Bruno Di Bello – Opere del Novecento e del Duemila
Bruno Di Bello torna protagonista alla Fondazione Marconi con una mostra che mette a confronto opere degli anni Settanta e Ottanta, eseguite con tecniche foto/grafiche, con lavori degli ultimi anni, tra cui figurano i grandi trittici del 2016 e 2017, realizzati al computer e stampati su tela Fine Art, esposti l’anno scorso al Museo Archeologico di Napoli.
Comunicato stampa
Bruno Di Bello torna protagonista alla Fondazione Marconi con una mostra che mette a confronto opere degli anni Settanta e Ottanta, eseguite con tecniche foto/grafiche, con lavori degli ultimi anni, tra cui figurano i grandi trittici del 2016 e 2017, realizzati al computer e stampati su tela Fine Art, esposti l’anno scorso al Museo Archeologico di Napoli.
“Vedo questa nuova fase dell’opera di Di Bello fortemente protesa con lo Zeitgeist iniziale di questo terzo millennio, eppure in realtà connessa anche con quella giovanile in cui un’analisi costante permeava l’esercizio costruttivo della forma e dell’immagine… Dove l’occhio e la mente di Di Bello riaffiorano con il medesimo vigore inalterato dell’artista esploratore e trovatore di altri ‘luoghi’ e nuova bellezza.”
B. Corà, “Immagini del III millennio”, in Bruno Di Bello Frattali e altro, Fondazione Marconi, 2015
Nasce da queste parole, pronunciate dal critico Bruno Corà in occasione dell’ultima personale dell’artista alla Fondazione Marconi nel 2015, l’idea della mostra dedicata a Bruno Di Bello in occasione dei suoi ottant’anni. Saranno infatti esposti, sui quattro piani della Fondazione, lavori che mostrano temi e procedimenti che, pur nei differenti linguaggi, materiali e tecniche che l’artista ha sperimentato nel tempo, ancora ricorrono nel suo lavoro creativo.
L’allestimento prevede che opere storiche come Ritratto di Paul Klee del 1968
, Zen del 1972, Mandala III del 1975, le serie dei Segni di luce e delle spirali vengano affiancate ad esiti più recenti per mettere in evidenza come di fatto tra passato e presente esistano certamente delle analogie, non immediatamente evidenti, bensì sotterranee. “Una di queste – dice lo stesso artista – è il procedimento di una forma che si autogenera… Forme che derivano dalla messa in moto di un meccanismo tecnologico utilizzato in maniera ‘sensibile’.”
Dopo aver fatto il suo ingresso nel panorama artistico aderendo al Gruppo ’58 di Napoli, Di Bello si trasferisce a Milano dove dà una svolta alla sua attività realizzando indagini sulle possibilità di scomposizione dell’immagine che attua attraverso l’uso della fotografia.
Mezzo preferito dall’artista è la tela fotosensibile su cui l’immagine viene catturata, scomposta, analizzata, per poi ricomporsi davanti allo sguardo dello spettatore.
Segue una ricerca che continua l’operazione di scomposizione lavorando su parole/concetti di cui si perde e si ritrova di volta in volta il senso.
Nel corso degli anni sperimenta poi l’uso della luce che “scrive” direttamente sul materiale fotografico e si dedica, già dalla fine degli anni Ottanta, allo studio delle nuove tecnologie, in particolare della fotografia digitale, che gli permette di diventare nel frattempo padrone di conoscenze nel campo delle tecniche di creazione ed elaborazione dell’immagine al computer.
“Sono convinto che riusciremo a trovare un linguaggio veramente di avanguardia solo attraverso un uso competente ed esperto delle tecnologie digitali…”
è quanto dichiara Bruno Di Bello in un’intervista all’inizio del 2000.
Bruno Corà così commenta questa affermazione nel testo redatto in occasione della mostra del 2015 alla Fondazione Marconi: “Ebbene, tra gli artisti che si sono posti questo obiettivo, egli risulta essere sicuramente tra i più credibili e autorevoli.” E aggiunge: “Non solo perché ha dato, da quel tempo, precise e coerenti prove di un’attitudine distintiva a sperimentare una semiologia tecnologica da lui stesso introdotta nelle proprie opere, attraverso l’impiego della fotografia o l’uso della luce in modi inusuali, ma poiché, già dalla seconda metà degli anni Sessanta, Di Bello aveva avviato quel processo scompositivo, decostruttivo e ricompositivo dell’immagine che, a base di griglie a struttura quadrata, ha preluso alla visualità della tecnologia digitale.”
Note biografiche
Bruno Di Bello è nato a Torre del Greco nel 1938. Dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti di Napoli inizia a esporre e, con Biasi, Del Pezzo, Fergola, Luca e Persico, dà vita al Gruppo ’58. Tra i meriti di questa giovane formazione c’è quello di aver stabilito un contatto diretto con le coeve vicende milanesi, grazie soprattutto al periodico “Documento Sud”, ideale corrispettivo di “Azimuth”. Dopo le prime mostre di gruppo alla Galleria San Carlo e alla Galleria Minerva di Napoli, nel 1960 Di Bello ottiene una prima personale alla Galleria 2000 di Bologna. Nel ’65 inizia a inserire la fotografia nei suoi lavori, nel ’66 ha la prima personale alla Modern Art Agency di Lucio Amelio, nel 1967 comincia a usare direttamente la tela fotosensibile e si trasferisce a Milano. L’anno seguente espone con il gruppo della Mec-Art, teorizzata da Pierre Restany.
Di Bello indaga sulle possibilità di scomposizione dell’immagine, sulle icone dei protagonisti delle avanguardie storiche e dei propri miti artistici (Klee, Duchamp, Man Ray, Mondrian e i costruttivisti russi) sviluppando così un’idea di arte come riflessione sulla storia dell’arte moderna.
Espone per la prima volta a Milano da Toselli nel ’69 e nel ’70 alla Galleria Kuchels, Bochum, alla Galleria Wspòlczesna, Varsavia e alla Galleria Bertesca di Genova e alla Biennale di Venezia,
Dal 1971 inizia la collaborazione con lo Studio Marconi: un’installazione composta da 26 tele fotografiche con la scomposizione dell’intero alfabeto. Vi esporrà ancora nel ’74, nel ’76, nel ’78 e nell’81. Dai primi anni Settanta sulle sue tele fotografiche compaiono parole e concetti che, scomponendosi e ricomponendosi, animano un gioco di perdita e di ritrovamento del significato. Nel ’74 espone alla Galleria Art in Progress a Monaco e alla Kunsthalle di Berna, nel ’75 alla Galleria Müller di Stoccarda e all’I.C.C. di Anversa, nel ’77 alla Galleria Lucio Amelio di Napoli e al Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam. Espone nel ’78 alla Galleria Rondanini di Roma e nell’estate 1980 realizza un grande lavoro per il Festival di Spoleto.
Altri lavori degli anni Settanta-Ottanta sono eseguiti disegnando sulla tela sensibile direttamente con il raggio di luce di una torcia elettrica, e negli anni Ottanta Di Bello sperimenta un nuovo modo di usare la tecnica fotografica, giustapponendo tra la fonte luminosa e la tela figure umane e oggetti che proiettano su quest’ultima le loro ombre, sviluppando poi la tela fotosensibile con larghe pennellate di rivelatore come in Apollo e Dafne nel terremoto, eseguito per la collezione Terrae motus allestita da Lucio Amelio nel 1987 ed esposta a Parigi - Grand Palais, ora in permanenza presso la Reggia di Caserta.
A partire dagli anni Novanta Di Bello si dedica allo studio di nuove tecnologie operando ricerche sulle immagini sintetiche, la fotografia digitale e le nuove geometrie visualizzabili al computer. Espone i nuovi lavori da Marconi nel 2003, nel 2004 alla Plurima di Udine, nel 2005 a Napoli alla Fondazione Morra e nel 2008 alla Galleria Elleni di Bergamo.
Nel 2010 la Fondazione Marconi gli dedica una grande antologica. Per l’occasione esce la monografia Bruno Di Bello - Antologia, edita da Silvana Editoriale per la VAF-Stiftung di Francoforte, a cura di Volker Feierabend con testi di Michele Bonuomo, Mario Costa, Marco Meneguzzo e Angela Tecce.
Nel 2011 ha una personale al Museo MAC di Niteroi a Rio de Janeiro, mostra che ha avuto un esordio al Museo della Certosa di Capri e un seguito al PAN - Palazzo delle Arti, a Napoli. Le tre mostre nascono per iniziativa dell’associazione napoletana Arteas.
Nel 2011 tiene una “lectio magistralis” al Politecnico di Milano nel corso di Alberto Aschieri ed espone il suo Grande vetro 2 del ’75 alla mostra dei lavori del corso di “Progettazione Architettonica 3” nel patio del Politecnico.
Nel novembre 2015 tiene una mostra personale alla Fondazione Marconi con testo introduttivo di Bruno Corà; l’anno successivo ha luogo “Là dove interviene il disegno-la fotografia”, alla Fondazione Bottari Lattes-Torino, a cura di Luca Panaro. È del 2016 la sua partecipazione alla collettiva “Italia Pop. L’arte negli anni del boom”, alla Fondazione Magnani Rocca di Mamiano di Traversetolo. Infine, nel 2017 inaugura una personale al Museo Archeologico di Napoli (MANN), dove espone tre grandi trittici di geometria frattale (sei metri ognuno), nei quali, dopo un accurato lavoro di campionatura, utilizza gli stessi colori degli affreschi Pompeiani presenti nel museo. A corollario della mostra sono stati realizzati un video, di Roberto Paci Dalò, ispirato a questa operazione e un catalogo edito da Skira, con testi di Bruno Corà, Raffaella Perna, Maria Savarese e una poesia di Nanni Balestrini. Bruno Di Bello vive e lavora a Milano.