Carte in tavola
La mostra di Palazzo Mathis si propone di presentare un ipotetico banchetto, dalle vivande (tecnicamente le materie prime) fino al menu (la loro consacrazione) passando attraverso pentole, piatti e fuochi, per finire al desco, plebeo o reale non importa, purché abbondante e ben servito.
Comunicato stampa
C A R T E I N T A V O L A
IL CIBO - LA CUCINA - IL MENU
a cura di Gianfranco Schialvino
La mostra è promossa dal Comune di Bra e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Bra, in collaborazione con la Regione Piemonte, la Fondazione Politeama Teatro del Piemonte e la Cassa di Risparmio di Bra S.p.A.
La mostra di Palazzo Mathis si propone di presentare un ipotetico banchetto, dalle vivande (tecnicamente le materie prime) fino al menu (la loro consacrazione) passando attraverso pentole, piatti e fuochi, per finire al desco, plebeo o reale non importa, purché abbondante e ben servito. L’uomo infatti non si nutre soltanto, ma mangia e, nel mangiare, non si accontenta di consumare gli alimenti, ma prima li pensa, conservando nei confronti dei cibi un rapporto religioso e simbolico. Che gli arriva dal sacrificio biblico, di Abele e di Isacco, che il Dio degli ebrei gradisce; e dal furto che condannò ad essere divorato dall’aquila per l’eternità Prometeo, che regalò agli uomini quel fuoco che permise loro di inventare la cucina. E si fa poi filosofico e culturale: con Pitagora che promosse la dieta mediterranea, e l’invenzione del cibo da mangiare per strada, pane e fichi secchi, brevettato da Diogene, antesignano del sandwich e del big-mac.
Fino a capire con Feuerbach che “Mann ist, was er isst” (l’uomo è ciò che mangia).
Attraverso i quadri, le ricette e i menu, scelti ed accostati nelle dieci sale sì da formare altrettanti unicum a tema, col solo intento di suscitare emozioni, si entra nel sofisticato universo del “gusto”. Quello spirituale del palato gourmet di Brillat-Savarin, le romantiche evocazioni affettive della madeleine e della ratatouille, da Proust al topolino Remy, o ancora il sapore poliziesco del coq au vin di Maigret, da sublimare nelle sfumature di viola e liquirizia del barolo di Orengo.
Ed ecco al mercato di Vellan il sedano di Chessa e il cardo di Fico, da intingere nella bagna càuda di Abacuc, da accompagnare con la polenta di Tabusso, le costate del bue di Ruggeri e i doni del mare di Calandri e Giacomo Grosso.
Da cucinare con le ricette dei cuochi dei Savoia, e del “Gentilboca soagnà”, raccontate su raffinati menu parigini fin de siècle.
Da sacrificare e consumare in filosofici boudoir viziosi: la cucina col putagè di Tabusso e la marmitta sul fornello a gas di Salvo, la tavola ricca di Quaglino su cui portare aragoste e fagiani ma anche il pane e salame di Mario Gosso. Per frutta le mele di Sergio Saroni, le albicocche di Vacchetti e le pere dipinte sulle pagine dell’Unità da Daphne Maughan Casorati. E infine gli chantilly di Benedicenti, per una dolcissima trasgressione.