Come le lucciole
Dodici artisti riflettono sul significato simbolico dell’oro, rapportandolo al dibattito estetico contemporaneo. Ne consegue un’indagine espressa attraverso il loro lavoro artistico che giunge a riguardare la discussione tra etica ed estetica, traendo spunto dallo scritto omonimo di Georges Didi-Huberman.
Comunicato stampa
Dodici artisti riflettono sul significato simbolico dell’oro, rapportandolo al dibattito estetico contemporaneo. Ne consegue un’indagine espressa attraverso il loro lavoro artistico che giunge a riguardare la discussione tra etica ed estetica, traendo spunto dallo scritto omonimo di Georges Didi-Huberman.
Ogni essere vivente emette flussi di fotoni. Ne esistono tuttavia di minuscoli, le lucciole appunto, per i quali la luce - sprigionata da una sostanza chimica, la luciferina - è parata nuziale, una danza d'amore. Farfalle d’oro. La parola oro deriva dal latino aurum, che la sua forma primitiva ausum ricollega al sabino ausom e forse alla radice indoeuropea aus che indica ciò che brilla. L’oro, come l’aurora, è prima di tutto, luce! I greci dicono krusos, una parola che troviamo nelle crisalidi delle nostre farfalle. Farfalle di luce. L’oro è per questo evocato nella sua doppia valenza di simbolico “lume” del misticismo e di alchemico metallo dato da un processo di conoscenza preziosa. Oro anche inteso come materia da sempre considerata preziosa oppure non necessaria, ricchezza e confronto con l’altro, in fondo con valenze non superficiali, valenze che con l’arte potrebbero rifiorire. Dall’antichità, qualcosa dell’antico ed affannoso sogno sopravviveva ancora negli ultimi secoli, quando la leggenda divenne quella del “cercatore d’oro”, venuto in California o nel Colorado lontano a setacciare pazientemente l’acqua dei fiumi con le sue scodelline piatte di legno, oppure a scavare dai monti le pepite. Del resto, la ricerca dell’oro fluviale è perfetta metafora della ricerca del sapere. Dal diminutivo del latino volgare lucja, forma femminile sostantiva da luceus, aggettivo derivato da lux. Secondo altri da un arcaico lucciare, da lucere, questo coleottero dei Lampridi presenta un addome dotato di luminescenza. Le lucciole, nel loro rilucere fuggevole descrivono lievi segni sullo sfondo dell’imbrunire. Di lucciole si occupa il libro recente di Georges Didi-Huberman, esse diventano, per metafora, immagini di “survivances, resistenze nomadi del pensiero”. Proprio nei periodi più bui, secondo Georges Didi-Huberman, le immagini possono essere lucciole: intermittenze che offrono un’apertura improvvisa, quasi insperata, uno spiraglio nello spazio di un lampo.
Gli artisti invitati a partecipare a questo progetto di mostra collettiva hanno inteso interpretare il titolo della mostra secondo le modalità più diverse ma sempre corrispondenti alla cifra del loro operare. Alcuni di essi si sono concentrati sul segno lucciola, indagandone la complessità morfologica, molti hanno preferito investigarne i significati ricorrenti nel lessico contemporaneo, ricordando che George Didi –Huberman si è riferito a Pier Paolo Pasolini nell’intendere “le lucciole” anche come espressione di “identità innocenti”.