Damiano Casalini – Chambre d’amis
Il lavoro di Damiano Casalini ragiona intorno a un tema che riguarda qualunque bambino e qualunque uomo. L’artista torinese ha ideato un personaggio di grande semplicità tecnica, ma di enorme impatto visivo.
Comunicato stampa
Se tutti avessero la coda
di Anna Caterina Bellati
Il lavoro di Damiano Casalini ragiona intorno a un tema che riguarda qualunque bambino e qualunque uomo. L’artista torinese ha ideato un personaggio di grande semplicità tecnica, ma di enorme impatto visivo. Si tratta di un bambinomorto, cioè mai nato perché, per una o mille ragioni irragionevoli, la società ha deciso di escluderlo dal proprio consorzio.
Questa creatura con braccia e gambe molli, quasi dovessero ancora formarsi, ha un viso tondo e sorridente con occhi molto espressivi. Nel suo universo di fantasia, che si scontra con la violenza della realtà, entrano due ordini di presenze, i buoni e i cattivi. Della schiera dei buoni fanno parte molti animali da sempre connotati come creature positive: il gufo, capace di mettere in guardia dai pericoli notturni; l’elefantino, in grado di portare fortuna; il cinghiale, in apparenza feroce e invece pronto a difendere, quasi un cane da guardia dei boschi; il maialino, filiazione domestica del caro cinghialetto, l’asinello, bestiola di compagnia e molta tenerezza.
I geni del male sono invece degli uccelli rapaci tra l’aquila e il condor, in realtà simili a tacchini. Hanno rostri aguzzi e sguardi voraci, stanno in attesa per ore, pronti a ghermire la preda. Di solito occupano la parte esterna del dipinto, costruendo quasi un cerchio di morte attorno al bambino ignaro, che tuttavia si protegge con le sue poche certezze e i suoi piccoli amici.
La figura del cerchio è un elemento fondamentale nella poetica di Casalini.
Può indicare un recinto di negatività, più spesso rimanda al ventre materno, luogo di nascita e di protezione, ma anche possibile strumento di coercizione, quando il mondo adulto non si accorga dei pericoli contro i quali il bambino deve lottare.
Non si possono comprendere l’immensa dolcezza e la corrispondente amarezza intrise nella produzione di Casalini senza conoscere la sua straordinaria situazione visiva. Una rara malattia gli impone di combattere contro il buio da quando è nato. I suoi occhi si regolano in modo diverso rispetto alla normale percezione della luce. Questo ha generato un approccio al mondo oggettivo e anche al mondo fantastico del tutto personali. Il buio per Casalini è diventato una condizione mentale, lo costringe a ritirarsi dal resto e avvia quella indagine interiore che ha permesso l’invenzione di un mondo nuovo.
Come in un cortile giocoso
Il gufo reale Bubo può girare la testa di 270 gradi. Ha forme massicce e le ali arrotondate, coda corta e una testa considerevole. Gli occhi, frontali, hanno iride giallo-arancio. Casalini ne possiede due e li ha sempre ammirati. La cosa quasi magica è che fin da bambino all’artista è stato attribuito un soprannome, Bubo. E il destino del ragazzo e del gufo un giorno si sono incontrati.
Un gufo reale trascorre gran parte del proprio tempo attorno al nido, nascosto nelle fessure delle rocce o nella rinsega di un albero. I due gufi di Damiano abitano tra la casa-cascina e una grande gabbia all’aperto e da lì controllano tutto quello che accade intorno. L’abitudine quotidiana a vivere in famiglia li ha trasformati da predatori in compagni e Casalini pittore ha eletto il gufo ad attento guardiano capace di sentimenti profondi. Per questo lavori come Dolce attesa o Un mio amico hanno per protagonista lui, il gufo. In realtà il primo dipinto, una piccola cosa deliziosa irripetibile, è un autoritratto. Bubo Casalini si trasforma in gufo Bubo allorché la sua compagna gli rivela di aspettare un figlio. E gli occhi del gufo riempiono tutto il dipinto. Dolce sorpresa. Di nuovo lo sguardo del gufo è protagonista nel secondo lavoro in questione. Come resistere a quel liquoroso ammiccare che contiene la promessa di una serena giornata... Il ragazzo ha completa fiducia nel suo amico, con lui accanto sa che nulla di male potrà accadergli. Importanti per la difesa personale sono anche gli elefanti. Nel bestiario di Casalini rappresentano l’eccezione alla regola del cortile, essendo gli unici a venire da molto lontano.
Nell’antichità occidentale l’elefante corrisponde all’uomo caduto nel peccato. Per risollevarlo Dio manda sulla terra dodici elefanti saggi, i profeti, ma la bestia umana non ne tiene conto. Per questo il Padre invia sulla terra un elefante salvatore, il Cristo. Nel Phisiologus l’elefante simboleggia infatti il battesimo, perché la femmina per partorire s’immerge nell’acqua schiacciando il serpente, simbolo del male. Durante il nostro Medioevo e fino a tutto il secolo XVII l’elefante è considerato il più religioso di tutti gli animali, mentre in Asia, addomesticato come cavalcatura reale, diventa simbolo di potenza ultraterrena. In India è invece simulacro della stabilità e immutabilità del macro-cosmo; fu un elefante bianco ad annunciare la nascita del Buddha.
Per Casalini che mescola tutti questi preziosi ingredienti, gli elefantini sono una task force contro il nemico. Ma c’è un’altra figura irrinunciabile nel panorama del torinese, l’asino. In realtà ricopre più il mestiere del cane fedele al quale raccontare ogni minimo mutamento del proprio cuore. Come in Mi manchi tanto del 2007. Il ragazzo patisce il dolore di una separazione e dice il suo dispiacere all’amico che lo guarda con una tenerezza infinita. Quella dell’asino è una presenza costante nella storia della pittura. Una delle più antiche raffigurazioni risale a un bassorilievo della mastaba di Akhuthopet (2400 a. C.); mentre nella scultura dal XII al XIV secolo l’asino è frequente nei capitelli sui portali delle chiese come quella di Meillet (Francia), o delle cattedrali di Rouen e Chartres. Dall’arte bizantina in poi l’asino è in quasi tutte le Natività. Ma a dargli un’aura straordinaria sarà Giotto, con la Fuga in Egitto affrescata nella Cappella degli Scrovegni a Padova.
Da allora l’asino diventa per il cristianesimo colto il simbolo della fuga verso la salvezza. Casalini mette insieme la tradizione con la presenza reale nella sua vita di questo intelligente animale e gli assegna un compito preciso. Attaccato alla sua coda il ragazzino si fa accompagnare per il mondo e l’asino provvederà a non farlo mai inciampare.
Anna Caterina Bellati Venezia, giugno 2013
BIOGRAFIA
Damiano Casalini, è nato a Torino il 4 Febbraio del 1977, vive e lavora tra Torino e le campagne del Monferrato. Dopo aver frequentato il Liceo Artistico Vittorio Veneto a Torino si iscrive all’Accademia Albertina di Belle Arti dove si laurea con una tesi dal titolo “Bambino morto. La figura del bambino morto nella storia dell’arte”.
Tiene la sua prima personale I’m not kidding, Non sto scherzando, nell’ottobre del 2007 alla Wunderkammer Gallery di Torino.
Nel marzo 2008 prende parte alla collettiva BODIES: casings of flesh, light and thought, CORPI: involucri di carne, luce e pensiero nelle sale della Mya_ Lurgo_ Gallery a Lugano (Svizzera), curatore Anna Caterina Bellati.
Nell’aprile successivo Anna Caterina Bellati organizza l’esposizione di Damiano Casalini e Kiki Pepe
dal titolo Very personal stories, Storie molto personali, nel Palazzo Pretorio di Chiavenna.
Nell’agosto 2008 partecipa a OPEN XI. Esposizione Internazionale di Sculture e Installazioni a
Venezia Lido e nell’ottobre 2008 a Il vuoto e le forme. 1. Esposizione Internazionale di Sculture Installazioni e Dipinti a Chiavenna.
Nell’autunno/inverno del medesimo anno si diploma in Incisione a Venezia, all'Accademia di Belle Arti di Venezia e in primavera espone a Il vuoto e le forme. 2. Esposizione Internazionale di Sculture Installazioni e Dipinti a Chiavenna. Sarà invitato nel 2012 alla terza Edizione Il vuoto e le forme. 3. Esposizione Internazionale di Sculture Installazioni e Dipinti, Cantico, dedicata a San Luigi Guanella, tutte a cura di Anna Caterina Bellati che per Natale organizza un’altra sua personale a Milano in uno spazio privato. Nel luglio 2013 Anna Caterina Bellati predispone la personale CASALINI 3 Bubostorie nelle sale della Scoletta della Bragora, in Campo Bandiera e Moro a Venezia.