Cosa fare in Brianza. 5 itinerari mai visti
La mostra coinvolge cinque pittori di origine Brianzola che gravitano, o che hanno gravitato, intorno
ad essa.
Comunicato stampa
Cosa fare in Brianza: 5 i/nerari mai vis/ è il Atolo della mostra presentata da MarAna CorbeCa, curata dall’arAsta
Giacomo Morelli, che coinvolge cinque piCori di origine Brianzola che gravitano, o che hanno gravitato, intorno
ad essa: Thomas Berra, Marco Paleari, Aronne Pleuteri, Riccardo Sala e Valen$no Vago. I cinque arAsA di diverse
generazioni sono uniA in una mostra colleIva dove il territorio d’origine rappresenta il luogo che ha dato vita al
manifestarsi di quesA piCori.
Domanda e risposta in un Atolo dove il quesito ci colloca in un territorio quasi definito, mentre la risposta ci lascia
abbondante margine di spostamento, di scoperta e meraviglia. I cinque arAsA dimostrano idenAtà piCoriche
disAnte, ma uniA dalla comune origine si incontrano al punto di partenza: gli iAnerari indipendenA intesi appunto
come percorsi, convergono alla Galleria MarAna CorbeCa per questa parAcolare colleIva.
Il territorio come punto di re-incontro e di ri-partenza, il genius loci espresso nella tradizione piCorica brianzola,
viene esaltato in questa mostra che basa i suoi presupposA intorno a questo conceCo e contesto. In un momento
storico dove il mito del singolo prevarica, questo progeCo desidera essere strumento di ri-unione e riflessione
intorno a un origine da non dimenAcare.
ValenAno Vago nasce a Barlassina nel 1931, arAsta d’eccellenza è stato tra gli interpreA più originali della sua
generazione. Si può dire che per circa sessant’anni ha cercato di cancellare il mondo visibile per arrivare
all’invisibile e alla luce pura. Negli anni 2000 una svolta arAsAca lo porta a uAlizzare i toni del nero come colore
dominante. Tornerà poi ai colori chiarissimi e rarefaI, vicini al bianco. Un arAsta riconosciuto a livello
internazionale che lascia sul territorio una traccia agli eredi del colore, muore a Milano nel 2018.
Thomas Berra (Desio 1986) barlassinese, ha studiato presso l’Accademia di Belle di Brera a Milano dove si è
laureato in PiCura. Il punto di partenza della sua praAca arAsAca affonda le radici nella ricerca del mondo vegetale
e onirico. Ritrae con costanza erbari fuori dal comune e in parAcolare si focalizza sulle piante cosiddeCe
vagabonde. L’universo vegetale diventa sfondo di paesaggi misAci, animaA da soggeI fiabeschi. Uno degli
obieIvi cardine del suo percorso è proprio analizzare il rapporto tra i soggeI e l'ambiente perché è lì che si
annida il mistero e avviene la sua rivelazione. È lì che l'inconscio sprigiona la bellezza vera, quella nascosta oltre
la realtà apparente. Berra conduce la sua ricerca aCraverso la piCura, che considera un aCo poliAco e
rivoluzionario in un mondo in cui siamo sovraccarichi di installazioni e materiali artefaI.
Marco Paleari (Desio 1998) ha studiato PiCura presso l’Accademia di Brera. Le opere di Paleari sono disegni dipinA
che presentano scene senza tempo la cui rielaborazione prende dalla storia dell’arte e da ricordi personali
immagini e ambientazioni. La scenografia non ha una precisa collocazione temporale, le sagome umane e gli
oggeI appaiano sulla tela come corpi su un palcoscenico: arAficiosi e in movimento. Le figure sono leCeralmente
ricalcate dalla sagoma di qualcuno, o qualcosa, che è stato davvero presente in un determinato tempo, in un
determinato luogo. Gli spazi invece dedicaA ai volA sono autoritraI reiteraA dell’arAsta. Paleari ha l'impressione
che queste figure possano, e riescano, a interagire con l'osservatore – a parAre da sé stesso – un po’ come gli
aCori in scena con il proprio pubblico: non riescono a vedere null’altro che una massa indisAnta a cui rivolgersi
solo di sfuggita col proprio sguardo.
Aronne Pleuteri (Erba 2001) si diploma all’Accademia di Belle ArA di Brera in PiCura, è un arAsta poliedrico la cui
ricerca pone le sue fondamenta sul movimento. Dalla piCura alla performance, fino al video e alla sound art, il
movimento è inteso nell'idea di rifiutare un linguaggio dogmaAco di espressione del vissuto, per perseguire il
desiderio di abbracciarne gli sfuggenA paradossi. Con un appeal visionario prestato da forme di rappresentazione
di massa come cartoni animaA, fumeI e cultura internet, grazie al velo di un'ironia dissacrante, Pleuteri meCe
sapientemente in scena pesanA tabù mascheraA nella loro apparente leggerezza: la Morte, la MalaIa, la
Violenza, il Dolore, ma anche il complesso rapporto con i macchinari legaA al carbone, sono ora le maschere
colorate che agitano una tragicommedia senza fine. In questo terreno poeAco si innesta la ricerca piCorica di
Pleuteri: personaggi fiabeschi dapprima torturaA aCraverso espedienA narraAvi come lo scivolamento, la caduta,
il beccheggio da parte di corvi, sono ora esposA – dopo il suo trasferimento a Milano – agli scontri choccanA con
la realtà della vita urbana. É il sintomo di un paesaggio perduto e non piu rappresentabile: lo spazio del grigio si
impone con violenza nelle tele di Pleuteri in maldestri tentaAvi di monocromi che si concreAzzano, al contrario,
in radianA esplosioni di luce
Riccardo Sala, in arte Rikyboy (Milano 1996), è un arAsta visivo il cui processo piCorico spazia dall’intervento
murale allo studio della calcografia fino all’interpretazione musicale. La sua poeAca rimanda alle immagini,
recondite e sfumate, derivanA dai ricordi dell’infanzia ed è proprio la nostalgia a diventare protagonista
dell’immaginario dell’arAsta aCraverso un corollario di raffigurazioni di realtà circensi e vedute rurali. Nella prima,
laddove è il circo protagonista della storia con la sua cartellonisAca, i volanAni, i banner e gli strisiconi, il segno si
fa grafico, le campiture piaCe e i colori chiassosi. Il mondo della comunicazione circense sembra conservare un
principio esteAco rigoroso di cui l’arAsta ne manAene l’origine, la esalta. Al contrario, nella seconda, l’aCenzione
per gli scorci campestri conduce l’arAsta verso un differente sviluppo piCorico, il segno è gestuale, le pennellate
sono frastagliate, sovrapposte e freneAche. Rikyboy si considera un voyeur della Brianza e l’opera Busc de Brianza
ne conferma l’autodefinizione: l’angolo di un bosco dipinto nel suo silenzio più inAmo e un’immagine che solo
un occhio lontano e ossequioso può descrivere e riprodurre.