Ceal Floyer
In occasione della sua prima mostra personale in Galleria, (Ceal) Floyer ci osserva già mentre percorriamo il vialetto che conduce all’ingresso.
Comunicato stampa
In occasione della sua prima mostra personale in Galleria, (Ceal) Floyer ci osserva già mentre percorriamo il vialetto che conduce all’ingresso. Un pannello della porta a vetri satinata spicca per la sua trasparenza e lascia intravedere l’interno della galleria, a prima vista vuoto. Qualcuno sta venendo ad aprire e, da osservati, diventiamo a nostra volta osservatori. La situazione si capovolge nuovamente quando chi ci accoglie (Ceal?) si alza in punta di piedi per guardarci attraverso uno spioncino installato sul vetro. Una prassi quella di identificare gli ospiti, resa completamente obsoleta. Ciò che stiamo guardando è una “scultura”.
Entriamo ed un monocromo bianco occupa la parete principale della galleria.
Ai piedi della parete più grande c’è un nastro da pavimento per la segnaletica standard di sicurezza, situato, così com’è, in prossimità di un muro visibilmente vuoto. “KEEP CLEAR”, “LASCIARE LIBERO”, dice.
Nella seconda sala una sequenza di immagini proiettate su uno schermo autoportante mostra le istruzioni illustrate per fare le ombre cinesi. Disegni di mani bianche su sfondo nero. Le ombre, solitamente nere, diventano qui figure disegnate in bianco. L’opposto esatto di ciò che definiamo ombra.
Una piccola mensola sostiene un distanziatore che proietta un fascio di luce contro il muro. “A 47 cm long dot” si manifesta una volta posizionato lo strumento di misurazione. Una numerazione appare sul display, la misura della distanza dal muro e il puntino rosso del laser è proiettata su di esso. Un punto, di una data lunghezza.
Fasci di luce si muovono in modo circolare sul pavimento. Un incontro casuale tra faretti da discoteca e due strobosfere. Su di esse, rimane solo uno specchietto delle centinaia di tasselli che normalmente le rivestono. Ballano.
Arrivando all’ultima sala, un video a tutta parete mostra l’immagine in movimento di un avvitatore che fa il suo lavoro: spinge una vite all’interno di una tavola di legno. Utilizzando un video stock footage, l’inquadratura viene incrementalmente spostata in modo che la superficie della tavola si muova per incontrare la testa della vite, che sembra invece rimanere ferma.
Floyer ci inganna e crea situazioni dell’assurdo che ci costringono a riflettere e a ragionare. Troppo abituati al concetto di bello assoluto, ora in mostra dobbiamo rimettere le carte in tavola e lasciarci sorprendere.