Carlo Pasini
Mostra personale.
Comunicato stampa
In occasione dell’inaugurazione della mostra personale l’artista donerà un’opera alla Fondazione Edo ed Elvo Tempia Valenta per la lotta contro i tumori, che entrerà così a far parte della collezione museale.
Accesso libero e gratuito.
Jungle Patterns
Carlo Pasini giunge al MACIST con le sue spettacolari e intense opere puntiformi. Jungle Patterns ci trasporterà all’interno di un universo esotico, ammaliante e multisensoriale. In esposizione sculture di animali fantastici rivestiti da migliaia di puntine, dipinti sospesi tra astratto e figurativo, installazioni concettuali e mosaici ispirati alle molteplici sfumature della natura.
Carlo Pasini è un artista intuitivo e poliedrico: partendo dalla pittura - dopo molte ricerche - è pervenuto a un linguaggio estremamente personale, che genera ogni volta meraviglia e coinvolge, su più piani, il fruitore. Entrando a contatto con le sue sculture di animali non si può fare a meno di immergersi in un mondo fantastico e selvaggio: scontri feroci di coccodrilli e antilopi tra le erbe della savana, aggrovigliamenti di serpenti nelle profondità di foreste tropicali, grandi felini danzanti ritratti in eleganti pose dinamiche. Testi di zoologia, bestiari medievali, fiere mitologiche, il rinoceronte di Dürer, scene esotiche che rievocano i quadri di Henri Rousseau e Antonio Ligabue, frammenti di Art Nouveau, “Le Carnaval des Animaux” di Spoerri, lo zoo in formaldeide di Damien Hirst, sculture polimateriche e molto altro: tutto riaffiora e confluisce sotto la spinta di pensieri ingegnosi e di un lavoro attento e minuzioso. Il bestiario di Pasini (definito da Valerio Deho “Animalìe”) costituisce sicuramente un «momento unico» all’interno della produzione contemporanea italiana.
Dopo cinque anni di formazione presso la scuola di Aldo Mondino, dove matura una filosofia orientata maggiormente al vissuto e alla sperimentazione, Pasini dipinge i primi paesaggi pittorici, realizzati su zanzariere di alluminio funzionanti. Sono - queste - opere evanescenti e cangianti, che giocano in modo originale sull’alternanza tra pieni e vuoti. In seguito a questa fase iniziale, vicina per certi versi all’«expanded painting», l’artista - desideroso di imprimere una svolta decisiva al suo percorso - realizza le Pelli di serpente, creazioni astratte contraddistinte da un tripudio di sfumature, screziature e nuances che ci riportano alla mente i cromatofori del derma dei rettili. Le Pelli, sovrapposizione di molteplici elementi, vengono “costruite” da Pasini mediante una tecnica non canonica. Si tratta, infatti, di un meticoloso processo di accumulazione di puntine da disegno dalla testa in plastica colorate, inserite e incollate su una superficie dipinta.
Questo procedimento di creazione, che eleva un semplice prodotto industriale in serie a un altro tipo di oggetto, viene presto esteso da Pasini anche a ritratti di icone della cultura contemporanea e a grandi sculture di animali. Siamo così di fronte a un linguaggio artistico inedito e particolarmente innovativo; ciò per almeno due motivazioni.
Innanzi tutto perché si tratta di realizzazioni, soprattutto nella loro forma tridimensionale, che intendono provocare delle percezioni più vivide e quindi, sostanzialmente, avvicinare il più possibile il fruitore - e magari anche nuove fasce di pubblico - all’opera d’arte. Le sculture di Pasini costituiscono, infatti, delle opere che ampliano fortemente la sfera sensoriale, tramutandosi da rappresentazioni prettamente visive a «pitture tattili», da toccare e sfiorare, quasi come un codice braille. Seguendo la “lezione” di Pinuccio Sciola, anche l’udito viene coinvolto, in quanto l’insieme di puntine può produrre, accarezzandole, singolari sonorità e vibrazioni.
In secondo luogo poiché il processo realizzativo dell’artista è vitale: si tratta di un movimento ripetitivo inconscio, quasi un martellamento, che porta a complesse opere puntiformi. L’accostamento del colore acrilico di fondo con le ristrette tonalità delle puntine genera effetti chiaroscurali pregevoli, che riproducono - in qualche modo - il gesto pittorico, la “pennellata”. La direzione intrapresa da Pasini, dunque, riporta piena centralità all’azione dell’artista, che deve saper coniugare idee e concetti stimolanti alla manualità, alla “magia del fare”, ai tempi lunghi del lavoro di esecuzione, dalla progettazione al risultato compositivo finale.
Le sculture di Pasini, che si compongono di bullette, spilli, fino a pezzetti di vetro e marmo, presentano un senso delle distribuzioni costantemente armonico. L’artista, infatti, - lasciando inconsapevolmente emergere la propria formazione da architetto -, mette ordine d’istinto e sviscera la composizione per ottenere la miglior rifinitura dei dettagli. Le puntine da disegno raccontano così delle «continue sospensioni di tempo e di spazio» e le opere costituiscono delle sintesi spontanee ripetitive unite a un'appassionata attenzione per il particolare.
Il percorso espositivo si apre con L’uomo sogna di volare (2010), opera emblema di Jungle Patterns, in cui è rappresentata una chimera: una sorta di pantera blu dotata di ali di fagiano. Se da un lato, inizialmente, colpisce l’atteggiamento combattivo del felino, fotografato in un ringhio minaccioso, dall’altro si resta poi quasi incantati dal manto energico e variopinto che riveste il corpo sinuoso dell’animale. Il tema del volo ci ricorda immediatamente il mito di Icaro e ci suggerisce, probabilmente, una premonizione dell’artista sul processo evolutivo futuro degli esseri viventi, animali e uomini.
Un’altra scultura ragguardevole è senza dubbio l’imponente e enigmatica Arca di Noè, realizzata nel 2011. Una larga cassa in legno con la quale vengono trasportati in Europa tanti trofei di animali selvatici. Ai margini compaiono zampe, arti e zoccoli adornati da tatuaggi classici - come sirene e teschi - e tattoo tribali: forse un omaggio alla pelle di esseri viventi alteri e astuti, costantemente in lotta per la sopravvivenza. L’opera, di per sé, presenta anche tracce di ambiguità: gli animali sono stati compressi brutalmente all’interno della cassa oppure stanno spingendo con forza per erompere dalla stessa?
La mostra prosegue con No problem e Occhi dolci ma non troppo, del 2008. Appartenenti alla serie Serial Killer, queste vivaci tecniche miste su tavole di legno costituiscono due opere astratto-figurative che intendono farci intravedere alcuni lineamenti di assassini, presi direttamente dalle pagine di cronaca nera del novecento. Le puntine da disegno, affastellate ordinatamente, sono inframmezzate da colate oblique di pittura: il risultato d’insieme crea un tessuto che - a sprazzi - rivela, ma, - allo stesso tempo - occulta i personaggi rappresentati. Il serial killer potrebbe essere, fino a prova contraria, chiunque.
Jungle Patterns si conclude con Vipera gabonica, serpente letale in cui emerge tutta la versatile maestria dell’artista, e Farfalle, lavori sagaci che sembrano celebrare le Accumulations di Arman.
Mark Bertazzoli, gennaio 2023
Carlo Pasini
Carlo Pasini nasce a Pavia il 12 giugno 1972. Diplomato presso il Liceo Artistico “Raffaello Sanzio” di Pavia si iscrive al Politecnico di Milano ove si laurea in Architettura con Fredi Drugman e Corrado Levi nel 1999. Inizia l’attività artistica presso il laboratorio di Aldo Mondino nel 2000 dove svolge il ruolo di collaboratore e assistente fino alla primavera 2005.
È un pittore espansivo sin dalle origini, da quando ha scelto di dipingere su delle zanzariere perfettamente funzionanti montate su intelaiature di alluminio, portando la pittura sul terreno della percezione e fruizione. Il rapporto tra vuoti e pieni ha portato Pasini a considerare la pittura non più confinata alla sola vista, bensì a includere il tatto e il senso dinamico del movimento nello spazio.
Nascono così le pelli di serpente, opere astratte costellate di macchie, screziature e arabeschi della natura. L’espressione dinamica iniziale della zanzariera viene liberata nella scultura vera e propria di animali guizzanti che lottano per la sopravvivenza, come un ritorno alle origini con una razza umana implosa e priva di maschere.
In questa vita che è un grande teatro tutti ci presentiamo con interfacce e software per comunicare informazioni criptate più simili ad animali come Cavalli di Troia in cui l’apparenza non coincide quasi mai con il vero Essere.
Mark Bertazzoli
Mark Bertazzoli, storico e critico d’arte, nasce nel 1986 a Biella, dove vive e lavora. Nel 2011 si laurea in storia contemporanea presso l’Università degli studi di Milano con la tesi “Una collana storica nell’Italia fascista. I Libri verdi Mondadori tra storia e romanzo (1932-1941)”, che pubblica nel 2013 per Edizioni Unicopli. Appassionato di arte contemporanea, nel 2014 conosce Omar Ronda che lo sceglie come assistente e lo nomina curatore del MACIST (Museo d’Arte Contemporanea Internazionale Senza Tendenze) di Biella-Riva. Presso il MACIST organizza e cura importanti mostre dedicate ad artisti contemporanei italiani e internazionali, tra cui Robert Rauschenberg, Michelangelo Pistoletto, Ugo Nespolo, Bertozzi & Casoni, Umberto Mariani, Luca Alinari e Plinio Martelli. Nel 2017 cura la doppia personale di Francesco Capello e Omar Ronda dedicata al mito Ferrari presso il Museo Ferrari di Maranello e ARC Gallery (Monza). Nel 2018 cura al MACIST una grande mostra collettiva dedicata alla Vespa Piaggio con opere di trentasei fra i maggiori artisti italiani contemporanei. Come responsabile dell’Archivio storico Omar Ronda, è co-autore, insieme a Vittoria Coen, del Catalogo ragionato dell’artista biellese, pubblicato da Skira nel 2019. Nel 2020/21 organizza e cura le due personali di Danilo Marchi “Back to Life” (Galleria Marelia, Bergamo) ed “Electric Hexagons” (Biella); seguono “R.E.M.I.D.A. - The Gold factory” e “Luciano Maciotta - Energy is in the Air” a Biella. Nel 2022 organizza e cura “Gianni Depaoli - Hope”, presso il Palazzo della Regione Piemonte a Torino.
M.A.C.I.S.T. Museum
Via Costa di Riva 9, Biella (13900)
www.macist.it
[email protected]; [email protected]; +39 338 8772385
Il “Museo d’Arte Contemporanea Internazionale Senza Tendenze”, nasce da un’idea del maestro Omar Ronda, dalla sensibilità di alcuni collezionisti e molti artisti di fama internazionale che hanno deciso di donare e di mettere a disposizione le proprie opere con il fine di sostenere le attività di prevenzione, cura e ricerca della Fondazione Edo ed Elvo Tempia, da oltre 40 anni impegnata nella lotta contro i tumori.
Per questo motivo il MACIST - essendo stato realizzato a beneficio di un ente morale di eccellenza sul territorio - si definisce come museo “etico e democratico”. La sfida etica che si pone il MACIST è quella di valorizzare e far conoscere l’arte contemporanea mondiale, senza tendenze e nelle sue migliori espressioni qualitative, sostenendo al contempo le attività di ricerca oncologica. In tal senso i visitatori del Museo rivestono il ruolo di destinatari di cultura e allo stesso tempo di protagonisti attivi nella lotta contro il cancro. Il MACIST si definisce inoltre come realtà “democratica” per due motivazioni: innanzitutto l’accesso agli spazi museali è completamente libero e gratuito sia per le collezioni permanenti che temporanee; in secondo luogo poiché non è presente una tendenza artistica preponderante tra le opere della collezione permanente. La collezione permanente costituisce un’interessante selezione delle più importanti correnti artistiche contemporanee dagli anni sessanta a oggi: Pop Art, Noveau Réalisme, Avanguardie e Avanguardie storiche, Arte povera, Neoespressionismo, Minimalismo, Transavanguardia, Arte concettuale, Nuovo Futurismo, Iperrealismo, ecc.
Il MACIST è ubicato in una posizione strategica: a Biella, nel rione Riva, all’interno della cosiddetta “isola della creatività”, a due passi da via Italia, principale arteria del centro città. Lo spazio museale, inaugurato il 14 marzo 2015, è accessibile, liberamente e gratuitamente, nei giorni di sabato e domenica dalle ore 15 alle 19,15, esclusi luglio e agosto.
L’edificio che ospita il Museo, sapientemente restaurato, presenta una superficie superiore ai 700 m2 e si trova all’interno dell’antica “Fabbrica dell’Oro” (1901) di Giuseppe Gualino (padre del più noto Riccardo, grande imprenditore biellese e collezionista d’arte), esempio di archeologia industriale e importante punto di riferimento per quanto riguarda l’arte orafa nell’Italia dei primi del novecento. Gli spazi si compongono innanzitutto di un’esposizione permanente, che raccoglie 150 opere e installazioni di 120 artisti italiani e internazionali (questi ultimi provenienti da ben 23 paesi diversi).
Il Museo si compone inoltre di una sala per proiezioni video e di una parte destinata esclusivamente a mostre temporanee. Dall’apertura a oggi sono state realizzate numerose mostre, tutte di grande successo di critica e pubblico: “Andy Warhol & Company”; “Plastica italiana”; “Michelangelo Pistoletto. Opere storiche dal 1959”; “Umberto Mariani: Prima del Piombo. Opere storiche”; “Luca Alinari. Sconosciuti anni Settanta”; “Bertozzi & Casoni. Grandi Ceramiche”; “Omaggio a Plinio Martelli”; “Ugo Nespolo. Opere storiche”, “Robert Rauschenberg - XXXIV Tavole per l’Inferno di Dante”; “Arte Africana. Dal tradizionale al Contemporaneo”; “La Vespa nella Storia e nell’Arte”; “Omar Ronda. Osiris”; “Omar Ronda. Anthology”; “Gianni Depaoli - Hope”; “Danilo Marchi - Electric Hexagons”; “R.E.M.I.D.A. - The Gold Factory”; “Luciano Maciotta - Energy is in the Air”.
La presidenza è affidata a Mariella Genova Ronda.
Il curatore del Museo è Mark Bertazzoli.