Chiara Pergola – Via
Presso la Galleria d’arte contemporanea “Vero Stoppioni” verrà presentata un’esposizione di lavori dell’artista, connessi all’ideazione dell’opera per Santa Sofia.
Comunicato stampa
Domenica 4 maggio 2014, ore 16.00, in piazza Matteotti a Santa Sofia (Forlì-Cesena) verrà presentata l’opera “Via” dell’artista bolognese Chiara Pergola, vincitrice della 52^ edizione del Premio Campigna del 2010. Il progetto è stato premiato da una giuria composta dal presidente
Presso la Galleria d’arte contemporanea “Vero Stoppioni” verrà presentata un’esposizione di lavori dell'artista, connessi all'ideazione dell'opera per Santa Sofia. Interverranno durante la manifestazione il Sindaco di Santa Sofia e il critico d'arte Renato Barilli, curatore del progetto in fase esecutiva.
domenica 4 maggio ore 16:00 - Inaugurazione dell'opera nel Parco di Sculture, Piazza Matteotti, Santa Sofia (FC)
dal 4 maggio al 1 giugno 2014 - Esposizione di lavori connessi all'ideazione del progetto: Galleria Vero Stoppioni.
Per informazioni: Ufficio Cultura Zona Due Valli 0543.975428 – [email protected]
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Renato Barilli
Uno spettacolo sempre aperto e mobile
Tra gli aspetti che costituiscono il fascino di un Parco di sculture all’aperto ci sta la possibilità che le varie installazioni si presentino con una piacevole varietà, in quanto il loro primo dovere è di adattarsi alle pieghe del territorio cui sono destinate. In questo senso il Parco nato attorno a Santa Sofia e lungo le rive del Bidente non fa certo eccezione, anzi, offre una ricca gamma di soluzioni, che fra l’altro, seppure con estrema lentezza, continuano ad arricchirsi. Ci sono pezzi classici-monumentali come quelli innalzati da Staccioli, Mainolfi, Mattiacci, Carrino, ma anche le invasioni del letto del fiume, come relitti di un naufragio avvenuto in tempi preistorici, operate dai coniugi Poirier. C’è una struttura quasi invisibile, e dunque da fruire più con la mente che con i sensi, voluta da Nagasawa, o invece la proposta utile-funzionale allestita dal duo Cuoghi-Corsello. E infine abbiamo l’ultima nata, in questa covata risultante da lunghi tempi di maturazione, dovuta questa a Chiara Pergola, con progetto prescelto qualche tempo fa da una giuria presieduta da un giudice d’eccezione, l’allora, e ancor oggi felicemente insediato, presidente della Biennale di Venezia, Paolo Baratta che ritorna volentieri in questo suo luogo d’origine. L’intervento della Pergola è fra tutti il meno monumentale, tanto che ci sarebbe da chiedersi se gli possa competere l’appellativo di scultura. Infatti è piuttosto un lavoro “in togliere”, al rientro, quasi in negativo, laddove quando si parla di scultura si pensa a qualcosa che si erge baldanzosamente in piedi, saldamente sorretto su una propria base. Invece la Pergola ha concepito un intervento di segno contrario, che mette a rischio la stabilità dell’edificio su cui è caduta la sua scelta, insinuandovi una crepa minacciosa, con l’andamento sinuoso e imprevedibile che appartiene proprio allo statuto di questi incidenti, per i quali si addice la geometria dei frattali, e non certo qualche criterio più regolare e controllabile. Il bello è che il muro su cui la Pergola incide la sua falce distruttiva sembrerebbe già pericolante per conto proprio, tanto che si intravedono delle chiavi di rafforzamento, interventi insomma rivolti in senso contrario, a sostegno di una parete, di cui invece l’artista sembra voler affrettare il decadimento. Diciamo subito che, ne sia o no consapevole, la Nostra eredita la magnifica accettazione del caso di cui diede prova il grande Duchamp, quando non volle intervenire per eliminare la frattura apertasi nel suo Grande vetro, considerandola invece come un’aggiunta del tutto proficua. D’altra parte, a ben guardare, non è che l’opera della Pergola sia del tutto in negativo, e pretenda aprire una falla, un pertugio sprofondante nei segreti recessi della materia. Infatti quella crepa in apparenza prodotta dal caso viene subito tamponata, richiusa, rabberciata con l’inserimento di una superficie speculare, e dunque il nostro occhio rimbalza all’esterno, l’opera ci rigetta dalle sue viscere e si presta a catturare l’ambiente circostante, Col che è recuperato lo statuto della “scultura all’aperto”, quella ferita riesce a dialogare con il paesaggio circostante, di cui riflette il variare delle ore e delle stagioni, in uno spettacolo mobile e cangiante, che in definitiva ricalca lo stesso intento con cui Claude Monet voleva fissare il trasmutare delle ore e i loro riflessi sui portali della cattedrale di Rouen. Come richiede la regola dell’arte di oggi, dalla rappresentazione si passa alla presentazione diretta, in tempo reale, senza neppure fare ricorso alla videoregistrazione, che sarebbe un espediente per riportare l’atto estetico al vecchio criterio museale. No, così, quel falcetto di luna resta sempre disponibile a raccogliere in sé l’incessante fluire del tempo: spettacolo sempre aperto e continuato, ad ogni ora del giorno.