Cinetica Monocroma Spaziale Astratta
La mostra riassume i caratteri principali di tutta quell’arte, slegata dal realismo e dall’immagine, che fa da ponte a un transito nuovo verso l’imminente stagione del concettuale e dell’Arte Povera.
Comunicato stampa
Jerome Zodo Contemporary è lieta di presentare la mostra Cinetica Monocroma Spaziale Astratta.
A giudicare dall’interesse critico, mercantile e collezionistico, si ha l’impressione che il calendario dell’arte italiana si sia fermato agli anni ’70.
I motivi sono diversi, a partire dall’affermazione di quel gusto vintage oggi presente non solo nell’arte ma anche nel design, nell’architettura e nella moda per cui tendiamo a identificarci, forse rifugiarci, in un passato recente del quale abbiamo memoria vissuta. Oppure perché il periodo tra anni ’60 e ’70 ha costituito un momento particolarmente effervescente della nostra cultura: era forte il desiderio di cambiamento, l’avanzata culturale e sociale verso una forma di possibile utopia e l’arte veniva ancora intesa come il territorio della ricerca d’avanguardia. Allora insomma l’Italia in particolare, ma l’Europa in generale, era considerata la culla della sperimentazione, mentre oggi necessariamente dobbiamo rivolgere lo sguardo ad altri Paesi del mondo, alcuni davvero lontani, per rintracciare le stesse energie di allora.
Questa mostra presentata da Jerome Zodo Contemporary si intitola Cinetica Monocroma Spaziale Astratta e riassume i caratteri principali di tutta quell’arte, slegata dal realismo e dall’immagine, che fa da ponte a un transito nuovo verso l’imminente stagione del concettuale e dell’Arte Povera: cinetica perché presume una struttura in movimento, instabile, e pone il problema dell’opera dal punto di vista dell’osservatore in quanto coprotagonista della ricerca; monocroma, in quanto a partire dalla celebre mostra Monochrome Malerei del 1959 a Leverkusen in Germania vede il nodo della contemporaneità nel colore assoluto, scelta condivisa in Europa come negli Stati Uniti; spaziale perché a partire dall’elaborazione dell’omonimo Manifesto nel 1948, sarà il maestro Lucio Fontana ad aprire verso una nuova sensibilità teorica e visiva, nella stessa epoca in cui l’uomo sorvola l’orbita terrestre per approdare, infine, sul suolo lunare; astratta, infine, per la ferma e convinta rinuncia a qualsiasi forma realistica, ritenuta un limite dell’opera stessa e non abbastanza al passo coi tempi.
Di Fontana si sottolineava il ruolo di precursore assoluto, figura chiave soprattutto nell’arte a Milano, la città dove ha operato e dove è scomparso nel 1968, un anno decisamente simbolico alla fine di un decennio forse irripetibile per la nostra cultura. Molti dei protagonisti della mostra sono peraltro ancora in piena attività, lungo una linea di coerenza, rigore ed estro, mentre alcuni sono scomparsi di recente. Agostino Bonalumi è morto esattamente un anno fa, nel settembre 2013 così come Toni Costa, aprile 2013, cofondatore del Gruppo N; Dadamaino ci ha lasciati nell’aprile 2004, avendo visto crescere l’interesse per un lavoro davvero importante, in un’epoca in cui si contavano pochissime donne attive nell’arte italiana, e oggi viene giustamente considerata nella sua giusta importanza.
Turi Simeti (1929), Enrico Castellani (1930), Franco Costalonga (1933), Alberto Biasi (1937) appartengono alla “generazione anni ‘30”, la più prolifica se si estende lo sguardo a tutto il panorama dell’arte italiana. Giusto che vengano finalmente letti in una chiave diversa, alla luce degli sviluppi attuali, a conferma del loro ruolo culturale complesso e articolato.
Luca Beatrice