Carlo Colli – Spostato
Nella nuova sede di Die Mauer i “Post” di Carlo Colli invitano ad entrare, osservare, riflettere. Concettualmente complessa, la serie dei “Post” propone una visione della pittura non convenzionale e tutt’altro che tradizionalista, che bandisce i virtuosismi tecnici per rivendicare la purezza e la dignità del linguaggio pittorico.
Comunicato stampa
SPOSTATO – Nomadismo dell'arte nell'era della precarietà.
Nella nuova sede di Die Mauer i “Post” di Carlo Colli invitano ad entrare, osservare, riflettere.
Concettualmente complessa, la serie dei “Post” propone una visione della pittura non convenzionale e tutt'altro che tradizionalista, che bandisce i virtuosismi tecnici per rivendicare la purezza e la dignità del linguaggio pittorico.
L'artista sceglie per questi lavori un supporto cartaceo, ovvero un materiale semplice che però possiede caratteristiche uniche e ineguagliabili: la carta, “organica, camaleontica, plasmabile” come lo stesso Colli la definisce, suggerisce e permette un viaggio mentale e materico in un mondo nuovo, che richiama formalmente il minimalismo – uno su tutti Frank Stella – e al tempo stesso contempla aperture verso spazi concettuali di ampio respiro e niente affatto minimal. Lasciandosi guidare dalla casualità e cercando intenzionalmente una “perdita di controllo” che lo conduca a un risultato inaspettato, Colli piega la carta apportando un forte gesto o impulso creativo, che sembra voler estrarre i volumi da una superficie piana, sfaccettandola e moltiplicandola. Successivamente interviene a descrivere e sottolineare i segni e le nuove superfici prodotte tramite compatte linee nere, che a loro volta producono spazi che saranno riempiti di bianco, in modo tale da bloccare il processo di invecchiamento della carta.
Apparentemente elementare, ma l'estrema sintesi delle componenti formali lascia intravedere un universo composito di riflessioni e concetti brillanti e molto complessi.
La superficie iniziale del foglio di carta si trasforma: una volta piegata si riduce, ma al tempo stesso si moltiplica, dando vita a superfici più piccole. La stessa piega, che nell'opera d'arte convenzionale sarebbe un danno e un difetto, diventa protagonista nella genesi dell'atto creativo.
Tutto evoca e lascia presagire un senso di precarietà e l'idea, cara all'artista, di “nomadismo”, che suggerisce come tutto sia instabile, mobile, trasformabile e trasportabile. La stessa accezione del termine “Post”, che in inglese indica l'affissione di qualcosa a una parete o a una superficie, ma allude anche alla volubilità della comunicazione giovanile contemporanea sui social networks, aiuta a comprendere i significati reconditi di questi lavori, che giocano il ruolo di prodotti industriali e al tempo stesso ne denunciano la caducità. Un po' provocatoriamente, l'opera completa comprende il suo packaging, una scatola con tanto di etichetta e chiodini per affiggere il “Post”, il che produce un'allusione alla realtà industriale e ancora una volta sottintende il concetto di nomadismo, la contemplata possibilità di riporre l'opera e non solo di conservarla esposta dentro una teca, in versione sacralizzata e intoccabile.
I “Post” incarnano una riflessione sugli oggetti di consumo, che si fa ancor più stridente considerando che Carlo Colli è in tutto e per tutto un pittore, non un serializzatore. Il suo profondo interesse per il gesto pittorico si riscontra nella ricerca quasi ossessiva del segno, che rappresenta l'ultimo baluardo del passato figurativo dell'artista.
Ancora si torna all'estrema sintesi, che accosta gli opposti in un unico risultato: la pittura è il linguaggio principale, ma al tempo stesso assume un apparente ruolo marginale; il colore che contraddistingue il codice pittorico è del tutto assente ma anche del tutto presente, sotto forma di massima sintesi cromatica, in quanto il nero e il bianco escludono ogni singolo colore poiché accolgono insieme l'intera gamma dei pigmenti e delle frequenze di luce.
La pittura di Carlo Colli insegue la sintesi al punto tale da spogliarsi dei virtuosismi, delle prove di un'abilità di mimesi della realtà e delle cifre stilistiche; essa, rievocando forse la poetica del suprematismo di Kazimir Malevič, si libera dal descrittivismo naturalistico, con lo scopo però di rivelare non più forme assolute come nel pittore russo, ma l'essenza stessa della pittura, che non imita la realtà ma la ricalca, incarnandola. L'intera superficie dell'opera viene inglobata da campiture di colore bianco e nero e prende vita, si solleva dalla parete indicando che l'attenzione deve essere portata al processo produttivo che haoriginato l'opera, frutto del caso, del gesto istintivo e di un'emozione.
La serie dei “Post” presenta un'idea di pittura in grado di trasformare quelli che altrove sarebbero ritenuti difetti tecnici e di esecuzione in elementi distintivi e caratteristici: le pieghe, la deperibilità del materiale e la suscettibilità alle condizioni di umidità, la scelta di escludere qualsiasi richiamo all'imitazione naturalistica. Insomma, come lo stesso Colli ama sottolineare, la sua è una “pittura che fa del limite virtù”.
Ad accompagnare la serie di opere esposte è un'installazione site-specific, che si propone al tempo stesso di assumere un carattere esplicativo e di sostegno verso i molteplici significati dei lavori in mostra, e insieme porge un tributo simbolico alla nuova sede di Die Mauer.
Una linea bianca, come se ne vedono nei musei di tutto il mondo, solitamente interconnessa a un assordante allarme sonoro, è qui posta a metà dell'ambiente espositivo. Essa nega implicitamente l'accesso allo spazio retrostante, condizionando l'azione e lo spostamento dello spettatore e decretando il valore sacrale, inavvicinabile, immanente di ciò che sta oltre. Ma oltre la linea non c'è altro se non un volume d'aria ricavato nello spazio della galleria delimitato. Sul fondo una parete, simbolo di stabilità e solidità, caratteristiche che si rivelano però solo ipotetiche e che di fatto sono smentite dalla consistente quantità di nastro adesivo americano che l'artista applica sui contorni della medesima parete, lasciando presagire fragilità, instabilità e provvisorietà. Manca solo la pittura, che verrà collocata nello spazio dallo stesso artista, durante una breve performance, con cui si sancisce la possibilità di valicare quella linea e avvicinarsi fisicamente al muro e all'opera stessa, svelando la forte ambiguità del concetto di sacralità dell'arte.
E quel muro incollato, spostato, “postato” – suggerisce giocosamente Colli con allusione all'equivalenza dei termini in lingue diverse – può diventare il simbolo di Die Mauer (letteralmente “il muro”) e del suo spostamento dalla vecchia sede alla nuova.
Ecco come l'installazione ribadisce la chiave di lettura per le opere in mostra: nulla è stabile e univoco, tutto si evolve, tutto è precario. Tutto porta in sé l'allarme del decadimento, o forse solo della trasformazione in qualcosa di nuovo, che può rivelarsi un positivo incipit costruttivo.
Martina Suñé