Camere in prestito
Camere in prestito raccoglie 16 protagonisti di quella particolare stagione tra gli anni Sessanta e i Settanta, durante la quale nel mondo artistico occidentale si manifesta una crisi dell’oggetto pittorico e scultoreo.
Comunicato stampa
Marco Antonetto ha il piacere di presentare presso la propria galleria di Lugano, Photographica FineArt, uno spazio espositivo dedicato solo alla fotografia del 900 e contemporanea, l’esposizione Camere in prestito, a cura di Angela Madesani, aprendo così un nuovo capitolo della sua storia artistica.
Camere in prestito raccoglie 16 protagonisti di quella particolare stagione tra gli anni Sessanta e i Settanta, durante la quale nel mondo artistico occidentale si manifesta una crisi dell’oggetto pittorico e scultoreo. Molti sono quindi gli artisti che prendono a utilizzare media tecnologici quali la fotografia, il cinema e in un secondo tempo, il video.
L’esposizione Camere in prestito è il tentativo di scoprire un campo della storia dell’arte di vaste proporzioni, che a oltre quarant’anni di distanza rivela tutto il suo interesse e il suo fascino. I linguaggi tradizionali dell’arte giungono, appunto, in quel particolare periodo storico a una sorta di azzeramento. In molti sentono il bisogno di confrontarsi con la realtà attraverso uno strumento neutro di registrazione dei dati oggettivi.
La mostra propone lavori collocabili in ambiti distinti, di artisti italiani provenienti da storie profondamente diverse tra loro, che hanno, tuttavia, in comune l’utilizzo del linguaggio fotografico con diverse declinazioni. La fotografia come inclusione (collage), come documentazione o anche come impiego di tecniche fotografiche che va dall’uso della Polaroid alla carta o alla tela sensibilizzata ai sali d’argento.
La mostra, tra le sedici pareti della galleria – una per artista - si snoda in un percorso che accompagna il visitatore tra le varie esperienze. A partire dagli anni Sessanta Vincenzo Agnetti sperimenta, fra gli altri, l’utilizzo della fotografia, ridefinendo l’ambito dell’arte concettuale in Italia, in stretta relazione con le esperienze americane. La sua è una imprescindibile riflessione di matrice linguistica; così per Paolo Gioli che manipola lo strumento fotografico, con un atteggiamento avanguardistico, lo svuota per giungere all’essenza, al grado zero. Franco Vimercati, dagli anni Settanta, indaga il senso stesso della fotografia. Nucleo fondamentale della ricerca di Franco Vaccari è la teorizzazione del concetto di esposizione in tempo reale, che trova un importante esempio nell’opera Lasciate una traccia del vostro passaggio, realizzata per la Biennale di Venezia del 1972. Vaccari come Cioni Carpi è un protagonista della Narrative Art, ricreazione di una situazione temporale attraverso l’utilizzo della sequenza. In questo ambito si colloca, infatti, l’opera in mostra di Carpi Abbiamo creato atipici sistemi, in cui è un’analisi di matrice sociale-antropologica. Di matrice antropologica è anche il lavoro di Michele Zaza, la cui ricerca risente fortemente della cultura mediterranea di cui è figlio.
Il problema di tenere in vita il concetto di avanguardia è precipuo per Bruno Di Bello, che si serve di un medium freddo in grado di avere un rapporto privilegiato con il reale. Claudio Parmeggiani si pone in dialogo con la storia dell’arte, dando vita a un rapporto che non è mai una mera citazione. I suoi sono, piuttosto, frammenti, della memoria.
Aldo Tagliaferro, nel corso degli anni, ha dato vita a una riflessione di matrice esistenziale in cui il medium fotografico è protagonista. Così come Giorgio Ciam nella cui opera è l’idea del sé come presenza-assenza, che si pone in dialogo con il circostante.
Provenienti dall’ambiente della poesia visiva fiorentina sono il concettuale Maurizio Nannucci e Ketty La Rocca, unica presenza femminile della mostra, protagonista indiscussa della Body Art. Il corpo, in relazione allo spazio, attraverso la fotografia, già negli anni Sessanta è soggetto della riflessione di Luca Maria Patella, del quale sono presenti tre importanti lavori.
Un particolare interesse è puntato sul rapporto fra la fotografia e gli artisti dell’Arte Povera, attraverso le opere di tre protagonisti di quel movimento, Giulio Paolini, Giuseppe Penone, e Gilberto Zorio. Se per Zorio e Penone la fotografia è traccia, documento di un’azione, per Giulio Paolini, l’accezione è di natura teorica, d’indagine, sul significato del medium da un punto di vista linguistico e concettuale.
La fotografia, per gli artisti, diviene un modo oggettivo per fissare l’istante in un incontro unico tra spazio e tempo, che si relaziona perfettamente con la storia dell’arte di un complesso periodo, quello appunto che va dalla fine dei Sessanta ed arriva alla fine del decennio successivo. L’arte italiana si pone in tal senso in fitto dialogo con quanto accadeva nel resto del mondo, mantenendo, tuttavia, una propria, quanto originale peculiarità, come Camere in prestito si propone di sottolineare.
La mostra sarà accompagnata da un catalogo, che avrà la foggia di un libro d’artista, edito in 300 esemplari da Danilo Montanari editore.