Dana Frankfort
Prima personale italiana dell’artista americana Dana Frankfort (1971, Houston. Vive e lavora a New York). La novità e l’originalità del lavoro di Dana Frankfort sta nell’usare la parola come presenza, non solo letterale ma anche fisica, che si immerge in campiture cromatiche potenti.
Comunicato stampa
La Galleria Glance è lieta di presentare la prima personale italiana dell’artista americana Dana Frankfort (1971, Houston. Vive e lavora a New York).
Nuova esponente dell’arte che usa il linguaggio come espressione visiva, Dana Frankfort negli ultimi anni è riuscita a emergere nel panorama contemporaneo con lavori che usano la parola andando oltre il concettualismo anni Sessanta di Weiner, Kawara, Kosuth, Nannucci, il neo o post concettualismo di Fleury, Locher, Mullican, le opere di Poesia Visiva, Concreta o Fluxus e le forme narrative di arte che lavorano con i principi della pubblicità di Kruger, Holzer e Lum.
Andare al di là di tutto ciò significa creare qualcosa di nuovo. “Sviluppo i miei lavori in un modo che nessuno dei miei predecessori ha mai fatto – racconta l’artista ¬–. Ma questo non vuol dire che non mi piaccia far parte di tradizioni artistiche passate e presenti”.
La novità e l’originalità del lavoro di Dana Frankfort sta nell’usare la parola come presenza, non solo letterale ma anche fisica, che si immerge in campiture cromatiche potenti. “Prendo i colori da un contesto iper moderno, dalle riviste patinate, dalle pubblicità, dagli smalti per unghie. La scelta delle parole nasce, invece, dall’incontro tra la loro forza visiva e quella linguistica. Ho bisogno che siano pura forma, ma che siano anche dizionario. Mentre il ‘significato reale’ di ciò che dipingo si rispecchia all’interno della tela”.
Nella sua prima personale italiana l’artista americana presenterà una serie di opere che sono “una costellazione di termini raggruppati secondo una logica che fa sì che ciascun lavoro si rafforzi a vicenda. Nelle mie mostre è molto importante lo spazio tra le tele, il modo in cui le parole interagiscono con il luogo. Proprio come nelle vita reale, quando le parole sono in forma verbale, anche nella mia arte il contesto è fondamentale. Ma il significato finale lo lascio agli spettatori, io do solo indizi per la comprensione”.
Il gioco dell’arte di Dana Frankfort sembra semplice, quasi banale, invece è profondo quanto l’arte di Warhol. Così come le serigrafie del grande genio Pop riportano a galla il quotidiano dandogli nuova visibilità e valore, le tele dell’artista americana ci mostrano le parole nello loro duplice essenza di significanti e significati. Dove il significante diventa una presenza monolitica di lettere dipinte sulla tela con la forza espressionista delle parole senza significato di Mark Tobey, il cromatismo neo pop della comunicazione mediatica, e un lettering quasi da street art. Mentre il loro significato assume forme nuove e sorprendenti tanto da far venire in mente quell’indovinello che recita: “Se lo nomini non esiste più. Cos’è?” Allo stesso modo il significato delle parole di Dana Frankfort è come il silenzio, la risposta all’indovinello che nel momento in cui la verbalizzi ad alta voce scompare. Dice l’artista: “Se prendi una parola come hamburger e ne evochi la sua astrazione, non sarà più solo un pezzo di carne tra due fette di pane”.
Dana Frankfort ha creato uno stile unico che l’ha portata a vincere il Guggenheim Fellowship (2006) e ad esporre in collettive (Abstract America I e II) alla Saatchi Gallery di Londra (2007-2009), al Museum of Fine Art di Houston (2008) e al Jewish Museum di New York (2010). Sue personali si sono tenute alla Kantor/Feuer Gallery di Los Angeles (2006), alla Bellwether di New York (2007), alla Greener Pastures Contemporary Art di Toronto (2008), alla Sorry We're Closed di Bruxelles (2008) e alla Inman Gallery di Houston (2010). Dana Frankfort è anche titolare della cattedra di pittura al Boston University College of Fine Arts.