Christian Gonzenbach – Oligoneoptera

Informazioni Evento

Luogo
MASI LUGANO PALAZZO REALI
Via Canova 10, Lugano, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

martedì 14-17, da mercoledì a domenica 10-17, lunedì chiuso

Vernissage
02/09/2011

ore 18.30

Catalogo
Catalogo: bilingue italiano/inglese Testo di Elio Schenini
Artisti
Christian Gonzenbach
Generi
arte contemporanea, personale

Tra le figure emergenti della scena artistica contemporanea romanda, Gonzenbach opera sul
confine tra ordinario e straordinario, tra banale e meraviglioso, proponendo, attraverso installazioni, animazioni video e fotografie, un incontro con una quotidianità che, d’improvviso, si trasfigura nel segno dell’assurdo e della poesia.

Comunicato stampa

Venerdì 2 settembre si inaugura nell’Ala Est del Museo Cantonale d’Arte la mostra dell’artista
ginevrino Christian Gonzenbach (1975) dall’intrigante e misterioso titolo Oligoneoptera,
secondo appuntamento annuale che il Museo Cantonale d’Arte dedica alla scena artistica
svizzera contemporanea. L’esposizione si colloca nell’ambito del ciclo di mostre curate da Elio
Schenini, che vedono alternarsi artisti ticinesi e artisti provenienti dal resto della Svizzera con
l’intento di offrire al pubblico ticinese uno sguardo sulla produzione artistica più attuale.
Tra le figure emergenti della scena artistica contemporanea romanda, Gonzenbach opera sul
confine tra ordinario e straordinario, tra banale e meraviglioso, proponendo, attraverso
installazioni, animazioni video e fotografie, un incontro con una quotidianità che, d’improvviso, si
trasfigura nel segno dell’assurdo e della poesia. Rientra sicuramente in quest’ambito anche la
mostra proposta a Lugano, come preannuncia lo stesso titolo, Oligoneoptera, termine
foneticamente ostico, vagamente esotico e al tempo stesso di evidente matrice greca e
intuitivamente riconducibile alla terminologia scientifica. Esso si riferisce infatti ad un superordine
di insetti, caratterizzato da uno sviluppo metamorfico, nel quale gli stadi larvali sono nettamente
differenziati, sia dal punto di vista morfologico che da quello anatomico, dallo stadio adulto. Già
dal titolo della mostra risultano quindi evidenti due temi di fondo che permettono di avvicinarsi
all’essenza del lavoro artistico di Gonzenbach: da un lato la stretta relazione che intercorre tra il
suo modo di intendere l’attività artistica e la scienza (con cui ha una consuetudine che gli deriva
dagli anni dell’infanzia e dall’ambiente familiare), dall’altro l’importanza del concetto di
metamorfosi nella sua poetica.
L’opera di Gonzenbach è pervasa da una costante riflessione sul rapporto osmotico tra natura e
cultura; un incessante interrogarsi sugli scambi che esistono tra queste due entità, solo
apparentemente opposte, i cui confini, come evidenziano molti suoi lavori, spesso si
sovrappongono e si intrecciano fondendosi in un inestricabile viluppo. Nel lavoro di Gonzenbach
assistiamo ad una sorta di incessante metamorfosi che si sviluppa attorno a questa polarità, a
una trasformazione costante della natura in cultura e della cultura in natura. Questa continua
metamorfosi delle cose che ci circondano, anche delle più banali, è l’unico modo a nostra
disposizione per conoscere veramente la realtà, per guardarla in modo sempre nuovo senza
rimanere imprigionati nelle nostre stesse strutture mentali. Emerge così in Gonzenbach una
complessa riflessione filosofica su temi come quello della vita e le sue implicazioni etiche ed
esistenziali.
Nell’Ala Est – oltre ad alcuni recenti lavori dell’artista quali la serie di disegni a China di grande
formato Mind Map e alle sculture del passato rivoltate come guanti e realizzate in ceramica
smaltata – sono esposti anche alcuni lavori precedenti come le eliografie di Firefly o le pelli di
oggetti di Skins. A Hunter’s Collection o gli animali rivoltati di Inverted. Al centro dello spazio
espositivo l’artista ha immaginato una grande scultura in legno dal titolo Fafnir. Quest’opera
costituisce la ricostruzione in scala 1:1 dello scheletro di un aliante progettato e costruito da
Alexandre Lippisch nei primi anni Trenta, il cui nome, Fafnir, è stato preso a prestito da un drago
della mitologia scandinava. Ovviamente, viste le sue dimensioni (19 metri di apertura alare e 8 m
di fusoliera), la struttura dell’aereo che l’artista ha ricostruito partendo dai piani per la
realizzazione di un modellino in scala non ha potuto che adeguarsi a quello dello spazio in cui è
collocato. A metà tra la carcassa disarticolata di un aereo e lo scheletro snodato di un enorme
pterodattilo, questa scultura non ci parla di schianti o disastri come potrebbe sembrare a prima
vista, ma di esplorazioni dello spazio e di limiti, raccontandoci il paradosso di un oggetto
progettato dall’uomo per librarsi nello spazio sconfinato del cielo, che si trova ad essere
incastrato tra le travi e le pareti anguste di uno spazio architettonico.