummer “In the rear view mirror”, è uscito in questi giorni in Italia, un saggio (“Il portinaio del diavolo: occhiali e altre inquietudini” di Salvatore Silvano Nigro), in cui si racconta dell’intelligenza dei vetri, che avvicinando le distanze e accorciando gli intervalli possono disincarnare l’occhio, in modo che lo sguardo possa levitare in extradimensioni, fosse solo quella dell’immaginazione. In quel libro si tratta del microscopio, del telescopio o vetro dei mille li, come veniva chiamato in Cina quando vi fu introdotto dai Gesuiti, e ancora dei vetri bruciaincenso e di quelli incendiari e dello specchio. Pearl Jam nel brano “Rearviewmirror” dice che le cose nello specchietto retrovisore si vedono in modo molto più chiaro e tutto ciò che abbiamo alle spalle appare vicino. Lo specchietto retrovisore è un potenziamento dello sguardo all’indietro. Esiste un libro di Dave Goldberg intitolato “The universe in the rearview mirror: how hidden symmetries shape reality”. E detto francamente, un impianto retrospettivo rende meno assurda l’idea di vedere brillare una stella, la cui luce si è spenta milioni di anni prima di essere toccata dal nostro sguardo.
Parlando di nuovo di escrescenze, ramificazioni e germogli, abbiamo scoperto grazie al titolo della mostra di Šarčević, che lo specchietto retrovisore è stato inventato nel 1911 da un pilota che lo posizionò sul cofano della sua vettura per risparmiare il peso del meccanico, che gli altri piloti, esclusi dall’assimetria implicita nel salto evolutivo, dovevano ospitare sull’auto per informarsi del traffico alle spalle.
Forzando, ma proprio tanto, le simmetrie occulte e anche la teoria degli anelli, in quello stesso anno 1911 Picasso incollava sulla superficie di un dipinto un pezzo di tela con la riproduzione dell’impagliatura di una sedia, quello che Brian O’Doherty, nel saggio già citato, definisce “… Il reperto A del collage” affermando “… Il cubismo analitico non ha spostato di lato il piano pittorico, ma lo ha reso sporgente”.
Si potrebbe pensare la nuova mostra di Bojan Šarčević “In the rear view mirror”, come qualcosa di similare alla prima personale dell’artista da pinksummer del 2002, una mostra disomogenea, segreta, in fieri come un diario: sui possibili significati che il quotidiano può assumere a posteriori, sulla traccia del diario non è dato sapere.
Possiamo però suggerire di guardare “In the rear view mirror” come fosse un collage molto, molto aggettante.
La galleria è aperta dal martedì al sabato, dalle 15.00 alle 19.30.
Pinksummer Palazzo Ducale-Cortile Maggiore Piazza Matteotti 28r 16123 Genova Italia
t/f +39 010 2543762 [email protected] www.pinksummer.com
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Bojan Šarčević
In the rear view mirror
Opening September 27th 2014, h 6.30 p.m.
Press release
We could tell that what we know of Bojan Šarčević's solo show at pinksummer are just a few ingredients, not the entire recipe. We have got its title, "In the rear view mirror", the image for the invitation card and other photos; 31 items shipped by the artist are in the gallery and some works in progress are going to transform the venue. We know that Šarčević has been working hard at the exhibition and he is still working in his rigorous mode, but refusing any a priori deterministic model.
Bojan Šarčević has been sharing with us the process informing his show step by step, but he did that without using any verbal prosthesis apart from what strictly necessary for the actualization of his project on site, aiming, we guess, to make the venue more specific to itself as a contemporary art gallery per se, rather than to adapt it to some specific artworks to be held. By performing light but significant modifications to the gallery space, somehow Šarčević retouched our professional identity and, on purpose or not, stimulated a reflection on what we would have wished, or had, to be. As a matter of fact, Šarčević has created inside the frame of our everyday working environment, a new one, smoother, polished and fluffy, where we may move, at least temporary, in a more appropriate and reliable way.
In his book "Inside the White Cube . The Ideology of the Gallery Space” Brian O'Doherty wrote: "the gallery is the locus of power struggles conducted through farce, comedy, irony, transcendence, and of course, commerce."
Separately displayed, there will a scale model for “rifugio”(mountain hut) too, fine and elegant as Šarčević sculpture can be, essential like any architecture conceived for a sober living, free from any distraction. The idea is to let the artist build the “rifugio” in an enjoyable place in the middle of the nature. As if that mountain hut acted like the vanishing point in perspective.
Speaking about disguising, one of the first images sent by Šarčević for “In the rear view mirror” features a European man in his late thirties sitting in front of the camera with an extraeuropean wooden mask on his chest. The mask represents a feminine breast, sagging because of breast-feeding, a universal symbol of fertility definitely little appealing according to contemporary western canon of female beauty. The hippie shirt of the virile and bearded man dates back the image to the 60ies or 70ies of last century. Within the various extra European cultures in which these feminine masks were/are ritually used to banish the demons (Tanzania, Mozambique) they had/have rigorously to be worn by men.
Later, Šarčević sent us the image to us for the invitation card of the exhibition: a man with his back turned, whose head makes as if to turn to the right and on whose left bachelor emerges one round and rose-colored feminine breast, like a fantastic and inconceivable wing. Even though free from any excess and exaggeration, the image on the invitation card recall the idea of grotesque body outlined by Michail Bachtin, a transforming body, interested to all that spring from the body, to any excrescence that tries to escape to the qualitative and quantitative borders of the individual body . It is a kind of body that tends to overcome the separation with the other, no matter if that is another body or the space around. According to Bachtin, the grotesque body is a body that swallows the world and let the world swallow it. The grotesque transformation addresses always the border between two bodies, the point of intersection connecting the body with the environment, therefore tends to dualism and bicorporeity.
The feminine of the silicone breast of “In the rear view mirror" refers to a purely expressive and characterological organ, as independent as it was a self-existing body.
Looking back to his previous works, the relationship with the feminine element has been openly present in Šarčević's work of last years. We are thinking at the exhibition “Involuntary twitch” curated by Lorenzo Benedetti, co-produced with pinksummer and presented for the first time in 2010 at De Vleeshal in Middelburg, Holland, and namely the series of works “Presence at night”, in which the feminine assumes fantastic and uncanny nocturnal connotations, that might remind of Lilith or Lorelei, whose long hairs entangle in the dreams of a man until obsessing him; also, in a more hidden and indirect way, we are referring to the ineffable watercolor fluids of “Stamina and the Muse”. Again in 2010, the solo show “Comme des chiens et des vagues” held at Stuart Shave/Modern Art in London presented for the first time the monumental sculpture "She", since than usually paired in public venues with "He", both made from a massive block of onyx (“Elipse of an Elipse”, IAC Institut of art contemporain Villeubanne/Rhône-Alpes 2012 and “To curious contortion in the method of progress”, Kunstmuseum Liechtenstein, always 2012). “She” appears like some sort of Eve, who inverts the creation myth by preceding “He” (Art Unlimited, Art Basel 42, Stuart Shave Modern Art, 2011). In London exhibition, Šarčević also presented a series of small metal sculptures laid on the gallery floor. The same sculptures appeared in the photographs on the walls in an unexpected setting overcoming the absolute and independent notion of sculpture concept by relating them with the semi naked bodies of some young female models.
About the title of pinksummer exhibition, “In the rear view mirror”, recently it was published in Italy an essay by Salvatore Silvano Nigro titled " The door-keeper of the devil: glasses and other concerns”, which focuses on the intelligence of glasses that, by approaching the distance and shortening the intervals, tend to disembody the eye and let the glance raise to extra dimensions, at least that of imagination. That book tells about the microscope, the telescope, that was taken to China by Jesuits and called "the glass of a thousand li", about incense burners, burning glasses and mirrors. The exhibition “In the Rear View Mirror” recalls a particular type of mirror, Pearl Jam in the song “Rearviewmirror” asserts that things seen in the rear-view mirror are much clearer and all what we left behind appears more present and closer. The rear-view mirror is an extension and an strengthening of a retrospective look. There is also a book by Dave Goldberg titled “The Universe in the Rearview Mirror: How hidden Symmetries Shape Reality". And, let's say it frankly, a retrospective device makes a bit less absurd to look at a shining star and think that its light was extinguished millions of year before being touched by our gaze.
Moreover, about excrescence, ramification and fantastic buds able to cancel limits and borders between one body and another one, a body and the space and the space and the time, the rear-view mirror, we found it out thanks to Bojan Šarčević show, was invented in 1911 by a pilot who mounted that device on the hood of his car to get rid of the weight of the mechanic on board, that the other pilots, still excluded from the asymmetry that implies the jump of evolution, had to accommodate on their cars to be informed about the traffic behind their shoulders. Stretching, indeed too far, hidden symmetries and ring theory, in the same year 1911 Picasso pasted on the surface of a painting a piece of oil cloth reproducing the chair caning, a work that Brian O'Doherty defined in his aforementioned essay “(...)collage's Exhibit A" and claiming "(…) Analytic Cubism didn't push laterally but poked out the picture plane”.
One could consider new Bojan Šarčević exhibition “In the rear view mirror” as something similar to his first solo show at pinksummer in 2002, a dishomogeneous exhibition, hidden, consistently in progress like a journal: something about the possible meanings that everyday experience may assume afterwards on the track of some undisclosed diary.
However, we can suggest to look at “In the rear view mirror” as if it was a very very jutting collage.