Carlo Ferrari – Invenzioni sul vero
Nella pittura di Ferrari il termine composizione assume un significato radicale imprescindibile: una partitura musicale in cui il colore, il segno, la materia, obbediscono alle leggi d’un’armonia espressiva egemone e potestativa sull’invenzione informale di una memoria dei luoghi.
Comunicato stampa
CARLO FERRARI, autodidatta, è nato a Castelnuovo Garfagnana (LU) e si è poi trasferito a Massa dove vive e lavora da quasi quarant’anni. Ha coltivato fin da giovanissimo una intensa passione per le arti, entrando ben presto in contatto con significativi personaggi della cultura italiana del tempo, tra cui lo scrittore e critico letterario Renato Majolo che ne apprezzò ed incoraggiò le prime esperienze poetiche, e con vari artisti (i pittori Virio da Savona, Aurelio Caminati, Gianni Celano, lo scultore pistoiese Agenore Fabbri, la scrittrice Milena Milani, conosciuti in occasione di una mostra del 1972 presso il Circolo degli Artisti di Albisola Marina), ma soprattutto con il pittore Dedalo Montali che, ben impressionato dalle opere esposte in una successiva personale albisolese del 1973 presso la Galleria "A77", fu per lui, oltre che un sincero amico, un importante punto di riferimento sotto il profilo della formazione, artistica e culturale. Nello stesso periodo iniziò da autodidatta lo studio della musica e dell’organo, facendo anche una significativa esperienza come direttore di coro. Negli anni a seguire ha svolto una intensa attività espositiva tenendo numerose mostre personali (Genova, Millesimo, Chieri, Castelnuovo Garfagnana, Viareggio, Carrara, ecc.) e partecipando a varie collettive, tra le quali da segnalare la "Collettiva di Pittori Contemporanei" di Lucca, ricevendo ovunque unanimi consensi per una pittura di sostanza, senza furbizie, priva di fronzoli e di colpi ad effetto, basata su una innata, solida capacità di far parlare il colore. Nel 1985 gli è stata, dedicata una mostra personale all’interno di una collettiva d’estate presso il Palazzo ex Montedison a Lido di Camaiore. Nello stesso arco temporale (anni ’70/’80) ha partecipato con successo a numerosi concorsi di pittura, riportando, ovunque premi e segnalazioni: "Premio Garfagnana" e "Premio Vecchiacchi", Castelnuovo Garfagnana, "Premio G.B. Santini", Castiglione Garfagnana, "Premio di pittura estemporanea", Massa e Cozzile, "Premio Versilia ‘73", Viareggio, "Premio lnternazionale Michelangelo di Oro", Carrara, 1° premio assoluto al "Concorso Nazionale del Quadro di Piccolo Formato", Viareggio, "Giano d’Oro", Varese, "Nettuno d’Oro", Forte dei Marmi, ecc. Risalgono a quegli anni l’impegno come Presidente dell’Associazione Musicale Massese e l’amicizia con il musicologo Roberto Giannone , prematuramente scomparso, che ne stimolò l’approfondimento della storia musicale del periodo tardo-romantico e del ’900 (ed in particolare dei compositori Mahler, Ives, Ravel e Bartòk, di cui curò ascolti guidati dei concerti per pianoforte e orchestra). Nel successivo periodo, che va dalla fine degli anni ’80 al 20lO, pur continuando a mettere a punto il proprio linguaggio pittorico e dedicandosi soprattutto alla poesia, ha volontariamente cessato ogni attività espositiva. Il ritorno al pubblico è avvenuto con una apprezzata personale "Carlo Ferrari: il colore, la parola" nel gennaio 2011, tenutasi a Pietrasanta nelle sale del prestigioso Palazzo Panichi - Carli, dove sono state esposte circa sessanta opere, recenti e meno recenti, ed una serie di testi poetici.
INVENZIONI SUL VERO
Oltre la visione, nella poesia del colore
Nella pittura di Carlo Ferrari il termine “composizione” assume un significato radicale imprescindibile, come una vera e propria partitura musicale in cui gli elementi linguistici, il colore, il segno, la materia, obbediscono in rigorosa specie alle leggi d’un’armonia espressiva egemone e potestativa sull’invenzione informale di una memoria dei luoghi. L’artista rapisce del paesaggio, istintivamente, insieme un equilibrio timbrico, tonale e spaziale e, sottratto questo alla logica visiva originaria, lo riforma secondo variazioni emozionali e memoriali tuttavia fortemente ancorate alla maniera classica del “fare pittura”: la ricerca dell’equilibrio compositivo di un Burri inteso come grande impaginatore del quadro; la fantasia cromatica, la freschezza, il filtro interiore rispetto alla
rappresentazione di De Stael; il senso lirico della natura e del colore unitamente alla gestualità e al movimento di Afro.
Se alcuni quadri sono risolti “in apnea”, in modo veloce e tensivo, altri sono corposi materici ragionati, a volte violati e ricomposti sulle tracce semivisibili di un remoto disegno che stabilisce ora un nuovo legame con la più vicina superficie pittorica rendendoci una visione aptica della forma colore; come se Ferrari, ossessivamente prostrantesi all’idea di equilibrio perfetto, pungolato dall’esigenza di una sintesi formale irrinunciabile, ricomponesse l’ordito di un nuovo mondo, in un suadente e destrutturato racconto della realtà o piuttosto della sua propria esistenza. E’ in effetti vero che ogni “reale” è già stato e consumato nel momento della sua narrazione. Di esso si sono perduti i particolari non caratterizzanti, mantenendosi una sostanza ponderata ove cultura e storia personali convergono a stabilirne le forme e le condizioni di un’attuale rinascita.
E ove più intense e significativamente complesse siano storia e cultura, più difficili sono i problemi compositivi che l’artista s’impone, sempre soffrendo dell’eterno, aspro conflitto, tra libertà e perfezione, tra anarchia e norma, tra follia e civiltà.
Ma l’amore di Ferrari per la “terra”, di cui deduce per timbriche e tonali corde cromatiche l’essenza, di cui scandisce gli spazi visivi con ampie campiture dai rigorosi tratteggiati graffiati o toccati da un colore traspirante, è tale che per l’artista diviene argine oltre il quale non riesce e non vuole spingere in avanti, oltremodo, il suo disegno informale in cui ogni soluzione, nell’astrarre più radicale ed arbitrario, diverrebbe plausibile; desidera anzi che il racconto sulla realtà sempre appartenga ad essa e che l’invenzione della mente non spinga l’uomo oltre il limite rappresentato da un suo invisibile, insondabile ricordo destinato ad estinguersi nel correre del tempo. E nel quadro convergono allora prospettive di paesaggi nati altrove ma cresciuti nella mente, con estesi spazi cromatici e tocchi di colore magnetici che fissano punti baricentrici o che si attraggono attorno ad aree di visione a volte prospettiche a volte proiettive, come schiacciate su di un solo piano e a cui solo altezza ed estensione del suono-colore donano profondità e parola, narrazione in cui la
parola evapora restituendoci l’essenzialità dell’anima.
G. Bovecchi