Cronache del dopobomba
Il riordino della collazione permanente intende cartografare l’Europa poststorica (intesa come fine della vita storica e perdita definitiva di ogni centro) rispetto all’imperialismo americano, quello cioè dei Signori della Guerra.
Comunicato stampa
Se la storia è «Maestra degli errori imperdonabili e irreparabili», l’arte è lo specchio di un’esistenza mutante e medesima. A cavallo degli anni Quaranta e Cinquanta i sismografi dell’arte registrarono un’esplosione “anodina” rispetto all’olocausto di Hiroshima e Nagasaki: alla detonazione dell’informale corrispondeva infatti l’implosione interiore dell’artista, la cui angoscia epocale si sarebbe espressa nell’urlo dell’anima. Dal conflitto con il supporto nasceva la tensione dei grandi formati – che andavano però guardarti da molto vicino – ove gli artisti raffigurano sensazioni e sentimenti, proiezione di quell’autre che divenne la cosa in sé. Tra colpi e contraccolpi, sciabolate di pennello e sferzate della spatola, il colore venne ridotto ad ampie taches oppure in tracce convulse che conferivano all’opera il suo aspetto di casualità e causalità.
Il riordino della collazione permanente intende cartografare l’Europa poststorica (intesa come fine della vita storica e perdita definitiva di ogni centro) rispetto all’imperialismo americano, quello cioè dei Signori della Guerra. L’effetto catastrofico delle bombe nucleari aveva di fatto riversato la sua onda d’urto sulla pittura, che improvvisamente si disgregava e assumeva l’aspetto di quello che sarà chiamato informel o gesture painting. Benché fosse venuta meno la responsabilità verso lo spettatore, i pittori del secondo dopoguerra lasciavano intuire la loro insofferenza psicofisica: stanchi di una pittura addomesticata, e in radicale opposizione al figurativo, la forma aveva finito per dissolversi, come a voler denunciare la crisi del momento e il senso di ciò che era ormai perduto. Alle “reliquie” di un vecchio ordine subentrava quindi la follia multiforme/informe del caos che pervadeva il mondo reale.
Nel piano interrato del Museo saranno esposti i dipinti di Karel Appel, Claude Bellegarde, Luis Feito, André Marfaing, Georges Mathieu, Mattia Moreni, Sergio Romiti, Emilio Scanavino, Gerard Schneider, Antoni Tàpies, Fred Thieler e Emilio Vedova, artisti che hanno saputo incarnare al meglio la stagione dell’informale, riuscendo a catalizzare l’esperienza e l’esistenza per sobillare le coscienze. Al centro della sala verrà invece collocata una scultura di Agenore Fabbri, effigiante un Personaggio atomizzato; sarà proprio la scultura di Fabbri a riallacciarsi in modo esplicito al tema delle bombe atomiche, ordigni bellici che sono stati forieri di un nuovo ordine concettuale (o più precisamente: di un inedito disordine visivo) all’interno della pittura e della scultura del secondo Novecento.
Alcune teche, collocate in prossimità delle opere, metteranno a disposizione immagini e libri che documentano gli avvenimenti connessi alle esplosioni atomiche dell’agosto 1945. Riportando in superficie le angosce, gli strazi e i patimenti della dolo[ro]sa distruzione di Hiroshima e Nagasaki, la mostra vuole porre l’attenzione sulle tensioni culturali e il dissesto psicologico che innervavano/avvelenavano l’arte del secondo dopoguerra. Tra i fumi della devastazione e le urla dei sopravvissuti, la pittura informale ha cercato di risanare le rovine morali e materiali del continente europeo, assecondando una speranza di guarigione e di riscatto dai conflitti bellici. Senza mai dimenticare o rinnegare quelle ferite che ancor oggi si rifiutano di rimarginarsi e tutti quei fantasmi che non saranno mai veramente fugati, la pittura informale è stata un anelito di liberazione e rivoluzione rispetto a una realtà tragica, brutale, inumana e più che mai insensata.