Clara Luiselli – Attese da sole
Il progetto converte lo spazio espositivo in un’istallazione che trasfigura il concetto del tempo nell’enigmatico fattore dell’attesa. Sesto appuntamento della rassegna Le Stanze.
Comunicato stampa
Venerdì 21 Ottobre 2011, ore 18.30, presso lo Spazio Espositivo Le Stanze a Trescore Balneario sarà presentata al pubblico, la mostra di Clara Luiselli – Attese da sole. Sesto appuntamento della rassegna Le Stanze.
Le Stanze è un progetto, curato da Mauro Zanchi e Raffaele Sicignano, che rivolge l’attenzione a varie esperienze dell’arte contemporanea: dalla pittura alla scultura alla videoarte, è un progetto, ideato e promosso dalla Pro Loco di Trescore Balneario gode del sostegno del Comune di Trescore Balneario e dell’Assessorato alla Cultura.
All’inaugurazione interverranno Alberto Finazzi, Sindaco di Trescore Balneario, Roberto Belotti, Assessore alla Cultura del Comune di Trescore Balneario, Carlo Algisi Presidente della Pro Loco Trescore, Mauro Zanchi curatore della mostra.
La mostra di Clara Luiselli – Attese da sole converte lo spazio espositivo in un’istallazione che trasfigura il concetto del tempo nell’enigmatico fattore dell’attesa. Da origine ad un viaggio che scandisce il passaggio nelle stanze in un continuo movimento fatto di incognite e dinamiche riflessioni sul quando. Il curatore Mauro Zanchi nel suo testo così descrive l’evento espositivo:
Clara Luiselli ricrea un viaggio negli inferi del tempo, tra stati di sospensione e momenti accelerati, in perenni sale d’attesa, attraverso quattro stanze, come fosse una discesa graduale nella dimensione di una cronologia profondamente intima. A mano a mano che ogni fruitore percorre il suo viaggio personale nelle stanze, il tempo si fa sempre più ampio, si dilata, come se si ampliasse in una forma interiore, dove ognuno può sostare per una durata mutevole, per entrare sempre più nei recessi dello spazio e del tempo. Nell’andare dall’una all’altra sala, le persone sono indotte a rallentare il loro movimento, per comprendere più in profondità, attraverso i medium dell’attenzione e della fatica.
La prima stanza è di passaggio, come se si scorresse accanto a una vetrina allestita velocemente. L’insieme ha una forma caotica, si costruisce poco alla volta, di scatto in scatto, sviluppato e mostrato quasi in tempo reale. È uno spazio vuoto che si carica di polaroid, di tracce estemporanee dell’azione performativa messa in atto nella grande vasca della ex filanda. Una donna, che sa comprendere il mistero della realtà, narra ciò che si svolge dal corpo di Clara completamente avvolto da una collana di ottomila perline rosso trasparente. Le immagini della performance sono associate a vari altri oggetti appesi alle pareti o posati sul pavimento, a momenti di forme che vagano nello spazio, forme che potrebbero anche non avere nessi fra di loro.
Nella seconda stanza è allestita l’opera Waiting for the sun, un intrico di elementi metallici, con una struttura autoportante, labirintica, costruita per condurre la luce del sole (o un interno domestico illuminato da un lampadario) nel cavo di una nicchia. La luce viene catturata da “gobos”, ovvero da piccole superfici specchianti, che colgono il sapore della chiarità per portarlo in una dimensione dominata dal buio. Rappresenta un passaggio da un interno all’esterno, per rientrare in un altro interno, in un moto perpetuo, che permette di cogliere l’infinitesimo attimo, in un determinato momento del tempo, dopo una lunga e faticosa costruzione, per spiccare un volo liberatorio. Come se si potesse fuggire col pensiero, aspettando il momento giusto, anche solo per un istante, riuscendo a cogliere un piccolo raggio di sole, una boccata d’aria in uno stato di prigionia.
Nella terza stanza - intesa come spazio di decompressione, di stacco, perché stretta e lunga, con la presenza evocativa di una vetrina/sarcofago - c’è un metronomo che muove l’asta, in alternanza, di qua e di là, continuamente, ora verso la parola “sempre” ora verso “mai”. Qui si sosta dinnanzi alla possibilità della rivelazione, in un lentissimo ritmo infinito, in un tempo che continua a muoversi. Finché non si decide di accogliere una parola o l’altra si rimane in un tempo sospeso. Entrambe le parole riconducono a una percezione enigmatica, tra due sensi opposti. Clara prova una grande attrazione per gli enigmi, per le parole che hanno duplici significati, per gli spazi che si dilatano all’interno di spazi chiusi, per stanze che si aprono verso altre stanze, altri luoghi, altre dimensioni. Come se si stesse in una proiezione onirica, in un luogo disabitato che rivela, attraverso sale e corridoi, innumerevoli stanze che aprono a una sfera interiore molto ampia. Passaggio del tempo, dunque, da una stanza all’altra. Attesa dopo attesa, da sole, nel buio. Guardando il trascorrere dei raggi, come lame nel silenzio. Per approdare alla fine nella stanza dell’oracolo, piena di libri chiusi, dove i responsi sono pronti per essere colti. L’opera richiama un albero che perde le foglie. Foglie di betulla, che sembrano lamine d’oro, che vibrano poeticamente quando c’è poco vento. È tempo per cambiamenti. Ognuno si porta via una striscia di carta e l’incontro con una frase o una parola chiave, come fossero oracoli, per chi si aspetta risposte dal destino. Parole da staccare, brevi frasi, raccolte dallo sguardo, ora sospese in una rete. Decontestualizzate, le parole tagliate da riviste di moda diventano una frase lapidaria, come se provenissero dalle bocche di profetesse pagane, da Pizia o da Cassandra. Si dinamizzano reti di nuove relazioni, create per metà dal caso e per metà dall’incontro tra le parole scelte da Clara e le mani dei fruitori che le porteranno via. Le parole funzionano come meccanismi di supporto per chi è in attesa di responsi, contribuiscono a muovere qualcosa di fronte al destino, lì sempre in attesa dell’arrivo di qualcuno che desideri porre domande al tempo che non è ancora giunto.