Cristiano Carotti – Spazio il vuoto su cui tutto giace
Muovendosi tra pittura, installazione, e scultura, Carotti indaga le dinamiche sociali attraverso lo studio del potere archetipico del simbolo.
Comunicato stampa
Contemporary Cluster è lieta di presentare giovedì 28 marzo SPAZIO, il vuoto su cui tutto giace, la mostra personale di Cristiano Carotti, a cura di Domenico de Chirico.
La mostra sarà visitabile fino a sabato 4 maggio.
Muovendosi tra pittura, installazione, e scultura, Carotti indaga le dinamiche sociali attraverso lo studio del potere archetipico del simbolo. Orientando il suo sguardo verso la Natura e alla possibilità del ristabilimento di un ruolo attivo con essa da parte dell’Uomo, l’artista esplora la contrapposizione tra Homo Naturalis e Homo Mechanicus, binomio fondamentale della sua ricerca artistica.
Come afferma il curatore Domenico De Chirico, nella mostra SPAZIO, il vuoto su cui tutto giace, Cristiano Carotti intende stimolare quella necessità di voler conquistare l'apice della conoscenza attraverso il perfezionamento spirituale. Opponendosi al sempre più incombente relativismo assoluto ed appellandosi ai possibili benefici della suddetta riconquista, egli intende rappresentare quello stato ideale in cui l’uomo rientra finalmente in possesso delle sue energie connaturate, necessarie a superare la crisi che lo sta affliggendo, così da poter dapprima riconsiderare per poi innescare una nuova dinamica comunicativa fra i tre elementi che sovente costituiscono la sua mente, ovvero: spazio, tempo e causalità. Attraverso le sue opere, il cui carattere rituale, quasi sciamanico, solletica costantemente il proposito di riavvicinarsi all'inconscio, l'aspetto dicotomico tra Eros e Thanatos, cioè tra la pulsione di vita e quella di morte, si fa sempre più incalzante poiché è sua intenzione salvaguardare quell'eterno e immutabile ripetersi delle cose che corrisponde alla ciclicità della vita, così da garantire a quest'ultima una corretta progressione e un indisturbato e perpetuo movimento.
SPAZIO, il vuoto su cui tutto giace si propone sotto forma di racconto odeporico, in cui Carotti, prendendo spunto dalla sua personalità e avventurandosi verso il proprio sé, ci racconta delle differenze che da sempre intercorrono tra cane e lupo o tra filosofo e sofista; elementi sia scultorei sia pittorici, concepiti come dei relitti spaziali, privati della possibilità di misurare le lunghezze delle loro ombre sul terreno.
Ad accogliere i visitatori vi è l'opera intitolata Venere, la stella del mattino, la cui forma assume le sembianze di un candeliere votivo. Carotti genera questo pentacolo senza stravolgerne il senso originario, ergendolo a simbolo sacro nella pratica dei culti legati alla dea pagana Venere. La componente della luce è qui determinata dalla presenza delle candele. Queste ultime, secondo la tradizione mistica, nei tre elementi che le compongono, ovvero la cera, lo stoppino e la fiamma, simboleggiano rispettivamente il corpo, l'anima e lo spirito.
La seconda opera scultorea in mostra è intitolata Zoodiaco, transito di animali. Qui ci si trova dinanzi a dei parabrezza, da intendersi come ciò che soventemente si frappone tra gli automobilisti e l'atmosfera circostante: vetri frantumati addolciti dalla presenza di insetti, seppur morti.
L'opera Discendi come la folgore, risali come il serpente, personificata da un lampione che, dopo essere stato colpito da un fulmine, assume le sembianze di un serpente che si contorce su se stesso, è paradigmatico dell'albero della vita, quell'elemento simbolico e particolarmente iconografico che rappresenta l'opportunità offerta da Dio all'uomo di condividere la vita eterna, attorniato da diversi animali, lì pronti a proteggerlo o a minacciarlo. La luce, seppur fioca e intermittente ma non del tutto spenta, di questo lampione, continua ad indicarci la via.
Nella seconda sala compare la figura del più famoso dei cavalli alati, il bello, selvaggio e libero Pegaso, il quale, una volta terminate tutte le sue imprese sul globo terrestre, spicca il volo verso la parte più alta del cielo, varcando il portale di accesso ad una dimensione ignota, per poi trasformarsi in una nube di stelle scintillanti che hanno formato una costellazione, tuttora chiamata Pegaso.
Ad arricchire il percorso espositivo, la fortemente identitaria e vivida Pittura; dai dipinti evocati dal cardo, al dittico di matrice futuristica “Autogrill Supernova” che traccia la linea di confine tra il cane e il lupo, a metà strada tra la casa umbra in cui Carotti è nato e quella in cui attualmente vive a Roma.
Così, temendo il vuoto abissale, gli scenari che Cristiano Carotti rappresenta non sono altro che il frutto delle nitide eppur impalpabili linee di confine che egli stesso traccia manualmente tra quella parte del mondo che conosciamo, ovverosia l'ecumene antropizzato, e ciò che risulta essere di più difficile accesso, l'eremo ascetico e più prossimo alla natura, consapevole del fatto che, come affermava Friedrich Nietzsche nel suo saggio filosofico “Al di là del bene e del male”:
«E quando guardi a lungo in un abisso, anche l’abisso ti guarda dentro».