Critica in Arte
Critica in Arte vuole avere una valenza “militante” promuovendo tre appuntamenti autunnali, a cadenza mensile, durante i quali un giovane critico presenta il lavoro di un giovane artista in una mostra monografica allestita negli spazi del MAR.
Comunicato stampa
Il Museo d’Arte della città di Ravenna, dal mese di novembre fino a gennaio 2013, propone per il quinto anno il progetto espositivo Critica in Arte realizzato in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Ravenna e con il generoso sostegno della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna.
Critica in Arte vuole avere una valenza "militante" promuovendo tre appuntamenti autunnali, a cadenza mensile, durante i quali un giovane critico presenta il lavoro di un giovane artista in una mostra monografica allestita negli spazi del MAR. Critica in Arte intende far luce sulle promesse della critica attualmente attiva in Italia e dedita specificatamente alle espressioni artistiche delle ultime generazioni.
Coordinati da Claudio Spadoni, direttore del MAR, sono stati invitati a partecipare al progetto Chiara Canali, critica d’arte, giornalista e curatrice indipendente; Matteo Galbiati, docente, critico e curatore; Silvia Loddo, storica dell'arte e della fotografia fondatrice dell'Osservatorio Fotografico di Ravenna.
Le sezioni della mostra saranno accompagnate da tre monografie presentate dai rispettivi artisti e critici, i tre cataloghi saranno poi riuniti in un unico cofanetto.
Le prime due sale del museo ospitano Ettore Frani (Termoli, 1978) – curato da Matteo Galbiati – il cui lavoro e ricerca sono stati attentamente suddivisi nei due ambienti seguendo una precisa selezione di opere. Nella prima stanza il visitatore potrà, infatti, ammirare il trascorso dell’artista che si dipana attraverso differenti cicli come Frutti Malati (2007), Ostaggi e Radure (2007-2008), Reliquie (2008-2009) Vane Immagini e Ombre (2009). La lettura di questi lavori fornisce una ricognizione sulla maturazione pittorica dell’artista, sulla coerenza e profondità delle sue tematiche, sulla dedizione scrupolosa che impiega nell’espressione di un colore che tanto si palesa nella tensione del proprio limite figurale, quanto si rende ambiguo e interrogativo nelle infinite potenzialità del suo costante mutare. I cicli diversi e integrati di queste opere introducono, rendendole evidenti, i mutamenti dell’ultimo ciclo di lavori cui rimane dedicata integralmente la seconda sala. Qui troviamo opere composte in suggestivi polittici, fedeli impostazioni delle architetture delle opere sacre dei secoli passati, in cui Frani lascia sopraggiungere il maggior senso di vuoto e liricità della sua pittura recente. L’inafferrabile subentra alle precedenti immagini figurali e ora riempie la superficie delle tele quasi a presagire una totale astrazione. La meditazione su una tavolozza cromatica ridotta al minimo e la concentrazione meditativa sull’invisibile, ha lasciato permeare ciascuna opera di una poesia pura ed intensa. Nel grisaille – un grigiore aurorale, atmosferico, suggestivo e mai piatto – delle sue tele i pochi colori sfumati uno nell’altro si accendono silenziosamente e misteriosamente di vita. Frani fa partecipare lo spettatore alla solennità di un dipingere cui non occorre più dichiarare un’immagine definita ma si rafforza nella quiete della trasparenza di farla solo trapelare. Il colore ad olio diventa una sottile pellicola di luce che sembra poter comunque rilevare con decisa forza, nella silenziosa attesa della sua imminente sparizione, la contemplazione felice ed effimera del tutto.
A seguire il percorso espositivo di Alessandro Brighetti (Bologna 1978), curato da Chiara Canali, riunisce l’ultima serie di opere scultoree e cinetiche che ha inventato e concepito secondo una formula gelosamente custodita dall’artista/scienziato. Un progetto che si colloca a metà strada tra le ricerche sull’arte cinetica e programmata degli anni sessanta e l’attuale sperimentazione sulle nuove tecnologie (elettrica, elettronica, meccanica etc..), pur mantenendo un’innegabile approccio estetico e visivo.
L’imprinting culturale ed estetico dell’artista – proveniente da una famiglia di medici e chirurghi - ha determinato lo sviluppo di questa ricerca, tesa allo studio dei rapporti tra fra arte e scienza, arte e fisica, arte e chimica.
In particolare, negli ultimi anni Brighetti è approdato allo studio del magnetismo, delle forze invisibili, impalpabili e intangibili ma presenti e costanti, che si impongono sulla materia.
In questo suo itinerario, l’artista opera in sinergia con un chimico per produrre in laboratorio un medium non ordinario: una mistura ben calibrata di olio sintetico e micro particelle di ferro avvolte da tensioattivi ionici, un liquido capace di reagire ai campi magnetici e di sovvertire le leggi base della fluidodinamica.
Questo olio nero e lucente, una volta sottoposto alla forza di un campo magnetico, muta la propria forma producendo geometrie regolari e tridimensionali che increspano la superficie del liquido seguendo le linee di forza del campo, capaci di scardinare le nozioni di fisica dei liquidi.
Il risultato di questa interazione fisica tra movimento e magnetismo sono forme armoniose e organiche, ipnotiche e coniche, costantemente uguali a sé stesse come ugualmente costanti sono le forze che le producono.
A seguire saranno esposti i lavori che appartengono alla serie The Struggle for pleasure (Lexotan, Luminol, Oblivion, Prazine, The Mlst Project) opere di matrice astratta e geometrica. Siamo di fronte a “supporti” meccanici, strutture compatte, tecnologiche, e alchemiche in cui interagisce una sostanza liquida tangibile e il tocco dell’artista è come quello del pennello che induce il campo magnetico ad agire in modi differenti stimolandone le modulazioni del liquido e la carica energetica dei flussi di materia. Queste esperienze estetiche, osserva Alessandro Brighetti, “sono ipnotiche e strabilianti; stupiscono il fruitore ogni qualvolta le osserva. I titoli ne sono conseguenza diretta e necessaria”.
L’artista presenta in anteprima la nuova serie di lavori figurativi e organici che appartengono al progetto a Narchitecture, che ripropone l’idea - già indagata dal lavoro dell’artista - di trasformare e convertire, in senso alchemico, la vita organica in inorganica e viceversa, verso il raggiungimento di una inarrivabile simbiosi, di un perfetto equilibrio che è emblema di uno “stato di grazia” assoluto.
All’interno di teche di vetro di fattura diversa l’artista ha predisposto i modelli anatomici di alcuni organi (come cervello, utero, occhio) o strutture scheletriche umane (come teschio e colonna vertebrale), ideati secondo le illustrazioni ottocentesche dell’ Atlas of Human Anatomy and Surgery di Jean Baptiste Marc Bourgery. Al di sopra di queste sculture il liquido nero, sempre attivato dai campi magnetici, va a creare delle tessiture coniche e convesse che si muovono ciclicamente sull’organo seguendo dei ritmi e delle cadenze prestabilite dall’artista.
Al fianco delle sculture sono presenti i disegni preparatori, meticolosamente realizzati su carta millimetrata con righe, squadre curvilinee, compassi retini, matite, pennarelli e chine, che pre visualizzano il lavoro e ne prefigurano la sua realizzazione.
Infine Marcello Galvani (Massa Lombarda, 1975), presentato da Silvia Loddo, l’artista ha a presentato i suoi lavori al "Premio Atlante Italiano 007 rischiopaesaggio", vincendo il secondo premio, al Festival della Fotografia di Reggio Emilia, al SIFest di Savignano e in numerose altre esposizioni.
Le sue fotografie fanno parte delle collezioni del Fotomuseum di Winterthur, del Museo Maxxi di Roma e di Linea di Confine per la Fotografia Contemporanea di Rubiera (RE).
Le fotografie, stranianti e sorprendenti, raccontano luoghi, cose, persone e animali ma anche e soprattutto un modo di guardare.
Le inquadrature inattese, i margini scelti con cura, un colore quasi fuori dal tempo e soprattutto una particolare sensibilità per la luce trasformano i soggetti in forme sospese, in presenze che descrivono insieme al soggetto l’intensità dell’esperienza dello sguardo.
Così davanti ai nostri occhi la realtà si rivela un semplice pretesto, si sposta e lascia spazio alla sua rappresentazione, la fotografia.