Daniela Ortiz – I figli dei comunisti
Prima mostra personale in galleria dell’artista peruviana Daniela Ortiz (Cuzco, 1986).
Comunicato stampa
Laveronica Arte Contemporanea è orgogliosa di presentare la prima mostra personale in galleria dell’artista peruviana Daniela Ortiz (Cuzco, 1986). Il tema riguarda uno dei protagonisti indiscussi di quello che lo storico Eric J. Hobsbawm ha definito «il secolo breve»: il movimento comunista internazionale. Con I figli dei comunisti, l’artista ha scelto di raccontare una pagina poco nota della vicenda rivoluzionaria novecentesca: l’organizzazione di iniziative e reti di protezione a sostegno dell’infanzia messe in atto da governi, partiti e militanti afferenti alla galassia marxista. Storie diverse per ragioni di contesto e latitudine, che narrano di figli di militanti messi in salvo, della ricerca di nipoti scomparsi e dell’accoglienza di rifugiati in fuga da una guerra civile o da un disastro nucleare, ma con un denominatore comune: la difesa e la salvaguardia dei bambini nel nome della solidarietà internazionalista.
Nel corso degli ultimi anni Ortiz ha affrontato più volte il tema dell’infanzia, a partire dalla critica ai sistemi simbolici discriminanti del patrimonio artistico. Si pensi al lavoro sulla figura di Ana Maria de Jesus Ribeiro, più nota come Anita Garibaldi, nel cui monumento equestre al Gianicolo Mussolini volle fosse inserita l’immagine di un bambino in fasce: una forzatura ideologica, prima che iconografica, con cui ricondurre la figura della rivoluzionaria nel più rassicurante alveo della donna madre/angelo del focolare tanto cara al fascismo. Allo stesso modo, con la perfomance I figli non sono della lupa, lo spettacolo di burattini realizzato a Roma nel 2021 per Hidden Histories ed eccezionalmente riproposto per l’opening della mostra, l’artista ha sollevato il problema del razzismo istituzionale dei servizi sociali, visti come strumento di repressione e violenza sociale, e delle ingerenze dello Stato nella vita delle famiglie migranti.
La parola italiana storia, al pari della spagnola historia, restituisce un doppio significato che i latini distinguevano in res gestae(ciò che è accaduto, l’evento) e historia rerum gestarum (il racconto dell’evento). Esplorando questa ambiguità lessicale, Ortiz ha più volte decostruito e reinterpretato le narrazioni storiche coloniali e razzializzate. Nell’opera El ABC de la Europa racista (2017), un abbecedario illustrato realizzato attraverso un percorso partecipato insieme a madri single richiedenti asilo nel Regno Unito, ha messo in luce il ruolo della letteratura per l’infanzia nella costruzione di un immaginario collettivo eurocentrico, in bilico tra paternalismo e criminalizzazione dell’altro. a riflessione sul rapporto tra storia e memoria non passa solo attraverso il piano simbolico: il processo creativo è agito come un recupero e un rilancio di azioni dirette di attivismo.
Daniela Ortiz ha abituato il suo pubblico a confrontarsi con l’uso di media diversi. Per I figli dei comunisti l’artista è tornata a cimentarsi con un manufatto popolare come il giocattolo, optando per un oggetto culturale dalle origini transnazionali diventato nel Novecento uno dei simboli della patria del socialismo reale: la matrioska.
L’azione artistica di Ortiz nasce da una riflessione sull’oggetto/manufatto culturale come prodotto di un determinato sistema politico ed economico, sul quale intervenire mediante inserti e variazioni, mescolando livelli e fonti culturali di diversa origine: un détournement che, producendo uno scarto di senso, ne modifica l’originale prospettiva. Abbandonata la struttura genealogica e di racconto mise en abyme, la matrioska finisce con l’assumere i connotati di una narrazione per immagini, i cui episodi sono scanditi in una sequenza che, con graduale disvelamento, illustra passo dopo passo personaggi ed eventi. La matrioska di Daniela Ortiz mostra come, dietro una storia apparentemente legata a una sola figura, a un solo protagonista, si nasconda in realtà una vicenda complessa di rilevanza politica collettiva, dove il lavoro di costruzione iconografica rievoca la dimensione artigianale della ricerca e del racconto storico.
È il caso della matrioska dedicata alle Madres (e alle Abuelas) de Plaza de Mayo, il movimento delle madri dei desaparecidos, i dissidenti politici uccisi durante la dittatura militare in Argentina tra il 1976 e il 1983. La prima immagine ritrae una delle fondatrici, Norita Cortiñas, mentre mostra il volto del figlio Gustavo, militante del Partido Justicialista e della organizzazione guerrigliera dei Montoneros. La seconda ha le sembianze di un neonato in fasce e rappresenta i figli dei desaparecidos, alcuni dei quali nati in prigionia, tolti ai legittimi genitori assassinati – i cui ritratti adornano le fasce dell’infante – e dati in adozione ad altre coppie, talvolta alle famiglie dei torturatori. Solo procedendo nel percorso di scoperta troviamo 131 statuine, il numero di hijos che le Abuelas de Plaza de Mayo hanno sinora rintracciato nel corso delle loro ricerche e ai quali hanno rivelato la loro storia di figli di desaparecidos. Al cuore del disvelamento simbolico vi è dunque una vicenda di reale e dolorosa presa di coscienza con cui lo spettatore è costretto a confrontarsi. All’interno del progetto trovano spazio anche altre vicende collettive, come quella dei niños de Morelia; o quella del programma umanitario più lungo della storia, inaugurato a Cuba nel 1990 dopo il disastro di Chernobyl e che. grazie al lavoro volontario di migliaia di cubani, nell’arco di 21 anni ha consentito di accogliere e curare più di 26.000 bambini provenienti da Russia, Bielorussia e Ucraina.
Lo studio di Daniela Ortiz pone l’accento sull’importanza delle organizzazioni politiche nel proteggere e mettere al sicuro i figli dei militanti comunisti: il ruolo di governi, comitati, gruppi di pressione è letto dall’artista come una forma di resistenza antifascista contro un genocidio programmato di donne, uomini e idee. È il caso di Patrice Lumumba, primo presidente nero del Congo indipendente, ucciso nel 1960 da un golpe finanziato e sostenuto dalla CIA e dal governo belga. Fu l’Egitto di Gamal Abdel Nasser, uno dei leader dei Paesi non allineati impegnati nel processo di decolonizzazione dell’Africa, a dare asilo alla moglie e i figli dello statista congolese, in nome della solidarietà terzomondista.
L’attentato a Benito Mussolini. avvenuto a Bologna il 31 ottobre 1926 per mano di Anteo Zamboni, costituì un punto di svolta nella storia d’Italia: forte dell’emozione suscitata dall’avvenimento, il governo procedette alla promulgazione delle Leggi per la difesa dello Stato, con cui fu decretata la fine del vecchio ordinamento liberal-democratico e compiuto un passo decisivo nella definitiva istaurazione del regime fascista.
Al tempo stesso questa giornata particolare può essere raccontata come una storia di allegorie e immagini. L’intera città è addobbata per la Festa della rivoluzione fascista, la più importante cerimonia militare dell’anno. Un enorme fascio littorio tricolore sormonta la facciata della stazione. Mussolini a cavallo inaugura lo stadio del Littoriale. Un mastodontico spiegamento di forze viene predisposto a difesa del duce, che nell’ultimo anno è sfuggito a tre attentati: per le strade un gruppo di fascisti in divisa trascina un lugubre carro carnascialesco raffigurante un manichino impiccato a una forca, invocando la pena di morte per gli attentatori. Quando la macchina di Mussolini sbuca al Canton dei Fiori echeggia uno sparo. La pallottola raggiunge il duce trapassando il bavero dell’uniforme della milizia (simbolo del fascismo) e la fascia dell’Ordine mauriziano (simbolo della monarchia sabauda), lasciandolo indenne. La folla assale il quindicenne Anteo Zamboni, colpito da calci, pugni, morsi e pugnalato più volte da esponenti della milizia e degli arditi.
Ciò che colpisce, in questa ricostruzione iconografica, è l’assenza del volto di Anteo. Negato nel corpo, sul quale la violenza squadrista continuò a infierire anche da morto, al punto che il padre stentò a riconoscere in quel cadavere sfigurato le sembianze del figlio. É negato persino in effigie: su disposizione del ministro degli Interni, Luigi Federzoni, sui giornali non comparve alcuna fotografia dell’attentatore, il cui volto adolescente avrebbe rischiato di mettere in serio imbarazzo il regime.
Daniela Ortiz rende omaggio al giovane antifascista, espressione della rivolta dei più giovani contro una fascistizzazione della società che proprio nell’infanzia aveva avuto il suo bersaglio privilegiato. Spezzando questa doppia damnatio memoriae, l’artista restituisce allo spettatore il viso sereno di Anteo, un sorriso accennato, gli occhi buoni e intensi. Uno sguardo che non può non interrogarci – oggi più di ieri – sul valore del sacrificio del giovane rivoluzionario.
Danilo Siragusa