Dal disegno al dipinto. Un trittico gaudenziano riscoperto
Dopo il recente riallestimento della Sala dei Cartoni gaudenziani, la Pinacoteca dell’Accademia Albertina riprende il suo ciclo di mostre-dossier dedicate a opere pittoriche realizzate nell’ambito della bottega di Gaudenzio Ferrari, messe in dialogo con i materiali grafici di quella stessa officina artistica appartenenti al Museo.
Comunicato stampa
Dopo il recente riallestimento della Sala dei Cartoni gaudenziani, la Pinacoteca dell'Accademia Albertina riprende il suo ciclo di mostre-dossier dedicate a opere pittoriche realizzate nell'ambito della bottega di Gaudenzio Ferrari, messe in dialogo con i materiali grafici di quella stessa officina artistica appartenenti al Museo. Presentiamo in questa occasione un dipinto poco conosciuto della produzione gaudenziana, conservato in collezione privata e oggi visibile al pubblico per la prima volta.
L'opera, costituita da tre pannelli lignei di cui sono state modificate le misure e la forma originarie, raffigura nella parte centrale la Madonna con il Bambino, san Giovannino e tre angeli, mentre negli scomparti laterali sono visibili due sante nell'atto di presentare alla Vergine delle dame inginocchiate in preghiera, probabilmente le committenti dell'opera. Le sante sono identificabili grazie ai loro attributi in Marta di Betania (a sinistra, con la Tarasca e l'aspersorio) e Dorotea (a destra, con il canestro da cui sgorgano miracolosamente dei fiori).
Il trittico è riconoscibile negli inventari della importante quadreria dell'avvocato Giuseppe Antonio Gattino (1802-1853), che era allestita nelle sale nell’attuale Palazzo Valperga Galleani di Torino, in via Alfieri 6, in cui il collezionista abitò a partire dal 1829. La pinacoteca passò poi per via ereditaria ai conti Ricardi di Netro e infine nel 1929 fu acquisita dall'antiquario torinese Pietro Accorsi e dispersa sul mercato. Le tre tavole qui presentate furono comprate pochi anni dopo dalla famiglia che tuttora le possiede.
Gattino aveva acquistato l'opera nel 1830 a Chieri, poco lontano da Torino, dove pare che fosse conservata in San Domenico. Questa dunque potrebbe essere la chiesa per cui fu originariamente commissionata, oppure potrebbe provenire da qualche altro edificio religioso della zona ed essere stata trasferita lì in seguito alle soppressioni napoleoniche degli ordini religiosi (1802), che provocarono la dispersione di una grossa parte del patrimonio artistico piemontese.
L'opera è attribuibile al grande pittore di origine valsesiana Gaudenzio Ferrari (nato a Valduggia, documentato a partire dal 1507 e morto a Milano nel 1546), dipinta verosimilmente con l'aiuto di un collaboratore intorno al 1540 o poco prima; la tavola centrale è ispirata alla cosiddetta Madonna degli aranci, una grande pala commissionata nel 1529 a Gaudenzio per la chiesa di San Cristoforo di Vercelli.
La collezione della Pinacoteca dell'Accademia Albertina conserva un cartone (il numero 351) raffigurante Santa Dorotea con una devota, che fu probabilmente realizzato dallo stesso Ferrari come traccia grafica per la tavola di destra dell'opera qui presentata. Le indagini scientifiche eseguite sul trittico in occasione del restauro hanno dimostrato, grazie alla tecnica della riflettografia infrarossa, la precisa corrispondenza del disegno preparatorio sulla tavola con il cartone, confermando che proprio questo grande foglio o una sua copia diretta sono stati utilizzati come impostazione per la stesura pittorica.