Boogie – Blow your Mind
Boogie coglie l’intimità della vita di strada, raccontandola attraverso una presa diretta della realtà dei sobborghi newyorchesi, zone in cui sono radicate la violenza, il crimine e la povertà.
Comunicato stampa
In “It’s all good” ha documentato alcuni dei più famosi sobborghi della zona di Brooklyn a New York, tra cui Bushwick, Bedford, Stuyvesant, e Queensbridge. Boogie coglie l’intimità della vita di strada, raccontandola attraverso una presa diretta della realtà dei sobborghi newyorchesi, zone in cui sono radicate la violenza, il crimine e la povertà. Con l’intensità delle sue immagini in bianco e nero, Boogie costringe lo spettatore a entrare in contatto con una realtà oscura come quella che racconta. E’ un pugno nello stomaco, un faccia a faccia con la violenza e con la povertà, ma in qualche caso anche con la speranza e con un futuro che fatica a emergere tra le brutture e le difficoltà del quotidiano.
Il fotografo serbo di street culture Boogie, ha dato ultimamente alle stampe A Wah Do Dem, la sua sesta monografia, la prima a colori: ha scelto la Giamaica, e la capitale Kingston, per raccontare attraverso i suoi scatti la follia e l’umanità di una città difficile, dove la violenza e il crimine sono all’ordine del giorno nella vita dei suoi abitanti, lontano anni luce dalle spiagge bianche e dalle serate passate dai turisti cullati dalla musica reggae. E’ una ricerca intorno al lato oscuro dell’esistenza umana, iniziato negli anni ’90, quando Boogie cominciò a documentare con le sue fotografie le rivolte e gli scontri durante la guerra civile che ha distrutto la Serbia.
A Wah Do Dem (che suona più o meno “Cosa c’è che non va”) è un viaggio difficile, ma non meno affascinante, in un universo caotico, dove sembra più facile giocare con una pistola che con un pallone. “Stavo aspettando in un vicolo, in fondo alla strada, in uno dei quartieri più loschi di Kingston. Era buio pesto, e sentivo come se fossi lì ad aspettare da un’eternità. Ad un certo punto, è apparso dal buio un ragazzo che indossava una maschera raccapricciante da film dell’orrore e aveva con sé un M-16”, scrive Boogie nella sua introduzione. “Anche se ero stato portato lì da un amico di un amico, ero molto nervoso, non si sa mai quando le cose possono finire male. Dopo una breve presentazione, ho iniziato a scattare foto al ragazzo, rullino dopo rullino, non riuscivo a smettere. Era l’ultima notte del mio primo viaggio a Kingston, in Giamaica, e in quel momento ho capito che sarei dovuto tornare molto presto”.
Violenza e criminalità emergono prepotentemente dalle pagine opportunamente non patinate, attraverso una pistola in primo piano puntata contro chissà cosa, l’interno cencioso e lurido di una baracca, un manifesto mortuario strappato con la foto di un giovane, il filo spinato o la squallida simulazione di un atto sessuale sul cofano di una macchina. Ma anche dagli occhi tristi di due bimbi costretti a inventarsi un gioco con 4 tappi di bottiglia e un cartone di succo di frutta e da un caso agonizzante sul bordo della strada. Coltelli e armi, tante armi, rubano la scena agli uomini. Boogie porta chi guarda dentro la scena, nella scena: è al fianco dei poliziotti che perlustrano le strade, di fronte a quei giovani contro un muro che non hanno più voglia di credere, nei vicoli deserti che sono terra di nessuno. Nessun romanticismo, ma cruda realtà che il fotografo riesce a immortalare anche conquistando la fiducia di chi vive ai margini. (ansa)