Daniele Salvalai – Prothesis
Si conclude il programma della stagione 2010/2011
“scelti bene in tempi estremi 2011” tre mostre di giovani artisti di talento da annotare e seguire con la mostra personale di Daniele Salvalai.
Comunicato stampa
Metro-Natura.
Scultura come parametro correlativo eco-logico.
Bisogna ammirare con un diverso rispetto e applicare un’attenzione e una considerazione particolari quando,
oggi, si guarda a quegli artisti che si esprimono con il linguaggio della scultura. Una scelta impegnativa,
difficile, dura. Una scelta che obbliga a grandi fatiche e ad un rapporto complesso con la materia utilizzata.
Chi persegue, e tenacemente asseconda, questa vocazione, lo fa in primo luogo per quell’amore profondo e
senza compromessi e per quell’inevitabilità che rendono speciale ed inesorabile qualunque cosa. La scultura
– radicata passione anche in chi scrive – è una forma d’arte fatale, senza compromessi, scappatoie e vie
d’uscita. La scultura diventa agente complice dello spazio, di dialogo con l’ambiente, di un avvincente corpo
a corpo fisico con chi la osserva. Abbiamo bisogno di artisti che non trascurino questa scelta e con
intelligenza ne assecondino la vocazione. Si deve quella dose di riguardo, quindi, anche per distinguere
l’impegno e la difficoltà seri contro il dilagare pernicioso di precarie installazioni estemporanee, senza poesia
o intensità, slegate da ogni riferimento ad una poetica o un pensiero ma concepite come uno spot e secondo
l’occasione del momento, a chi rivaluta e nobilita con una sincera profondità la scultura. Soprattutto quei
giovani artisti che più di altri subiscono e patiscono le difficoltà legate a questa espressione e quelle
penalizzanti inflitte dalle congiunture sfavorevoli del proprio tempo.
Daniele Salvalai ama e sente con intensissima passione il rapporto con l’arte che viene da lui vissuto proprio
attraverso l’esperienza della scultura. È in primo luogo, senza compromessi, uno scultore. Il linguaggio
scultoreo diventa per lui un’esigenza insostituibile, tradita anche dalla propensione al dialogo e alla pratica
della materia oltre che dal suo carattere e atteggiamento mentale riferito al ruolo dell’opera nei confronti
dello spettatore. L’essere scultore di Salvalai si evidenzia e vive già in nuce fin dall’elaborazione dei progetti,
quando delinea il profilo del lavoro, nello schizzo, nel disegno progettuale che diventerà poi operativo. Lo
studio attentissimo e meticoloso delle forme, delle proporzioni, del rapporto con lo spazio-ambiente, del
legame stretto che la scultura acquisirà con l’intorno di cui diventerà parte, è motore imprescindibile del suo
fare, che denuncia il radicamento del pensiero e l’affezione vera per il suo lavoro. Un lavoro che, per questa
passione, diventa tutt’uno con l’individuale esperienza dell’artista, ma che si rende altrettanto efficace e
coinvolgente in chi la osserva.
La componente chiave della sua ricerca, potremmo dire il soggetto di riferimento, rimane sempre l’elemento
naturale: frammenti di natura – alveari, carapaci di tartaruga, bozzoli di farfalle, conchiglie, … – sono gli
spunti che porgono allo spettatore interrogativi non tanto sul senso della Natura, quanto sul rapporto e la
correlazione di cui l’uomo è parte. In questo senso occorre precisare che il richiamo e l’indirizzare
l’attenzione sulla Natura non devono essere letti ed enfatizzati in chiave di un’ecologia postindustriale.
Salvalai non vuole cercare di destare le coscienze solo sul rispetto della natura, sulle tematiche legate
all’educazione e alla conservazione ambientali. L’etica cui lui mira è ben più sottile e complessa: i suoi lavori
sono eco-logici nel senso intellettivo del termine. La correlazione che impone al suo spettatore viene vissuta
soprattutto a livello logico e mentale, fisico solo nella dimensione oggettuale della scultura, come materia
presente concretamente nel suo essere sostanza.
Il suo riferimento costante e perdurante alla Natura si deve intendere come modello universale, come piano
regolatore dell’esistenza e dell’esistente. La Natura diventa il parametro primigenio cui ogni cosa viene
riferita. I modelli sono stabiliti dai suoi incomprensibili meccanismi, magari congetturabili e razionabili, ma
non governabili. Geometria, matematica, fisica, … Sembravano scienze umane eppure la loro bellezza
perfetta ed inviolabile è stata desunta da quello che era attorno a noi. È stato tutto sempre accanto, tutto
sempre attorno a noi. Siamo stati immersi in questo. La Natura ha dato il suggerimento all’uomo che non ha
prodotto alcuna invenzione… Ha semplicemente razionalizzato un sistema col maggior dono dell’intelletto.
Salvalai riesce ad essere, nello sviluppo di questa complessa poetica, assolutamente attuale in riferimento
ad un sentire comune sempre più condiviso e sollecitato, che vede il riappropriarsi di una relazionabilità
coerente con la Natura, ma mai scade nella retorico o nella semplificazione eccessiva che rischia la
banalizzazione. Il rapporto Natura-Uomo viene risolto da Salvalai con una scultura parametrica – il carapace
della tartaruga contiene il corpo dell’artista, diventa culla che accoglie, quasi fosse il cerchio dell’uomo
vitruviano di leonardesca memoria – rappresentativa ma mai solo figurativa, che indicizza le forze, gli
equilibri e le forme della cose naturali in cui l’uomo trova un suo fisico accoglimento. Questa è l’eco-logicità
di Daniele Salvalai.
Pensando al titolo della mostra, la Prothesis, in questo caso proprio le sculture, non diventa uno strumento
artificiale e aggiuntivo, strumentale, ma un qualcosa di assolutamente imprescindibile che si pone,
letteralmente, davanti e si appone ed interfaccia con l’individualità del pensiero umano che, pretenzioso nel
considerarsi superiore, viene ridimensionato dalla perfezione di ciascuna res naturalis tradotta in scultura da
Salvalai. Ci induce a tornare a valutare la nostra limitatezza umana e a ri-configurare l’inevitabile relazione
che abbiamo con qualcosa di ben più grande e misterioso rispetto al nostro sapere, al nostro intelletto. La
scultura protesica di Salvalai interviene a ridimensionare il sistema umano nel metro della Natura,
annullando quella distanza che abbiamo prodotto pensandoci fuori da quello stesso sistema. Un deficit tutto
mentale che ci ha fatto intendere il nostro esserci come parallelo ad esso, quando, in realtà, ne siamo
proprio addentro. L’uomo si ritrova spogliato della sua certezza di sapiens e lasciato nudo nella sua fragilità
tutta umana. Daniele Salvalai non cerca, però, di soverchiarci con le sue opere. Non sono severe. Non ci
abbandona nella nostra limitatezza. La scultura, una volta compresa, viene ora riscoperta quasi
accomodante e protettiva. L’uomo ritorna all’abbraccio della Natura. Viene custodito e sostenuto. La
piccolezza umana trova accettazione proprio in quelle forme che, estensione metrica anche per il suo corpo,
paiono ora accoglierlo e proteggerlo.
Come fanno da sempre un bozzolo, un alveare, un carapace.
Matteo Galbiati
Luglio 2011