Carlo Merello – Vuoti a perdere
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Comunicato stampa
VUOTI A PERDERE
Come si può perdere ciò che per definizione non esiste?
O meglio, esiste il concetto, l’idea, il pensiero metafisico del vuoto, quindi un “ente” lo è, e pure considerato sostanzioso da parte dei praticanti di filosofie trascendentali vista la loro determinazione
a pensarlo oggetto e soggetto della meditazione sul proprio Sé da millenni.
Facilmente il vuoto si accomuna all’assenza, al silenzio, ma nell’arte visuale mantiene una sua dimensione materica, non è il nulla perché necessita di riferimenti, ottici e acustici.
Artisti importanti hanno attraversato i sensi e silenzi del vuoto con i loro lavori; mediante le loro tecniche operative hanno indagato l’immateriale costruendone i confini per ‘vederlo e ascoltarlo’ e per comunicarcelo.
Penso al The Deep di Pollock, ai Concetti spaziali, specialmente le “Fine di Dio” di Fontana, alle penetrazioni immateriali di Anish Kapoor, al cerchio (ensô) zen di Tôrei.
Questi Autori, per evidenziarlo, il vuoto, hanno lavorato sui suoi limiti e quindi la loro opera si evidenzia e sostanzia proprio da e su questi limiti, visivi e auditivi, nonostante il suo soggetto sia l’assenza di materia.
I miei “Vuoti” hanno un’altra origine, nascono da una mancanza, una perdita, un consumo esistenziale, una ossidazione e trasfigurazione dell’essenza vitale nel nulla che ne rimane.
Il corpo umano privato della vita biologica, distrutto dalla malattia e sezionato dal bisturi dell’anatomopatologo, l’edificio fatiscente consumato dalla usura del tempo e dagli agenti atmosferici, oltre ché dall’azione dell’uomo che lo ha abitato, sono gli elementi del vuoto che lo rappresentano in sé, non ne sono i limiti fisici bensì la riflessione tangibile, la trasposizione materiale.
E in quale relazione corpo umano e corpo edile vivono questa loro doppia “inesistenza”, certamente un legame non tangibile, immateriale come la memoria delle loro vite vissute: una risposta plausibile è nella luce che li evidenzia attraverso l’ombra che li distingue.
Gli ambienti vuoti che ho scelto, in cui l’uomo ha agito, alcuni abbandonati, altri temporaneamente chiusi, appaiono senz’altro immersi nel silenzio.
In questo caso l’assenza del suono non invita alla concentrazione e connessione con la propria interiorità, bensì all’ascolto, alla visione di una presenza che potremmo definire metafisica ancorché naturata dall’elemento che rende consistente la vita, quale la luce.
Carlo Merello, Genova 2019