Claudio Malacarne – Animalium
Una mostra dell’immaginario umano intorno al regno animale visto attraverso la pittura.
Comunicato stampa
Sabato 17 dicembre 2011 alle ore 18:00 presso la Galleria CM Artestudio, Via dei Bertani, 28 a Mantova si inaugura la mostra personale dal titolo “ANIMALIUM” Un appuntamento da non perdere per tutti gli amanti degli animali: una mostra dell’immaginario umano intorno al regno animale visto attraverso la pittura. Un mondo in cui si possono scoprire esseri comunemente conosciuti ma sotto una nuova veste.. Lo mostra nasce dall’idea di Claudio Malacarne di esplorare come attento osservatore il mondo animale, un progetto che coltiva già da anni, mettendo in evidenza, oltre la sua passione per gli animali, anche aspetti curiosi e insoliti dei loro comportamenti, unendo il rigore scientifico insieme alla naturalezza delle pennellate. Non si tratta di una mostra di zoologia, ma di una stupefacente visione di creature legittimate perché l’uomo ha dato un valore aggiunto, trasformandole in simbolo. Insomma più che di animali in pelle e ossa si tratta di proiezione di “creature con anima” da cui anche il titolo della mostra in due colori, per sottolineare l’aspetto più intimo e il rapporto di feeling con l’uomo. Con questa nuova serie di opere l’artista Claudio Malacarne ritrae dei veri e propri volti e dettagli di animali. Protagonisti quindi esseri semplici come il cane, la scimmia, la mucca, il maiale realizzati con un taglio originale ed espressivo. Su uno sfondo acceso da colori vivaci, dal tocco quasi irreale, emergono vivi e reali gli sguardi quasi umanizzati dei vari animali, ritratti di animo e di espressività così tali da acquisire una vera e propria identità. Figure che assumono comportamenti e pose che riecheggiano veri e propri stati d’animo umani, come il cane malinconico, la scimmia che sembra stia palesemente fischiettando nell’opera Ad alta voce , oppure una scimmia in una vera e propria posa plastica in Il modello. Le opere colpiscono per la loro genuinità e la loro capacità di essere ironici, sinceri e diretti, come l’opera L’alligatore, sorprende che un animale aggressivo e che normalmente incute paura, assuma una posa di allegro compagno con cui fare due chicchere, mettendo in risalto più che virtuosismi stilistici l’espressività del carattere, con un’originalità irripetibile e fuori dagli schemi più classici della ritrattistica.
BIOGRAFIA
Claudio Malacarne nasce a Mantova nell’estate del 1956, quando il sole è già entrato nella costellazione del cancro. Fin dalle prime opere in lui il disegno si configura come un ambito d’azione e di riflessione privilegiato: vastissimo, autonomo e complementare al contempo alla pratica pittorica. È un laboratorio ininterrotto, un diario continuo in cui si assolve la necessità interiore, l’urgenza esistenziale di possedere la realtà attraverso l’immagine che la ricrea. Frequentando l’atelier del maestro Enrico Longfils si muove attraverso sperimentazioni di “mezzi diversi”, dalla matita, con cui soprattutto nello studio di animali insiste sulla plasticità dei soggetti, alla penna con inchiostro di china, prima a segni minuti e spezzati, poi a tratti più densi e continui, spesso sciolti in liquide acquarellature, preludio alla Natura morta con bottiglia, frutta e sveglia del 1970 in cui il disegno si dissolve nell’impulso pittorico. A partire dai dipinti a olio degli anni Ottanta s’intravede la lezione post-impressionista di Gauguin e di Van Gogh, di Bonnard e di Matisse, con una materia pittorica plein lumière, piuttosto che plein soleil: nelle ombre tanto sottilmente colorate da non essere neppure leggibili in quanto ombre, nel lampo fluorescente ed opalescente dei bulbi accesi nei suoi “giardini incantati” che spargono luce in tutto il paesaggio. C’è uno zampillio di colori che rimbalza sulle palme, sull’acqua del mare e sulle facciate delle case, quadruplicando il climax luminoso, nella precisa sensazione che questo – come nella narrativa di Proust o nella musica di Debussy – sia un istante sperduto nello spazio e nel tempo, irripetibile al pari di un candido pensiero, sostanziato di quiete, che solca la mente d’una fanciulla nel Ritratto della figlia Federica del 1989. Pur nel teso, coerente, ineccepibile linguaggio formale, le opere sul Concerto jazz del 2003-2008 grondano di umori esistenziali, come se il pittore lasciasse nelle serrate maglie di un’agguerrita sintassi simbolista i brani vivi, carnosi e sanguigni, della propria natura primordiale, inutilmente nascosta, perfino camuffata con ostinato pudore. Anche con le sue teste di animali nel Polittico del 2007, egli ha sempre lottato tra un proprio ideale mondo platonico, lucidamente dialettico e squisitamente mentale, e il gran flusso del suo sangue oscuro e tumultuoso, dei suoi sensi in agguato. Ed è appunto a causa di questo divario che si manifesta e determina la “fatica del pittore”, il tormento dei suoi quadri, espresso nel vigore del colore, nell’aggrovigliarsi delle immagini, nel sovrapporsi ed alternarsi dei dati naturalistici ed espressionistici sull’ordito logico di un’architettura figurativa neo-metafisica. Dopo aver scoperto il realismo spagnolo di Joaquín Sorolla, il suo occhio indagatore, il detective del colore dei Fauves, diventa nell’ultimo decennio, il puntuto, amaro artista dei “bagnanti” e dei “nuotatori”. Egli ha addirittura ingaggiato una battaglia contro il personaggio e sulla linea di un suo pirandelliano “uno, nessuno e centomila” ha puntato sulla presenza fisica della figura umana immersa nell’acqua di una piscina, divenendo dapprima il realista di una vita moderna perlustrata con una torcia al vetriolo, poi trasformandosi – lui ironico e scettico taglieggiatore di ritratti e di animali equiparati gli uni e gli altri da una comune, insopprimibile matericità – in una specie di perduto visionario suo malgrado. C’è in questi quadri tutta la sontuosa e avida eredità di Matisse, ma anche l’incanto, la sospensione, l’ansioso stupore di Rimbaud e di Valéry. Floriano De Santi