Cosimo Veneziano – Rompi la finestra e ruba i frammenti!
Prima mostra personale a Roma di Cosimo Veneziano (Moncalieri 1983, vive e lavora a Leeds, UK) dal titolo Rompi la finestra e ruba i frammenti!, a cura di Benedetta Carpi De Resmini, una mostra breve, che porta a Roma un gruppo di lavori che ragionano sul concetto di monumento e corpo. Alcuni lavori sono stati presentati nel 2016 presso il MEF – Museo Ettore Fico di Torino.
Comunicato stampa
Il 29 gennaio 2018 inaugura ad AlbumArte la prima mostra personale a Roma di Cosimo Veneziano (Moncalieri 1983, vive e lavora a Leeds, UK) dal titolo Rompi la finestra e ruba i frammenti!, a cura di Benedetta Carpi De Resmini, una mostra breve, che porta a Roma un gruppo di lavori che ragionano sul concetto di monumento e corpo. Alcuni lavori sono stati presentati nel 2016 presso il MEF – Museo Ettore Fico di Torino.
Parte centrale della mostra romana, sarà la presentazione presso La Galleria Nazionale di Roma del catalogo ragionato dell’artista con tutte le opere dal 2007 al 2017.
La mostra inaugura AlbumArte | Flash!, un ciclo di mostre brevi che vengono ospitate da AlbumArte per un periodo di massimo 15 giorni. Il ciclo comprende mostre itineranti, mostre che vogliono concentrare lo sguardo su un preciso particolare artistico, mostre per eventi speciali o mostre prodotte da altre fondazioni e musei, in Italia o all’estero e che vengono presentate per la prima volta al pubblico romano. Questi progetti completano la ricerca di AlbumArte, diventandone apporti molto dinamici della piattaforma inclusiva di dialogo e confronto che, come giovane spazio indipendente, AlbumArte è diventato in città.
LA MOSTRA
Il lavoro sui monumenti e sul mutevole destino dell’opera pubblica fuori dal suo contesto temporale o politico, quello che rappresenta un monumento del passato quando cambia la mentalità dominante e cambiano i fatti reali di un luogo o di una nazione, o addirittura di tante nazioni quando sono sotto un unico regime, ha sempre generato proficue riflessioni dell’uomo intelligente. Non solo di chi deve (o dovrebbe) conservare il monumento come testimonianza di un evento passato, ma anche di chi ha saputo leggere in quelle opere dell’altro. Per esempio, nei Paesi governati da dittature, il monumento pubblico assume un ruolo celebrativo preciso, talmente impregnato di significati che è la prima cosa che si distrugge quando quel regime cade. Nei boschi dei paesi dell’ex URSS, ci sono dei suggestivi depositi di monumenti non più utilizzabili, perché quello per cui sono stati eretti non esiste più o non vuol essere ricordato da nessuno. La prima cosa che fecero in Iraq deponendo Saddam Hussein fu abbattere il suo monumento a figura intera nella piazza di Baghdad. Pur in mezzo alla guerra, i vincitori l’hanno trionfalmente trasmesso in diretta alla tv di mezzo mondo. Prima di cadere, l’uomo di bronzo, ritratto in posizione di potere con impressa sul viso l’espressione dell’atteggiamento presuntuoso dei potenti che si sentono invincibili, attaccato, invece che dalle ruspe come in tempo di pace, ora dai carrarmati, si inclina, si storce e infine cade, ma senza piegarsi. La materia della quale il monumento è composto non gli consente di accasciarsi, ma solo di rimbalzare, in modo impietoso e quasi ridicolo, prima di essere deposto come il suo protagonista, spazzato via dalla storia comune di un popolo, dalla storia pubblica e politica, buttato via in un deposito di rifiuti.
Oppure altre opere pubbliche del passato anche prossimo, finiscono per non avere più il potere di testimoniare qualcosa di attuale importanza, perché la fama o il fine di quell’opera è stato decontestualizzato dallo scorrere spesso incalzante di altri eventi. Perciò non solo il monumento al dittatore deposto, ma anche la targa di un Istituto che ha dato lavoro a molte persone e che oggi giace abbandonato e devastato dall’incuria e che prima, all’epoca dei fatti, incuteva rispetto ed esprimeva autorevolezza. E proprio per quanto fosse prima interprete delle proiezioni di chi lo ammirava o al quale era destinato, ecco che nella sfera pubblica del monumento e dell’opera pubblica, comincia a insinuarsi, differenziandosi, oltre allo sguardo, il sentire dell’altro, che è il singolo. I singoli. La comunità presa talmente in forma di particolare, che si frammenta e diventa l’individuo. Non quel singolo che ha ispirato il monumento ma quello per cui è stato realizzato, cioè l’individuo ed entriamo perciò nella sfera personale. E’ qui che Veneziano indaga ed è in queste pieghe che l’artista formula ipotesi diverse. Non è un riciclo della materia, ma una reinterpretazione della materia superstite che suscita la riflessione dell’artista proprio nel momento in cui da pubblico diventa privato e lo diventa perché l’artista comincia qui a considerare il coinvolgimento di altre storie più piccole, ma evidentemente per lui, non più banali.
Scompone e frantuma l’idea di opera pubblica e la riporta tra noi, con quello che resta e dandogli un’altra vita, perché la sua vita è insita nell’interpretazione.
La ricerca e la produzione di Cosimo Veneziano ci interessa da anni e abbiamo colto una breve, ma intensa, occasione di poter presentare il suo lavoro a Roma coinvolgendo uno spazio indipendente e tonico come AlbumArte, piattaforma di idee di qualità e di ricerca meticolosa e una curatrice che lo segue da quando viveva a Torino, dove Cosimo abitava e lavorava prima di espatriare, forse solo per un periodo della sua vita, Benedetta Carpi de Resmini, che continua a contribuire in modo prezioso e attento allo sviluppo dei nostri progetti e che ringraziamo.
La mostra dura pochissimo, bisogna che il pubblico si affretti a vederla, anche se Roma è complicata, questa mostra va vista e Cosimo analizzato. Vi piacerà.
Il catalogo include i testi dei curatori: Michael Birchall, Benedetta Carpi De Resmini, Kateryna Filyuk, Elena Forin, Andrea Lerda, Matteo Luchetti, Silvia Simoncelli, Marco Trulli, di Cristina Cobianchi e della giurista Alessandra Donati (Zamorani Editore, Torino, ottobre 2017).
PRESENTAZIONE CATALOGO: venerdì 26 gennaio ore 18.00
La Galleria Nazionale - Viale delle Belle Arti, 131 – Roma
A cura di Benedetta Carpi De Resmini e Marco Trulli
___________________________________________________
Rompi la finestra e ruba i frammenti! di Benedetta Carpi De Resmini
(testo in catalogo)
Il titolo della mostra, che trae ispirazione da un’opera dello scultore lituano Mindaugas Navakas, vuole porsi come riflessione giocosa su quello che la storia della scultura / monumento associata all’opera di Cosimo Veneziano rappresenta oggi. “Frammento” rimanda immediatamente a un piccolo pezzo staccato per frattura da un corpo qualunque. Pensando all’importanza del frantume nella sua opera, quello che emerge è il molteplice, la costruzione sul singolo pezzo, non tanto la perdita dell’unicità. Molti lavori di Cosimo Veneziano rappresentano una personale rilettura delle effigi del passato: “in ogni lavoro cerco di concentrare l’attenzione su frammenti di storie sconosciute, sottolineando il processo di trasformazione e di rifiuto”. L’archivio diventa lo scheletro su cui costruire molte opere “monumentali o pubbliche”, diventa elemento per raccontare la memoria storica: civile o privata, di un singolo o di una comunità. Cogliendo gli aspetti anche più marginali di una storia, ne riesce a restituire la monumentalità. E’ dalla polvere del passato che costruisce un’opera. Esprime una speranza, dove la parzialità della forma rende ancora più urgente e significativo l’intervento progettuale.
Se noi analizzassimo la voce “Monumento” riprendendola dalla “Grande Enciclopedia sovietica”, proprio per la lunga tradizione della cultura sovietica di mostrare attraverso l’arte, il potere e la gloria di un popolo, si comprende come questo concetto sia completamente obsoleto. “La monumentalità è una proprietà dell’immagine artistica, legata alla categoria estetica del sublime. Il suo contenuto è socialmente rilevante e si esprime nella maestosa forma plastica imbevuta di temi eroici ed epici che affermano l’ideale positivo”. E’ evidente come nei paesi dell’Est, dove questa storia è ancora fresca nella memoria, il monumento o l’anti monumento, come nel caso del sopra citato Navakas, sia spesso utilizzato per problematizzare un passato non risolto. L’opera di Cosimo Veneziano, racchiude tutto questo, nasce proprio dalla consapevolezza di voler raccontare la nostra storia “allargata”, riportando al centro la scultura, ma in una dimensione frammentata, esplosa, precaria. Consapevole che viviamo l’era della società liquida (teorizzata da Zygmunt Baumant), l’artista non teorizza certo la reliquia del passato, ma ne stabilisce una sorta di nuova vita.
Nell’opera So, is this a monument? interviene sulla fontana di via Verolengo a Torino, in quel luogo dove un tempo sorgeva la fabbrica della Superga. Ricostruendo la storia del luogo attraverso una ricerca approfondita all’archivio storico riflette sul singolo che rappresenta una collettività. Da uno studio attento sul materiale cartaceo, l’artista ha concentrato la sua attenzione su un piccolissimo gruppo di operaie, su quello che quei gesti ripetuti possono aver rappresentato. Il gesto riproduce un’azione meccanica, ripetuta, ma rappresenta anche un mezzo d’espressione fortemente simbolico, di protesta, soprattutto se si considera che viene svolto da operaie di una città industriale come Torino. Queste piccole mani diventano emblema di un sistema controverso, svelando i pregi e difetti del capitalismo: il lavoro, il benessere economico, ma anche lo sfruttamento delle risorse umane, le lotte e le proteste dei lavoratori. Accanto a quest’opera, il lavoro in marmo di Carrara, Banca d’Italia, risulta quanto mai straniante e al tempo stesso speculare: con lo stesso processo di riappropriazione di un elemento del passato, in occasione di una residenza nel Castello dei Malaspina a Massa, focalizza la sua attenzione su un vecchio edificio ormai in disuso, che un tempo risultava essere sede della Banca d’Italia. Questa semplice targa rappresenta, molto più di tante parole, il significato e la potenza del “monumento | anti-monumento” oggi. Questa targa, solo all’apparenza decorativa, mette in discussione quell’istituzione dell’Italia del dopoguerra, con un “displacement” mette in dubbio il valore di quel simbolo e al tempo stesso, lo recupera.
Le opere di Cosimo Veneziano non intendono dare risposte certe o celebrare un momento storico, ma riflettere su quei valori del passato che adesso sembrano in qualche modo esauriti per porsi nuove questioni, aprire dei nuovi varchi “rubandone” alcuni lacerti; l’artista trascende così i confini di quello che la scultura un tempo ha rappresentato.