Claudio Parmiggiani – A cuore aperto

Informazioni Evento

Luogo
GALLERIA POGGIALI
Via Della Scala 35A, Firenze, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

martedì-sabato 10-13 e 15-19
domenica e lunedì su appuntamento

Vernissage
24/05/2019

ore 18,30

Artisti
Claudio Parmiggiani
Curatori
Sergio Risaliti
Generi
arte contemporanea, personale

Mostra di Claudio Parmiggiani dal titolo «A cuore aperto», a cura di Sergio Risaliti.

Comunicato stampa

Si inaugura venerdì 24 maggio alle 18.30 negli spazi della Galleria Poggiali di Firenze la mostra di Claudio Parmiggiani dal titolo «A cuore aperto», a cura di Sergio Risaliti. Nato a Luzzara (RE) nel 1943, Parmiggiani è uno tra i maggiori protagonisti dell’arte contemporanea internazionale e, dopo la prima personale in un museo americano al Frist Art Museum di Nashville, propone un gruppo di sue opere in un progetto appositamente concepito per la galleria fiorentina, per quella che è la sua prima vera personale a Firenze. La mostra, che è a ingresso libero, proseguirà fino al 29 ottobre.

Arte e pensiero

Undici opere installate nei due spazi di via della Scala 35 A e di via Benedetta 3r, la maggior parte delle quali realizzate per questa mostra, unitamente a lavori meno recenti: un cuore fuso in ghisa serrato da due tubi in acciaio poggiati sulla Commedia di Dante, un calco in cera di una statua antica, uno strumento musicale come l’arpa con le farfalle, una campana di bronzo appesa come un impiccato, una biblioteca di cenere.

Dopo la Biennale di Venezia del 2015, negli spazi di via Benedetta viene presentata per la prima volta - solitaria come un dardo lanciato verso la parete di fondo e il soffitto - la gigantesca àncora aggrappata con tutta la sua forza dopo aver infranto una parete di cristalli.

Si tratta di una mostra di impianto museale che si snoda come un discorso poetico ora drammatico, ora elegiaco e lirico ad un tempo. Dunque si potranno vedere alcune opere, note come ‘sculture d’ombra’ o Delocazioni. Una grande biblioteca, una clessidra ed una impronta di quadro rimosso dalla parete, immagini ottenute con un procedimento del tutto personale iniziato a partire dal 1970, quando Parmiggiani presentò nella Galleria civica di Modena una serie di opere create con il depositarsi della fuliggine tra la superficie del muro e l’oggetto stesso.

Parlando delle opere di Parmiggiani realizzate con questo “magico” e “povero” procedimento, Jean Clair ha fatto riferimento alla tradizione cristiana dell’epigraphé sottolineando la differenza formale e sostanziale tra il tratto (graphé) che circoscrive e il tracciato che apre sull’illimitato. L’immagine nata sulla tela non è disegnata - non si tratta di sfumato - e neppure dipinta con velature, ma piuttosto soffiata e evaporata per trasformarsi in ombra, in “scultura d’ombra”.

Con opere fatte di cenere, con i suoi gessi e con le sue lampade che ancora illuminano a lume spento come una stella morta, Parmiggiani prende di petto l’assenza - l’unica manifestazione possibile della cosa perduta o della memoria seppellita è questa - e la sottrae al nulla, la strappa alla dissolvenza, alla dissipazione, rendendola soggetto e sostanza di una nuova iconica presenza: perché l’assenza è il cuore dell’essere. «E se la mancanza a essere fosse il senso più profondo dell’essere? - scrive Massimo Recalcati in uno straordinario saggio dedicato all’artista emiliano - Ecco l’interrogativo aperto dall’opera di Parmiggiani».

Per Parmiggiani: «Un’opera deve essere come un pugno nello stomaco. Silenziosa ma dura, dura ma silenziosa, come un fuoco sotto la cenere». Come la grande campana ‘impiccata’ a una trave della galleria che celebra in silenzio tutto il dolore del mondo e tutta la speranza della terra, che chiama a raccolta come in un giorno lieto o per un imminente pericolo. Come il calco in cera di una figura femminile a mezzo busto al quale è stata accostata una lampada ad olio che di quel volto malinconicamente riverso da un’altra parte ha iniziato a scioglierne le fattezze, come fa la fiamma con la falena, il raggio di sole con la neve primaverile, il dolore più insopportabile che impietrisce ogni desiderio di vita. Rinunciando alla tradizione visiva, Parmiggiani ritrova nella realtà delle cose il senso misterioso della bellezza dell’arte, quella grazia che trasfigura le cose stesse riscattandole dal nulla. Le ‘cose’ di Parmiggiani (una campana, una lampada, resti e frammenti del mondo vissuto) abitano poeticamente il linguaggio dell’arte e si danno alla nostra percezione come poesie da vedere con il cuore negli occhi, sono presenze iconiche da ascoltare con il cuore più che con la mente.

Ed è con un cuore sorretto tra due elementi metallici che inizia il percorso espositivo, una scultura che attraversando lo sguardo parla direttamente al cuore. L’opera che abbiamo di fronte, appena varcata la soglia della galleria è un calco del cuore, come quelli che usano gli studenti di medicina e chirurgia, fuso in ghisa e costretto tra due elementi metallici installati tra la Divina Commedia a pavimento e il soffitto della galleria. L’oggetto è posto ad altezza dello sguardo e al centro dello spazio. Parmiggiani ha scelto di far coincidere la presenza dell’oggetto reale con il punto di fuga della prospettiva classica, in linea con gli occhi.

Ha scritto Nietzche: «Non stiamo forse navigando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte? Sempre più notte?». Il modernismo ha scelto la tenebra, si è compiaciuto di navigare nell’infinito convinto della propria disumana potenza e onniscienza

Possiamo ancora definirla spiritualità poetica di quest’artista? Possiamo pensarlo ancora in contatto con il sacro, con il Dio tra noi? Affidiamoci a una sua dichiarazione: «Lo spirituale che alcuni intravedono nel mio lavoro lo chiamerei semplicemente una convinzione che fa parte di una visione; un misticismo senza fede. Non penso a un’arte religiosa, ma ad una religiosità dell’arte; una religiosità di cui mi sembra si sia smarrito completamente il senso».

Chiude la mostra Senza Titolo, un gesso di una testa classica con accanto una sveglia, realmente funzionante, poggiata su di un libro a scandire il battito delle ore; anch’essa realizzata appositamente per questa mostra.
Claudio Parmiggiani
A cuore aperto
A cura di Sergio Risaliti
24 maggio – 29 ottobre 2019

Inaugurazione 24 maggio 2019 ore 18.30
Ingresso libero

GALLERIA POGGIALI FIRENZE
Via della Scala, 35/A
Via Benedetta, 3r
Orari: martedì-sabato 10-13 e 15-19
domenica e lunedì su appuntamento, ingresso libero

www.galleriapoggiali.com
[email protected]
Claudio Parmiggiani
A cuore aperto (Open-Hearted)
GALLERIA POGGIALI FLORENCE
Opening Friday 24.05.2019 at 6:30 p.m.
24.05.2019 - 29.10.2019
curated by Sergio Risaliti

Claudio Parmiggiani (Luzzara, 1943), one of the leading exponents of international contemporary art, has just had his first exhibition in a North American museum at the Frist Art Museum in Nashville and returned with the project Prehistory, currently running at the Centre Georges Pompidou in Paris. In what is his first true solo show in Florence, he will be displaying his works in a specially-conceived project at the Galleria Poggiali, opening on Friday 24 May 2019. Eleven works installed in the two areas of Via della Scala and Via Benedetta, the majority made specifically for this show, along with older works: a bronze heart compressed between two steel tubes lying on the Divine Comedy, the wax cast of an ancient statue with a paraffin lamp, a musical instrument such as a harp with butterflies on the strings, a bell strung up like a hanged man, a bookshelf made of ashes.

In the Via Benedetta premises, displayed for the first time since the Venice Biennale of 2015, lonely as an arrow fired against the rear wall, is the huge anchor gripping the bricks with all its strength after having shattered a glass wall.

This is a museum-style exhibition that unfurls like a poetic discourse at times dramatic, at times elegiac, at once lyrical and symbolic. On display will be several works known as 'shadow sculptures' or Delocazioni (Displacements): a bookcase of at least three metres, an hourglass and the imprint of a painting. These images have been produced using a highly personal procedure since 1970, when Parmiggiani displayed at the Galleria Civica di Modena a series of imprints of objects created by the depositing of soot on the wall around their contours. Speaking of the works created by Parmiggiano using this “magic” and “poor” procedure, Jean Clair referred to the Christian tradition of the epigraphé , underscoring the formal and substantial difference between the line (graphé) that circumscribes and the trace that opens up to the unlimited. The image created on the canvas is not drawn – it is not sfumato – and nor is it painted in washes, it is, rather, blown and evaporated to be transformed into shadow, into ‘shadow sculpture’.

In these works made of ash, in his plaster casts and lamps that, like dead stars, still illuminate even when the wick is snuffed, Parmiggiani addresses absence – the only possible manifestation of the lost thing or the buried memory – and wrests it from nothingness, releasing it from dissolution and dissipation, making it the subject and substance of a new iconic presence, because absence is the heart of being. “And if the lack of being were the deepest sense of being?” as Massimo Recalcati pondered in an extraordinary essay on Parmiggiani. This is the question opened up by Parmiggiani’s work.

For Parmiggiani: “A work should be like a punch in the stomach. Silent but hard, hard but silent, like a fire beneath ashes.” Like the huge bell ‘hanged’ on a beam of the gallery that celebrates in silence all the pain of the world and all the hope of the earth, that summons the people on a day of rejoicing or for an imminent danger. Like the wax cast of a female bust placed close to a paraffin lamp which has begun to melt the features of that face melancholically turned aside, as the flame singes the moth, as the sunbeam melts spring snow, the unbearable pain that turns all desire for life to stone. Renouncing the visual tradition and not turning melancholically to the past of art, Parmiggiani rediscovers in the reality of things the mysterious sense of the beauty of art, the grace that transfigures the things themselves, redeeming them from nothingness. Parmiggiani’s ‘things’ (a bell, a lamp, remains and fragments of the lived world) poetically inhabit the language of art and yield themselves to our perception like poems to be seen with the heart in the eyes; they are iconic presences that we must hearken to with the heart more than with the mind.

The display itinerary indeed begins with a heart clasped between two metallic elements, a sculpture that traverses the gaze to speak directly to the heart. The work we find before us upon crossing the threshold of the gallery is the cast of a heart, like those used by students of medical surgery, made of cast iron and clamped between two metal elements installed between Dante’s Divine Comedy on the floor and the ceiling of the gallery. The object is positioned at eye level in the centre of the space. Parmiggiani has chosen to place the real object at the vanishing point of classic perspective, in line with the eyes. Nietzche wrote: “Do we not stray, as through infinite nothingness? Does not empty space breathe upon us? Has it not become colder? Does not night come on continually, darker and darker?” Modernism has chosen darkness, it has taken pleasure in straying through infinite nothingness convinced of its own superhuman power and omniscience.

Can we still define the poetics of this artist as spirituality? Can we still think of him as in contact with the sacred, with the God amidst us? Let us trust to his own words: “What some see as the spiritual in my work I would simply call a conviction that is part of a vision; a mysticism without faith. I do not think of religious art but of a religiosity in art, a religiosity that we appear to have completely lost the meaning of.”

The exhibition closes with Untitled, a plaster cast of a classical head with, beside it, a functioning alarm clock set on top of a book, marking out the hours. It too was specially made for this show.

The exhibition will be accompanied by a catalogue with an essay by Sergio Risaliti.