City of
Mostra collettiva
Comunicato stampa
La città intesa come luogo-contenitore di tutti quegli spazi che hanno la prerogativa di essere identitari e inducono ad una riflessione esistenziale nel viverli: una scena ordinaria colta ai bordi di una strada meno suggestiva ed evidente, o non-luoghi dove la vita si ferma in una sospensione quasi metafisica, ponendo i fuochi visivi fuori dalla centralità quotidiana, sbilanciando il fruitore in un dialogo con l'opera non convenzionale.
Tali tematiche cittadine si condensano nel lavoro di tre artisti napoletani, i quali parlano di Napoli e non solo; provengono da formazioni diverse, ma con il comune denominatore di essere molto attenti alla realtà dell'attualità sociale, dei cambiamenti in atto, delle criticità della città e del suo vissuto.
Per Massimo Campagna la sintesi del linguaggio visivo si fa espressione forte della condizione dei migranti e viene affrontata con opere in cui è presente il "cammino" generazionale che dalla fine del XIX secolo ha visto prima gli italiani lasciare le loro città, ed in particolare Napoli e il sud, verso destinazioni di speranza di una nuova condizione del vivere. Allo stesso modo, le ultime generazioni di migranti dal sud del mondo partono verso l'Europa su barconi fatiscenti, carichi di guerre e frustrazioni e approdano, quando hanno fortuna, scalzi e denutriti sulle nostre coste.
Campagna presenta ritratti fotografici di migranti che non hanno bisogno di rappresentatività iconografica, né di una personalizzazione che non viene loro riconosciuta.
Nell'opera l'artista inserisce anche il proprio ritratto, come unicum di un vissuto collettivo, dove la tragedia di percorsi comuni si evidenzia con due opere che presentano i passi, pesanti, barcollanti, a volte strazianti, verso
società che non sempre accolgono con le aperture auspicate. Una società cieca agli obiettivi umanitari e ripiegata sui propri interessi minimi di sopravvivenza. Campagna, d’altronde, si muove da anni nei territori dell’identificazione, dove scompaiono mano a mano i tratti personalizzanti, virando verso l’indefinita esistenza. È un artista attento al tempo in cui vive e impegnato nel denunciare lo stato delle cose.
Lo fa con una tecnica in cui la fotografia è in competizione con la pittura e la pittura segue la fotografia; attraverso di essa ed il processo con cui la realizza su metallo, ci offre il senso dei tempi.
Lucio DDTArt proietta in un mondo parallelo i suoi personaggi, come esito della dissennatezza del nostro tempo. Mondi sconvolti da post esplosioni nucleari, dove la solitudine della morte sfiorata lascia sul campo solo brandelli di memoria passata, di regole biologiche oramai mutate ed inserite in territori post industriali indefiniti, soli e abbandonati dalla vita. Scenari di ricostruzioni e feticci morfologicamente virati in un mix di tessuti biologici e materiali elettronici, dove il monito dell’artista è forte, ad indicare la strada verso cui l’umanità si è incamminata inconsapevole dei frutti che produrrà.
Artista sensibile e impegnato anche sul versante dell’azione performativa, incarna le generazioni che hanno vissuto da adolescenti degli anni novanta il disastro di Chernobyl in Unione Sovietica. Nel 1986 si verificò l’incidente nucleare in assoluto più grave di cui si abbia notizia. Il surriscaldamento provocò la fusione del nucleo del reattore e l’esplosione del vapore radioattivo. Circa 30 persone morirono immediatamente, altre 2500 nel periodo successivo per malattie e cause tumorali. L’intera Europa fu esposta alla Nube radioattiva e per milioni di cittadini europei aumentò il rischio di contrarre tumori e leucemia.
Questo è il mondo che Lucio DDTArt rende, nella sua “visione” dove gli esseri viventi senza identità sono il resoconto di una sconfitta collettiva. Ne presenta in mostra uno scenario in cui entrare e passeggiare tra forti odori di gas e alienati prodomi di città oramai fantasmi.
Alessandro Papari presenta tre opere di periodi diversi: la prima è “Lump” del 2011, dove il dato espressivo si fa forte e la dinamica del gesto pittorico spinge verso soluzioni estreme sia in termini di materia che di segno; la seconda è un’opera del 2017, “Escape”, nella quale il dato figurativo si riappropria del dato realistico e racconta di uno spaccato di qualsiasi città globalizzata, dove lo stupore per l’inverosimile di un artista di strada è l’unica via d’uscita in una società oramai distante e plagiata. La terza è “Green Line”, in cui l’artista presenta una pittura con meno ricerche materiche e più improntata ad una lettura introspettiva, presentando un bambino nel suo solito gioco, mentre traccia una linea verde che sembra una demarcazione tra vecchio e nuovo mondo.
E direi, soprattutto nell’era dell’arte digitalizzata, dove i social rimandano un melting pot di immagini e opere di artisti improvvidi e senza sapere, quella di Papari è una pittura sicura e determinata, dove l’aspetto del quotidiano lavoro è fondamento di risultato e di una capacità che da mera realizzazione diventa forza espressiva e di interpretazione dell’attualità. Nelle opere in mostra, le scelte di un artista che nella tavolozza e negli impasti riesce a codificare un genere.
Le serie a tema sono l’esempio di un’attenzione non solo alle criticità di sistema, ma anche ai modi e alle mode di una società che cammina di pari passo con la crescita dell’artista e il suo punto di vista. Scorci di città e paesaggi con tagli di un vissuto quotidiano, dove Papari esalta il crescente senso di appartenenza dei suoi personaggi, che sfumano e scompaiono a volte dalla scena, mentre la vocazione alla riscoperta delle sensazioni vissute è forte e pregnante nell’opera con il bambino “Green Line”, di grande impatto emozionale.
Una ricerca sempre in progress, quella di Papari che, tra astrazione e figurazione, mantiene salda la sua riconoscibilità di fine interprete della pittura contemporanea.
Gianni Nappa
Massimo Campagna
Nasce a Napoli nel 1966, città dove risiede e lavora; studia all’Istituto statale d’Arte di Napoli, dove si diploma in pittura. Negli anni ’80, ancora da allievo, inizia a frequentare la famosa galleria d’Arte contemporanea LIA RUMMA, dove ha la possibilità di vedere e conoscere artisti di fama mondiale. Il suo percorso artistico inizia proprio in quegli anni, con una pittura post-impressionista, che concorda pienamente con le forme internazionali del tempo. Presto superata la nuova ricerca informale, sempre attento ai fatti del mondo, non si sottrae all’impulso di tradurre in termini figurativi le sue riflessioni e i suoi giudizi sulla società. La sua denuncia in arte diventa più sofferta: protagonisti diventano i fatti quotidiani; a partire dagli anni 2000 prende spunto da fatti di cronaca, accostando la fotografia alla pittura, che è il vero soggetto della sua opera, al di là di certe apparenze figurative sin quasi a cancellare la prima trama cromatica e a nascondere spesso la figura umana.
Lucio DDTArt
Tratto da uno scritto di Valerio Deho
…”Da un certo punto di vista è vero che l’uomo ha sempre modificato il proprio ambiente e ha creato degli animali sempre più vicini alle proprie esigenze. Gli animali domestici sono tutti frutti di artificio, razze pure di cani o gatti praticamente non esistono. Lo stesso vale per le piante. L’artificialità è l’unica naturalezza a nostra disposizione. Ma le possibilità che si sono aperte dicono qualcosa in più perché il mostro non ha più l’empirismo e la casualità del Frankenstein, diventa un programma di controllo che ha a disposizione una combinatoria sterminata. Ma la genetica rimuove le paure ancestrali? DDT Art sembra dire di no. È vero piuttosto che ne crea di nuove, anche perché sembra fuori controllo anche da parte della stessa scienza che invece di confortare inventa nuovi scenari di paura.”
Alessandro Papari
Nasce a Napoli nel 1971. Dopo gli studi di pittura all’Accademia di Belle Arti della sua città, inizia a esporre nel 1991.
Sguardi metropolitani estratto da Andrea Baffoni
…”Alessandro Papari si muove nelle metropoli in piena libertà, Napoli in primis, la propria città, e poi tutte quelle che riesce a visitare, per svago o per lavoro, poco importa, poiché a contare è solo la sua volontà: osservare e fermare momenti di vita metropolitana, cogliere ignari passanti in attimi di serena inconsapevolezza, nel loro impegno giornaliero o nel pieno di una pausa riflessiva. Ma il mestiere di Papari è la pittura, tradizionale, stesa ad olio su tela o più raramente su tavola, col pennello e con la spatola. Una pittura tradizionale nei modi, ma non nei risultati. La vita quotidiana vissuta sul posto, e fissata nell’immaginario con l’istantaneità del primo scatto, è filtrata dall’interiorità dell’artista che ne assimila ogni minimo aspetto, ricomponendolo sulla tela con l’intervento del colore, trascinando la realtà nel suo personalissimo universo pittorico…”
“La pittura di Papari è comunque un moderno espressionismo di ricordo metafisico…La possibilità di fermare il tempo, fissando l’attimo, ed oggi, in quest’epoca così frenetica, sempre più convulsa ma sempre più eccitante, la figurazione metropolitana di Papari sembra la formula più adeguata per poter interpretare il costante fluire delle molteplici realtà esistenti.”