Corrado Balest 1923-2016
La Fondazione Ugo e Olga Levi promuove e ospita la mostra Corrado Balest 1923-2016, prima retrospettiva dedicata all’artista dopo la sua scomparsa nel 2016.
Comunicato stampa
La Fondazione Ugo e Olga Levi promuove e ospita la mostra Corrado Balest 1923-2016, prima retrospettiva dedicata all’artista dopo la sua scomparsa nel 2016. Con oltre settanta opere tra pittura, scultura e ceramica provenienti da collezioni pubbliche (Fondazione Musei Civici - Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro, Fondazione Querini Stampalia) e private, la mostra ricostruisce la carriera di Balest, dai primi esordi figurativi sino alle ultime opere d’impronta prevalentemente astratta.
Corrado Balest (1923-2016), bellunese di nascita e veneziano d’elezione, si forma all’Accademia di Belle Arti con Guido Cadorin e tiene la sua prima mostra personale a Venezia alla Bevilacqua La Masa nel 1950.
Artista curioso, Balest si misura con successo anche con la pittura parietale, la grafica e l’incisione: ne resta testimonianza in preziose cartelle conservate nelle più importanti istituzioni culturali, dalla Fondazione Giorgio Cini all’Albertina di Vienna.
Non mancano incursioni nella scultura e nella produzione di ceramiche; prove da in-tendersi quali differenti angolazioni rispetto alla ricerca pittorica.
Balest resta infatti nel profondo principalmente un pittore dal percorso linguistico as-sai articolato: prende le mosse dall’attenta analisi dei manieristi, Pontormo, Lotto e quel Tintoretto capace di catturare la luce nella materia cromatica stessa; li legge però attraverso la lente dei maestri del primo Novecento.
Negli anni cinquanta e sessanta infatti la lingua di Corrado Balest è ancora prossima sia alla lezione di Cadorin che a una linea strettamente italiana costituita da Felice Carena, Giorgio Morandi, Ottone Rosai, Pio Semeghini, Ardengo Soffici e la Scuola Romana. Al contempo si muove nell’Italia delle prime grandi mostre – Mostra di Pablo Picasso a Roma e Milano nel 1953 – e nella Venezia della Biennale, di Peggy Guggenheim e di Carlo Cardazzo si nutre delle proposte d’avanguardia arrivando a definire un linguaggio pittorico personale. Balest vive la città degli studi per gli artisti di Palazzo da Mosto, abitati anche da Tancredi e Giorgio Bellavitis, frequenta le osterie dei pittori, discute con critici come Mazzariol e personaggi come Neri Pozza, legge gli amici scrittori e poeti, Carlo Della Corte, Ugo Fasolo, Aldo Palazzeschi, Tiziano Rizzo, Andrea Zanzotto… anch’essi partecipi di un’avventura critica intrecciata alla pittura italiana.
Dagli anni settanta i riferimenti pittorici di Balest si ampliano; tiene in maggior conto la lezione di Nicolas De Staël e Rothko – quest’ultimo peraltro celebrato con un’esposizione a Ca’ Pesaro nel 1970. Da lì Balest abbraccerà un astrattismo che non è però mai estremo: non tradisce completamente la figura che immerge in paesaggi o interni appena accennati. I suoi soggetti, la luce, la vivacità cromatica rimandano a un universo mitologico che apparitene al Mediterraneo, quell’immenso bacino culturale sempre riconoscibile e accessibile, nella pittura quanto nelle ceramiche.
I nove pezzi esposti, infatti, tra piatti e vasi di differenti dimensioni, sono superfici sulle quali sperimentare una diversa resa rispetto a soggetti consueti: i satiri, le danze, gli dei, i profili antichi, i musici e le greggi.
La mostra offre inoltre la rarissima occasione di un confronto diretto tra pittura e scul-tura, la quale può essere letta anche come uno sviluppo tridimensionale della prima. La decina di terrecotte e bronzi sono tutti riconducibili al tema della tenda, ovvero ad una struttura semicircolare che si autosostiene e dalla quale sporgono figure o si aprono finestre, in un chiaro rimando all’opera di Arturo Martini.
Una sezione della mostra infine è dedicata a stringere il legame d’occasione con la Fondazione che ospita la mostra al rapporto specifico tra la pittura di Balest e il tema delle muse, della poesia e della musica: il ritratto ad Andrea Zanzotto prova, non solo il legame di amicizia e stima tra i due, ma anche una fede profonda nei versi come strumento altro per raccontare la pittura. La musica è talvolta soggetto diretto, quando compaiono arpe, leggii, suonatori mitologici, ma lo è anche nelle sperimentazioni astratte degli anni novanta che Balest titola, non a caso, mottetti, ricorrendo a un lessico che sottolinea apertamente il rapporto tra forma e colore – in una parola il ritmo.
Catalogo
In occasione della mostra esce il volume monografico che colloca storicamente e criti-camente la figura dell’artista nel panorama veneto e italiano della seconda metà del Novecento:
Corrado Balest. 1923-2016
a cura di Cristina Beltrami, Martina Massaro, Chiara Romanelli
edito da Marsilio
scritti di Luca Massimo Barbero, Elisabetta Barisoni, Cristina Beltrami,
Eugenio Bernardi, Chiara Bertola, Giorgio Busetto, Stefano Cecchetto,
Martina Massaro, Giandomenico Romanelli
fotografie di Paolo Della Corte
Il volume contiene il regesto completo delle opere, scritti inediti dell’artista, due interviste inedite allo stesso Corrado Balest e a Ranieri da Mosto e brani di antologia critica.
La mostra giunge inoltre in felice concomitanza con la messa in rete di un sito internet dedicato a Corrado Balest www.corradobalest.it
Allestimento, progetto grafico ed editoriale
Sergio Brugiolo
Studio Polo 1116, Venezia
www.polo1116.it