Carlo e Fabio Ingrassia e Eugenio Tibaldi – Notturno con figura
La Galleria Nazionale inaugura il terzo e ultimo appuntamento di Connection Gallery con la mostra Notturno con figura. Primo corollario sulla vibrazione a cura di Lucrezia Longobardi.
Comunicato stampa
Lunedì 3 febbraio la Galleria Nazionale inaugura il terzo e ultimo appuntamento di Connection Gallery con la mostra Notturno con figura. Primo corollario sulla vibrazione a cura di Lucrezia Longobardi. La rassegna, curata da Massimo Mininni e avviata a giugno 2019 con il lavoro di Andrea Mastrovito e successivamente con quello del duo Invernomuto, si conclude con l’installazione site-specific degli artisti Carlo e Fabio Ingrassia e Eugenio Tibaldi.
L’indagine proposta in questa mostra parte da un dato scientifico, pubblicato nel 1989 sulla rivista 21st Century Science & Technology. Nel testo si affermava come l’essere umano vibri a circa 570 trilioni di volte al secondo, 42 ottave sopra il DO centrale di un pianoforte; una grandezza che sembra non poter essere contenuta nelle pareti dell’immaginazione, eppure, dà la cifra di come gli uomini siano eminentemente esseri emozionali, capaci di plasmare la realtà attraverso le vibrazioni che emanano. Le loro armonie o disarmonie, prodotte da disaccordi interiori o sociali, possono generare reazioni da cui dipende l’adattabilità o la crisi dell’uomo col proprio ambiente, inteso come spazio vitale e relazionale.
Notturno con figura costituisce un primo corollario sul tema della vibrazione esistenziale che si aggiunge alla ricerca iniziata da Lucrezia Longobardi nel 2017 sul concetto di Spazio Esistenziale. Tale percorso, sviluppatosi attraverso mostre e saggi critico-filosofici intitolati “Definizioni” e seguiti da numeri consecutivi, è diventato la forma principale della ricerca della curatrice che qui dà l’avvio a una serie di riflessioni complementari. Come nelle parti precedenti, le due opere degli artisti coinvolti si fondono in un unico dispositivo esperienziale.
In Notturno con figura prende corpo un paesaggio esistenziale fondato su uno stato di precarietà e disillusione, figlio delle atrofie emotive che hanno caratterizzato l’inizio del XXI secolo. L’impianto di questo progetto si concentra sull’anatomia (o autopsia) di una circostanza dell’essere - e, dunque, dell’abitare - isolata e surreale, all’estremo del possibile, selvaggia e severa che permette all’individuo di allontanarsi dall’inquietante norma della società per potersi aggrappare all’improbabile possibilità di un’alienazione cosciente.
Il ricordo intimo proposto da Carlo e Fabio Ingrassia sembra esistere solo in ragione della vibrazione della luce e del colore impressi nell’immagine, quasi che il soggetto ritratto non abbia corpo e sostanza di per sé. Questa precarietà si specchia e sviluppa nella tremante installazione di Eugenio Tibaldi. Il rapporto fra le opere innesca una dialettica tra paesaggio interiore e spazio reale, in cui il notturno perimetro di una dimora spettrale, forse impossibile, persa nella memoria o nell’immaginazione, esplode nella struttura installativa che (con)fonde forme naturali e antropo-funzionali in un ambiente in equilibrio tra un paesaggio neuronale e un habitat neo-primitivo simile a quelli in cui una larga parte di esclusi (volontari o meno) dalla società vive ai margini delle grandi metropoli, dalle baraccopoli dei migranti nel nord della Francia alle sistemazioni di fortuna lungo le sponde
del Tevere. Questa forma di esistenza sporca e disagiata s’impone però eclatante nella verità del suo naturale annodamento con la vita. Ciò che emerge da questo tremante dispositivo a mezz’aria è l’essenza dell’essere che avanza nei meandri delle necessità primarie, tentando di ridurre all’osso il circolo della vita che qui diviene
ossessivo e chiuso su se stesso.
Biografie
Eugenio Tibaldi
(1977)
Artista da sempre attratto dalle dinamiche e dalle estetiche marginali, dal complesso rapporto fra economia e paesaggio contemporaneo. Nato ad Alba (CN), nel 2000 si trasferisce nell'hinterland napoletano dove inizia un lavoro che indaga uno dei territori più plastici e dinamici d'Italia ed a tracciare una sorta di mappa dell'informalità. Il margine inteso come condizione spesso più mentale che geografica, che rappresenta l'unica veramente in grado di generare possibilità alternative, altri livelli di lettura, che rappresentano la maggioranza della popolazione umana. In questi anni ha lavorato su Istanbul, il Cairo, Roma, Salonicco, Berlino, Verona, l'Avana, Bucarest, Torino, Caracas, Bruxelles, Tirana, Addis Abeba. eugeniotibaldi.com
Lucrezia Longobardi
(Castellamare di Stabia, 27.06.1991)
Critica d’arte e curatrice, è laureata presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli con una tesi sulle prospettive filosofiche dell’abitare. Svolge il suo lavoro da indipendente e collabora con la Fondazione Morra. Al centro della sua ricerca è il concetto di spazio, analizzato come circostanza esistenziale sia dal punto di vista intimo che comunitario e sociale, ciò anima una costante indagine a più livelli sui meccanismi dell’abitare, fino alle più complesse evoluzioni del paesaggio come disegno sociale. È stata direttrice artistica per un progetto dell’Agenzia Nazionale dei Beni Confiscati e ha curato talks sul ruolo dell’arte nella società. Scrive su riviste di settore tra cui Artribune e Opera Viva.
Carlo e Fabio Ingrassia
(Catania, 1985) Vivono e lavorano tra Catania e Milano (IT).
La produzione artistica dei gemelli Ingrassia è il risultato di una dualità tecnica e programmatica. Uno destrorso e l’altro mancino, lavorano a pastello contemporaneamente, sullo stesso supporto cartaceo. Grammatica dei colori e grammatura della carta si sovrappongono e compongono, di volta in volta, un gesto su misura. La frammentazione della superficie cartacea e l’uso di strumenti specialistici danno vita a un contesto che da idealizzato si fa tangibile. “Così il disegno diventa scultura”. Un tempo identico, gesti scultorei, tocchi calcolati e calibrati divengono indistinguibili. «Il nostro disegno – affermano i gemelli Ingrassia – ha superato il proprio oggetto e si annulla come segno, ha desiderio di paternità. Cerchiamo un segno che sia autosufficiente; l’opera è un principio termodinamico». carloefabioingrassia.com