Cristina Pennacchio – L’intimità vegetale

Informazioni Evento

Luogo
GALLERIA LOSANO - ASSOCIAZIONE ARTE E CULTURA
Via Savoia 33, Pinerolo, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

Feriali 16–19, Sabato e Festivi 10–12 e 16–19 - Lunedì chiuso

Vernissage
05/05/2012

ore 17

Artisti
Cristina Pennacchio
Generi
fotografia, personale

Cristina Pennacchio – architetto e fotografo – espone alla Galleria Losano Associazione Arte e Cultura di Pinerolo, in via Savoia 33, una trentina di foto dal mondo magico del suo giardino: un microcosmo colorato di corolle segrete, di foglie nell’acqua in compagnia di un pesce rosso.

Comunicato stampa

Cristina Pennacchio - architetto e fotografo - espone alla Galleria Losano Associazione Arte e Cultura di Pinerolo, in via Savoia 33, una trentina di foto dal mondo magico del suo giardino: un microcosmo colorato di corolle segrete, di foglie nell'acqua in compagnia di un pesce rosso.
In mostra dal 5 maggio fino al 3 giugno, esclusi i lunedì.
Presentazione di Lionello Gennero sul vivace catalogo.
Ingresso libero.

Cristina Pennacchio vive e lavora a Marone (Brescia).
Sue opere fotografiche si trovano in collezioni private in Italia, Brasile e Stati Uniti.

Con cortese preghiera di pubblicazione

Tracce dal microcosmo

L’approdo è la riva del Lago d’Iseo, la vecchia casa di famiglia fra gli ulivi; il cane, i gatti, bambini che vanno e che vengono. Una piccola vasca in giardino con le ninfee bianche, le foglie verdi, l’acqua grigia con i riflessi blu, il guizzo rosso d’un pesce.
Cristina vi è giunta anni fa, dopo vari spostamenti, prima dovuti alle esigenze di lavoro del padre, progettista e tecnico di impianti minerari: dalla Val d’Aosta – dove Cristina nasce – al Pinerolese, in cui trascorre l’adolescenza. Poi a Torino per compiere gli studi artistici e laurearsi in architettura. Qui iniziano subito intensi gli impegni di lavoro in équipe, al restauro di monumenti e alla progettazione.
Inaspettata e grave si rivela frattanto la minaccia di un male oscuro che la costringerà a un lungo percorso di sofferenza, di continui ricoveri in ospedale e di ripetuti interventi chirurgici. La sua esistenza si tramuta in un impegno di sopravvivenza senza tregua, teso a inseguire una vita che pare sfuggire, ritrovata a tratti, ripigliata ogni volta con amorevole ostinazione, senza perderne la speranza, innalzata paradossalmente a punto di forza, immagine di un bene tanto più prezioso quanto più a rischio.
Se il male riesce a minare le risorse vitali, il riscatto passa attraverso l’esercizio attento e paziente dei sensi stessi, fin nell’impiego faticoso e precario delle mani e degli occhi. Costretta a ripiegare, bloccata nei periodi più difficili in un letto, Cristina non cessa di fare della sua ricerca artistica un’arma di resistenza.
L’obiettivo fotografico, già rivolto in passato alla scoperta di rapporti di luce sul corpo umano, torna a farsi strumento di conoscenza e sperimentazione essenziale, aprendosi alle sorprese offerte dai mezzi digitali. Sicché anche le tecniche di stampa, le carte, gli inchiostri, rivelando nuove potenzialità, concorrono ad allargare il campo d’esplorazione.
Teatro di quest’avventura creativa è il microcosmo in cui Cristina si trova ad operare. Oltre al suo stesso corpo, che lei fotografa in ospedale, la riconquista di uno spazio vitale, degli oggetti, della luce, dell’aria, dell’acqua, di minimi aspetti di vita mostra una ricchezza d’immagini tanto più insospettata quanto più nascosta. Qui lo stesso macro-obiettivo, creato per l’indagine ravvicinata, pare rifuggire dalla bella immagine naturalistica, come a disdegnare la freddezza del distacco scientifico. È come se Cristina si rifiutasse di trovarsi tutta al di qua dell’obiettivo, come se divenisse essa stessa parte dell’oggetto, specchio di vita e perciò di sé. In tal senso ogni fotografia è destinata a diventare un autoritratto.
L’obiettivo fotografico di Cristina non si tramuta mai, nemmeno metaforicamente, nello spillo dell’entomologo che infilza la farfalla: lei stessa è la farfalla. Così pure la natura morta, come la foglia d’autunno caduta, rinsecchita, bacata, non si connota come vanitas: diviene ricerca di vita. Queste di Cristina sono foto della sua vita difesa, ritrovata, rinnovata.
Recentemente Cristina è tornata a foto essenziali di nudo - piani e linee elementari - riscoprendo l’emozione del bianco e nero; e ha fotografato all’infinito riflessi sull’acqua che sono, per contro, puri esercizi di colore. Questa mostra, invece, ci porta all’intimità nascosta del mondo vegetale del giardino, al cuore dei tulipani, delle strelizie, delle pensées; e ritrova le ninfee e il pesce rosso nella piccola vasca custodita da gatti neri e silenziosi.
Se può parer vero che ogni fotografia, in quanto immagine della realtà, concorra a comporre un album di ricordi, nulla di più lontano da ciò può attribuirsi a queste foto, che non ci mostrano ciò che è accaduto in un certo istante. Esse non appaiono come le date su una lapide, non sono testimonianze oggettivate del passato, bensì tracce fuori di tempo e di luogo, immagini immaginate che il rapporto con la natura sa produrre, per i pochi che le sanno vedere.
Ancor più che figure o segni, ben oltre ciò che ci mostrano, esse sono in sé, intrinsecamente, atti di vitalità, ritorni alla vita in stato di grazia. Ci recano lo stupore di rinascere, ci insegnano la meraviglia di ciò che è sempre presente, ci conducono, non senza turbamento, a riconoscere il miracolo di una sensualità vegetale ubiqua e prorompente, che ci sorprende ora timida ora impudica.
Il pesce lascia nell’acqua mossa della vasca la sua traccia rossa tra le foglie verdi: forse è successo, come in una favola; forse succederà, o potrebbe succedere; forse è parso che succedesse davvero, ma chissà. Forse non è vero niente, ma la fotografia ci lascia supporre tutto ciò, e la sua indeterminatezza arricchisce di valenze l’immagine. Ogni fotografia supera così il dato naturale, ci mostra di più, allarga la nostra conoscenza. Difficile dire se dentro o fuori di noi. Tanto la natura è comunque immagine di noi stessi; e noi siamo pur sempre “di quella sostanza di cui son fatti i sogni.”
Lionello Gennero