Chiara Pergola – Passanti/ InDoor
Riflessione sulla complessità dell’immagine attraverso un’opera di Chiara Pergola.
Comunicato stampa
Nell’ambito della programmazione sul tema ‘immagine’, cui sono dedicate le attività del Centro Culturale dell’intero anno accademico 2015/2016, la Fondazione San Carlo propone l’installazione Passanti (InDoor), realizzata da Chiara Pergola. Ponendosi in dialogo diretto con il luogo in cui si inserisce, la Sala dei Cardinali della Fondazione, e con gli osservatori, l’opera intende stimolare, attraverso i riflessi generati da 153 specchi di vetro sottile, una riflessione sullo statuto delle immagini e sul significato simbolico ed espressivo della loro percezione.
L’installazione sarà aperta al pubblico da venerdì 26 febbraio a venerdì 29 aprile, dal lunedì al venerdì, dalle ore 8.30 alle ore 19.00 (escluse le festività pasquali, dal 24 al 29 marzo, e il 25 aprile). Per informazioni è possibile contattare il numero 059.421237.
Il vernissage, a ingresso libero, si terrà mercoledì 16 marzo alle ore 18.00. In occasione dell’incontro con l’artista verrà presentato il catalogo relativo all’installazione, a cura di Antonella Battilani, con un saggio critico di Elio Franzini, docente di Estetica all’Università di Milano e membro del Comitato Scientifico della Fondazione San Carlo.
“Lo sguardo nell’arte, nelle lame di vetro di Chiara Pergola, diviene vivo, interagisce con la forma artistica e con quel che la circonda, modifica il nostro stesso modo di vedere. Questi altri occhi sono tuttavia i nostri occhi, quelli con cui guardiamo il mondo, gli spazi che abitiamo. Le immagini con cui il mondo qui appare permettono a ciascuno di noi, nelle diverse ore del giorno, di disegnare una “propria” storia, dove l’immagine non è la “ripetizione” delle cose, bensì il luogo, e il tempo, in cui ne manifesta il senso espressivo…” (estratto del testo critico di Elio Franzini).
Chiara Pergola vive e lavora a Bologna. La sua ricerca, legata all’evoluzione della dimensione simbolica, dà origine a installazioni e interventi che rivelano la natura semantica di ogni forma espressiva e l’azione del segno sulla realtà. L’installazione Passanti (InDoor) è legata all’oggetto che ha dato origine alla sua esperienza artistica: un sottile specchio che, forzando a una visione convergente, costringe a prendere atto dell’intrinseca molteplicità dell’immagine.
Testo critico sull’installazione Passanti/InDoor, a cura di Elio Franzini, professore di Estetica presso l’Università di Milano, membro del Comitato Scientifico della Fondazione San Carlo di Modena
Quando nell’arte appare lo specchio, la sua forza simbolica si presenta potente: l’opera non riproduce il visibile, bensì ne moltiplica le prospettive e le possibilità. L’arte, come nel lavoro di Chiara Pergola, diviene, per noi che passiamo, per noi passanti, varcare una soglia, attraversare una porta, quella linea sottile tra la forma e l’informe. Il “sapere” che è nelle immagini si coglie soltanto spezzando un paradigma regolistico, e classicistico, recuperando un’idea simbolica di forma, che è sempre compresenza - e mediazione - di visibile e invisibile. La “forma” artistica non è un’immagine mimetica, bensì è il senso simbolico dello spazio e del suo infinito moltiplicarsi in lame, in luce che si irradia, creando ombre, che sono nuove forme: esse derivano questo inestinguibile desiderio di “nuovo” dal voler essere “anamorfosi”, cioè stravolgimento della forma stessa, che ne mostra tuttavia l’interna forza, la volontà di espansione. Si inaugura qui un sapere figurale che non può essere “detto”, anche se è immediatamente, intuitivamente presente alla nostra realtà.
Lo sguardo nell’arte, nelle lame di vetro di Chiara Pergola, diviene vivo, interagisce con la forma artistica e con quel che la circonda, modifica il nostro stesso modo di vedere. Questi altri occhi sono tuttavia i nostri occhi, quelli con cui guardiamo il mondo, gli spazi che abitiamo. Le immagini con cui il mondo qui appare permettono a ciascuno di noi, nelle diverse ore del giorno, di disegnare una “propria” storia, dove l’immagine non è la “ripetizione” delle cose, bensì il luogo, e il tempo, in cui ne manifesta il senso espressivo. L’immagine, con le sue anamorfosi, si pone dunque, in questo lavoro, come punto di avvio per esibire il senso simbolico, espressivo e spirituale della percezione, per comprendere, infine, che dietro essa si cela un potere che in vari modi manifesta la relazione conoscitiva tra uno sguardo che afferra e le qualità degli spazi in cui “passiamo”.
Le lame di luce, gli specchi che Chiara Pergola getta verso l’alto, nascenti da solida base, ma ciascuno diverso dall’altro, e diversamente orientato, fanno comprendere che un’immagine è “simbolica” non quando viene descritta da una saggia iconologia, ma nel momento in cui, prima di questo orizzonte, costituisce il mondo come “organismo nascente”, come “operazione d’espressione”, che non allontana dalla realtà, ma che, indipendentemente da ciò che rappresenta, svela il senso profondo delle cose. L’artista, scrive il filosofo Merleau-Ponty, riprende e converte in oggetto visibile ciò che senza di lui resterebbe rinchiuso nella vita separata di ogni coscienza: rende l’immagine una “vibrazione delle apparenze” che rivela “la genesi delle cose”, inscindibile dalla realtà espressiva del nostro corpo.
Lo statuto di un’immagine è dunque legato a dimensioni estetiche, che si riferiscono in prima istanza alla percezione di uno spazio. Tale spazio di rappresentazione, la Sala dei Cardinali della Fondazione che attraversiamo, si offre così, grazie all’arte, alle sue stratificazioni di arte e di tempo, in molti modi, presentando, con il gioco dei riflessi, “luoghi” dell’immaginazione. Questo spazio, nella sua simbolicità, non è allora una nozione astratta, bensì una connessione che offre nuovi modi di orientarci nel mondo. Lo spazio, ci dice Chiara Pergola, non è una specie di etere nel quale sono immerse tutte le cose, bensì una potenza di connessione, che assume lo stile di uno spazio vissuto, che ciascuno di noi arricchisce, e nuovamente interpreta, con il proprio sguardo.
Spazi, dunque, da descrivere, senza che tale descrizione sia frantumazione del senso dello spazio stesso della rappresentazione, ma solo messa in rilievo di alcuni elementi del suo senso, che concorrono a delinearne una essenza che solo attraverso la nostra esperienza può manifestarsi. Gli specchi di Chiara Pergola, pur partendo da frammenti di vetro, non sono allora l’elogio di un frantumarsi della forma, bensì ne vogliono attestare un nuovo potere dialogico, che unisce l’invenzione fantastica e il senso filosofico, la situazione eccezionale e la ricerca della verità.
A partire dalle lame, e dai loro giochi di visioni e di ombre, si comprende il profondo rapporto tra rappresentazione artistica e funzione simbolica: perché vi sono forme di vita che non si riducono alla loro esibizione, bensì sono eventi che non possono svolgersi sul piano di una coscienza unica e unitaria, ma presuppongono quel dialogo tra coscienze cui il dialogo degli specchi allude. Queste opere di vetro sottile lanciato verso l’alto, che sono tra loro diverse, che esprimono punti di vista differenti, mostrano così un’esigenza comune, quella di esibire il manifestarsi storico di un “sentire” capace di spiegare i motivi di fondo che sono il senso, a volte invisibile, della storia stessa, il suo vivere simbolico in varie forme, in molteplici modalità non sempre rappresentative, espressione di differenti modi retorici per rivelare i sensi nascosti dell’immagine. La storia dell’arte, in particolare nella nostra contemporaneità, non si costruisce soltanto con le cronologie, bensì svincolando le forme da una rigida storicizzazione e cogliendone, senza rigettarne la storicità, gli spessori emotivi, afferrando che essa è una via per mostrare i sensi conoscitivi della rappresentazione, i suoi rapporti con la spazio-temporalità dell’esperienza. Il lavoro di Chiara Pergola, posto in un interno “storico”, ricco di autorevole passato, ricorda dunque a ciascuno di noi che passa, che attraversa la porta, che una narrazione cronologica e storica che non colga la potenza sincronica e diacronica racchiusa nelle immagini simboliche rischia, anche là dove rispecchia la consequenzialità dei linguaggi, di uccidere o depotenziare proprio l’intrinseca simbolicità della storia, che vive anche di salti, di legami analogici, di riunificazioni improvvise e apparentemente casuali tra le forme. Questi specchi fanno comprendere che il tempo lineare in cui viviamo è attraversato da lame di luce che ne arricchiscono la qualità, che ne moltiplicano le possibilità, in un incontro rinnovato e paradossale tra le forme dello spazio e quelle del tempo.