Cristina Treppo / Luca Cablot
Cristina Treppo presenta ‘Piombo’, ambientazione caratterizzata da una stratificazione di memorie. L’intervento di Luca Clabot e’ un assemblage composto da fotomontaggi di vari materiali.
Comunicato stampa
L’anno espositivo 2014 si è chiuso, per la galleria, aprendosi alla riconsiderazione storica dell’artista Claudio Costa, in mostra con una selezione di opere magico-antropologiche, presentate da Flaminio Gualdoni con il libro Nei Materiali dell’Umano, il canneto editore. L’anno espositivo 2015 esordisce, sabato 17 gennaio, alle ore 18, con la mostra personale site specific di Cristina Treppo (Udine 1968)) significativamente intitolata Piombo.e l’intervento, nello spazio del primo piano, di Luca Clabot (Venezia 1966), a cura di Viana Conti. Se un dialogo si instaura tra i calembour, le assonanze, gli anagrammi, i motti di spirito verbo-fonetico-visual-scritturali di Clabot ed il reperimento di un insediamento abitativo, seducente come una foresta fossile pietrificata, di Treppo, è quello di un arguto Esprit de finesse del primo e di una plumbea Melancholia, di vago segno saturnino, della seconda.
Cristina Treppo. La scelta del titolo Piombo è riconducibile, percettivamente e fenomenologicamente, ad una condizione, materiale e immateriale, di peso, dominante cromatica, stratificazione di memorie, tracce, impronte, che affiorano nell’ambientazione minimale di oggetti, soggetti, sensazioni, che non concedono all’occhio, ma toccano in profondità la mente, la psiche, le suggestioni sensoriali, le associazioni inconsce, le facoltà rammemorative intra ed extrapersonali dell’osservatore. L’entrata nello spazio espositivo di Cristina Treppo, disseminato di calchi di tubi, urne, cuscini, di scatole di farmaci affogate nel cemento, di piastrelle con labili iscrizioni di decori rinvianti a culture medio-orientali, di un girotondo di bottiglie di cemento, collegate da una cintura di rame, dense di risonanze morandiane e di ricordi dell’infanzia, trasmette l’emozione del ritrovamento di un deposito di reperti, di un sito archeologico sepolto, nel tempo, da ceneri e polveri, colate laviche e pomici, come dopo un’improvvisa eruzione vulcanica.
La sua poetica, di connotazione bachelardiana, scaturisce dalla tensione che si instaura, nelle sue installazioni oggettuali, ideate per un’ipotetica Dimora, tra l’intimità e l’estraneità, tra le sensazioni opposte di leggerezza e pesantezza fisica, tra luminosità e ombrosità. In un superamento progressivo di soglie materiali e immaginarie, si ibridano e contaminano, nella sua opera, effetti di superficie e profondità, di trasparenza e opacità, mentre la ripetizione seriale di un prodotto industriale non cessa di confrontarsi con l’unicità di un calco d’artista.
Luca Clabot. Autore dalla vaga ossessione mimetico-catalogatoria, tassonomico-definitoria, incline ai rituali celebrativi, intitolando, sintomaticamente, il suo intervento nello spazio 1914-2014 Cambia il corpo, malamente? fa decorrere il centenario prescelto dall’anno che segna, con l’inizio della Prima Guerra Mondiale, una svolta epocale per l’Occidente. In Luca Clabot collage, assemblage, fotomontaggi di inserzioni pubblicitarie di chiromanti, maghi, ipnotisti, illusionisti, di consulenze per diete dimagranti, tratte da riviste, da quotidiani ad ampia tiratura, si formalizzano, infine, nell’Esprit de géométrie di due delle opere a parete, leggibili come un puzzle a croce, inevitabilmente farmaceutica, e un puzzle a cerchio, riferibile al giro di vita, da cui scaturisce, non senza garbata ironia, l’anagramma latino dei due termini Crucis e Circus. Gioco, paradosso, ibridazioni verbali sospette, connotano i titoli di queste due serie di lavori:1914-2014 Cent’anni di chili celebra e Farmagie di turno. La terza serie di lavori Le rime saranno le ultime, si articola in cinque pannelli di ritagli da titoli di cronaca, non esenti da un tocco di humour nero, la cui la rima, sorta di lapsus sfuggito al titolista, suona comica rispetto ad un evento tragico, del genere I pompieri forzano la porta, ma l’anziana era già morta, con l’esito di un intempestivo motto di spirito freudiano. Il suo video, con fondo sonoro di Bacharach, Legs so tan/Gambe così abbronzate, che apre il suo percorso espositivo, è un’evidente parodica allusione alle proprietà ansiolitiche, ipnotico-rilassanti, del noto farmaco Lexotan. Interrogato sul suo specifico d’artista, Luca Clabot si riconosce come un’ultima frangia della stagione Neo-New Dada. In qualche modo, questo suo exploit multimediale anticipa, significativamente, le celebrazioni del 2016 per il centenario del Dada al Cabaret Voltaire di Zurigo (1916), coordinate dal commissario Juri Steiner.