Daniela Masera – Di fiaba in fiaba
Utilizza forme elementari, nella loro essenzialità geometrica, per combinarle tra loro e all’interno o congiuntamente a sintetiche trame, che hanno l’impatto di richiami vegetali e che perciò assumono il valore di citazioni e di rimandi naturalistici e, insieme, di schematismi astratteggianti, “in odore” di memorie gestaltiste, tra nozioni di psicologia della percezione e attuali strategie della comunicazione visiva.
Comunicato stampa
Di fiaba in fiaba
La lettura delle fiabe non è cosa da prendere a cuor leggiero. E peggio ancora, se ci si vuole districare dal ginepraio della loro comprensione.
Non manca la pluralità delle loro versioni, che in qualche caso toccano le quattrocento pagine. Veri e propri romanzi! E poi, i saggi critici, gli studi pertinenti ormai ad una tradizione secolare, insomma un vero e proprio sapere, degno di una specifica ermeneutica.
E allora, cosa ti combina Daniela Masera? Per cercare di penetrarne il mistero, con le sue composizioni “astratte”, sembra voler complicare ancora di più la faccenda. Utilizza forme elementari, nella loro essenzialità geometrica, per combinarle tra loro e all’interno o congiuntamente a sintetiche trame, che hanno l’impatto di richiami vegetali e che perciò assumono il valore di citazioni e di rimandi naturalistici e, insieme, di schematismi astratteggianti, “in odore” di memorie gestaltiste, tra nozioni di psicologia della percezione e attuali strategie della comunicazione visiva. Non senza una soffusa vena di volontà parodistica, affidata a quelle masse materiche di pigmento, che paiono aggirare, se non deliberatamente azzerare ogni seria memoria colta. E allora? Proviamo a dipanare il bandolo, scegliendo tra alcune delle sue composizioni, per tentare di entrare nel loro segreto percorso.
Cappuccetto rosso, ad esempio, suggerisce un percorso percettivo che ci conduce non immediatamente al triangolo rosso – il cappuccetto – che appare dominato da una forma di cerchio nero, quasi compiuto, incombente e pervasivo, ma, si badi bene, comunque incompleto. A sinistra sono distribuite forme che alludono al bosco e al percorso che si inoltra nel suo interno, una sorta di labirinto. E, per ora, fermiamoci qui.
I tre porcellini. Qui compaiono tre dischi rosati – appunto i tre porcellini – integri nella loro forma geometrica compiuta, quasi ad alludere alla lieta conclusione della fiaba, e altrettanti quadrati grigi e bianchi – le loro case – su cui incombe il cerchio nero – e, si badi altrettanto bene, anch’esso incompleto, certo minaccioso, ma altrettanto frustrato nelle sue voglie di sazietà, con la sua “bocca” aperta verso il basso, proprio come per il lupo, già in Cappuccetto rosso. Qui, da sinistra, compare un intrico di vortici, che si spiana e tende ad azzerarsi a destra – come già nell’immagine di Cappuccetto rosso - percettivamente guidato dal nastro orizzontale, in basso, nel vuoto compositivo occupato dalla scritta, cui è demandata l’identificazione della fiaba.
Il modulo compositivo adottato non è poi distante nemmeno da Biancaneve e i sette nani, con la scena dominata al centro in alto, ancora una volta, da quel macabro cerchio nero, per altro ancora incompleto – e ormai sappiamo perché -ma altrettanto aggressivo e crudamente fagocitante, nelle intenzioni e nella voluttà di morte che imperversa nel cuore della matrigna, frustrata, però, dal diverso esito della fiaba. Qui, se la sequenza verticale dei sette triangoli rosa rimanda ovviamente ai sette nani, a destra e accanto a quelle barre verticali che alludono ancora una volta al bosco - e al tragitto narrativo del racconto – come si è già detto, suggerito dal cordone orizzontale sottostante – compaiono altre forme geometriche elementari.
Forme non estranee ad altri “racconti” e personaggi in mostra, anch’esse ne completano la “logica”, contribuiscono, come ingredienti complementari, al senso e alla direzione verso cui si indirizza il tragitto della fiaba, fino al suo compimento. Fatta salva, ovviamente, ogni altra interpretazione.
Paolo Nesta Avigliana, ottobre 2012