Burri e Mannucci – Una storia anni Cinquanta
L’esposizione si snoda tra confronti che rendono visivamente evidenti le “reciproche influenze” tra l’opera di Burri e quella di Mannucci.
Comunicato stampa
L’amicizia e la collaborazione artistica tra Burri e Mannucci nascono da un preciso
dato biografico: nel 1946 Burri rientra in Italia a seguito di un periodo di prigionia in
America e verrà ospitato da Mannucci a Roma sia a casa in via Mario de Fiori che
nello studio in via Margutta. I due costruiranno un sodalizio sia amicale che
lavorativo che confluirà in molte collaborazioni e nella comune vicinanza al gruppo
romano Origine, insieme a Ballocco, Capogrossi e Colla, tra il 1951 e il 1955.
I due artisti condividono alcune affinità umane e talune intellettuali, come per il
similare intenso amore per la propria terra e campagna: la terra umbra per Burri e
la campagna di Città di Castello; la terra marchigiana per Mannucci e la
campagna di Fabriano e Macerata. Ciò che, però, lega i due artisti a livello
lavorativo sono le fondamentali convinzioni formali comuni.
Il confronto tra i Rilievi di Mannucci e i Cellotex di Burri esposti in mostra rende
evidenti le “reciproche influenze” che hanno caratterizzato il rapporto tra i due
artisti, nonostante sussistano anche importanti differenze. Come scrisse Giancarlo
Politi, Appunti su Mannucci (da La Fiera Letteraria, Roma, 7 luglio 1963): “Mannucci
non urla come Burri. Né è come l’umbro violento e dolce, crudele e deluso, ironico
e sadico, nichilista e spietato. […] In Mannucci insomma c’è rassegnazione pure
nella disperazione. […] Burri celebra la civiltà della plastica irridendola e
sprezzandola con compiacenza; Mannucci invece celebra la civiltà dell’oro e della
pietra filosofale con convinzione e serenità”. Entrambi, Burri e Mannucci, vogliono
proporci due mondi senza speranza e senza illusione, ma se da un lato Burri impone
perentoriamente un tema unico, dall’altro Mannucci propone una molteplicità di
temi.
Un punto di contatto fondamentale tra i due artisti è il fuoco, piegato, però, ad
esigenze diverse. Per Mannucci il fuoco, nello specifico quello della fiamma
ossidrica, rappresenta il mezzo attraverso il quale si realizza l’atto creativo e gli
permette di stabilire un rapporto spontaneo e diretto con la materia; per Burri,
invece, il fuoco agisce per sottrazione, con l’annullamento della materia. Da un
lato, quindi, il fuoco come mezzo per trasformare e plasmare la materia, dall’altro il
fuoco che distrugge e devasta.
L’esposizione si snoda tra confronti che rendono visivamente evidenti le “reciproche
influenze” tra l’opera di Burri e quella di Mannucci: un Rilievo di Mannucci che
riecheggia un Cellotex di Burri, che a sua volta ricorda una Piastra dello scultore
marchigiano.
In conclusione, il legame che ha unito Burri e Mannucci si è declinato sia in affinità
caratteriali e comuni passioni, sia in stimolanti confronti sui loro lavori, sulle finalità
stesse dell’arte e dell’impiego della materia