Cesare Viel – Dar conto di sé
In coincidenza con la performance al Teatro Sociale di Camogli, la Fondazione Pier Luigi e Natalina Remotti presenta la mostra, Dar conto di sé. Figure, corpi, parole nell’opera di Cesare Viel, a cura di Francesca Pasini.
Comunicato stampa
In coincidenza con la performance al Teatro Sociale di Camogli, la Fondazione Pier Luigi e Natalina Remotti presenta la mostra, Dar conto di sé. Figure, corpi, parole nell’opera di Cesare Viel, a cura di Francesca Pasini.
Mentre al Teatro Sociale la performance in due atti mette in scena il rapporto con la scrittura di Virginia Woolf (Cesare Viel, To the Lighthouse, di Virginia Woolf; Mrs Dalloway-Apparecchiare la cena, di Cesare Viel), alla Fondazione Remotti sono raccolte alcune opere chiave del percorso artistico di Cesare Viel.
Il suo lavoro ha sempre tenuto insieme la performance e la parola scritta, che trae da autrici e autori amati e dalla propria scrittura. È un processo col quale sottolinea il continuo dialogo tra sé e l’altra/o nella creazione dell’opera, possiamo quindi dire che avviene un originale reciproco rispecchiamento, dove al centro è sempre la relazione.
Saranno presenti opere su carta, un tappeto, fotografie, e le immagini di alcune sue performance, tra le quali quella in cui travestito da Virginia Woolf, fa pochi movimenti mentre l’audio diffonde la lettura di alcuni brani di The Lighthouse, che costituisce il primo atto che vedremo al Teatro Sociale di Camogli. Vi saranno anche le immagini fotografiche delle performance, Lost in meditation, 1999; Operazione Bufera, 2003; Sogno Campana 2005.
Il percorso inizia con il suo primo lavoro, Specchio a carbone,1987, una grande collage di pagine del quotidiano il manifesto, completamente annerite a carboncino trasformando così il testo in una superficie-pelle, assimilabile al corpo.
A terra il tappeto di lana (170 x 310 cm) in cui è intessuta la frase Solo ciò che accade (2010), crea una prospettiva tra il basso e l’alto con le opere alle pareti ed evidenzia l’importanza che Viel dà alla fisicità del tracciato della parola manoscritta.
Un grande disegno (150 X 240 cm) su tessuto non tessuto Alluvioni Universali, 2010, crea un ulteriore scambio tra parola e immagine. È tratto da una foto apparsa su un quotidiano in cui una donna indiana è immersa nel turbinio d'acqua di un'alluvione nel 2009. La didascalia, " più nessuno, da nessuna parte", proviene da un testo di Roland Barthes sul lutto per la perdita della madre. La frase scritta a mano e il disegno vanno intenzionalmente oltre la cronaca, e aprono una prospettiva più profonda e più rispettosa, sulla nostra relazione complessa con la realtà e la comunicazione.
La forza della parola è sempre abbinata alla fisicità della scrittura a mano e quindi è un altro esplicito richiamo alla relazione tra ritratto e autoritratto nel momento in cui si legge e si guarda, come testimonia il testo scritto con pennarello su foglio di carta da pacchi Progetto Bachmann,
2006 (107 x147 cm).
Mentre il ciclo di foto Esterni di sé, 1998 allude ironicamente a quel ritratto di sé che tutti vorremmo captare vedendoci dall’esterno, quando siamo chiamati a dar conto di noi stessi.
Nella saletta sul retro sarà inoltre allestita la proiezione di una selezione di alcuni video delle sue performance.