Danilo Vuolo – Ur-Na
Quella di Danilo è una riflessione sul linguaggio che, in un momento di sovraccarico dell’informazione, mira alle potenzialità del “non detto”, nozione con una lunga storia di riflessioni alle spalle e che diventa qui stimolo sensoriale e immaginativo.
Comunicato stampa
UR-NA è ciò che Luis Carol definisce una parola baule, un neologismo derivante la fusione di due termini diversi:
“UR” un prefisso tedesco potente e raro che sta a indicare tutto ciò che è primigenio, e “NA” termine indoeuropeo che indica il flusso delle acque inteso come negazione dell’atto di vedere. Presso questi antichi popoli indoeuropei, l’idea di
negazione nacque dall’esperienza dell’oscurità delle acque notturne. In quei tempi, si credeva che le ore buie della notte fossero provocate dal terminarsi del periodo di moto dell’oceano luminoso diurno, e dal successivo giungere intorno alla terra dell’oceano di acque tenebrose. Così, durante la notte alla domanda “Che cosa si vede?”, la risposta non poteva che essere “Si vede solo NA” e cioè acqua, equivalente al non vedere nulla. La serie di opere presentate da Danilo Vuolo, all’interno della mostra personale ospitata nella galleria T14 CONTEMPORARY sono infatti scritture d’ombra, in cui alla nitidezza oscura della china, l’artista contrappone la sua naturale trasparenza data dalla presenza dell’acqua e messa
in risalto dall’utilizzo di differenti oggetti vitrei. Quella di Danilo è una riflessione sul linguaggio che, in un momento di sovraccarico dell’informazione, mira alle potenzialità del “non detto”, nozione con una lunga storia di riflessioni alle spalle e che diventa qui stimolo sensoriale e immaginativo. Nel Discorso sull’indone del piacere e del dolore (1773), l’illuminista italiano Pietro Verri chiama “oscurità”, l’intervallo tra l’esperienza immediata del testo e l’intelligenza del senso: Un libro in cui di seguito vi fosse una serie contigua di idee tutte sublimi e fitte, non potrebbe essere mai un libro piacevole se non l’aiutasse l’oscurità. Questa oscurità, obbliga il lettore a interporre uno spazio per meditare attentamente, onde poter intendere
il pensiero dell’autore. Come ogni linguaggio, quello dell’artista è composto da segni e direzioni, che trovano la loro perfetta formalizzazione attraverso differenti sperimentazioni artistiche. Vi sono opere di natura maggiormente performativa,
che guardano alla contrapposizione tra l’orizzontalità e la verticalità dell’idioma, come nel caso della serie fotografica intitolata Underscore (2016), in cui è un corpo inerme a farsi parola e simbolo di un atto orizzontale; o nell’opera intitolata Lasciare che le acque vadano alla china... (2014), in cui l’orizzontalità è data dalla disposizione delle bottiglie componenti l’opera e dal gesto di dissoluzione delle gocce di china verso un nero assoluto. Mentre alla verticalità linguistica, guarda l’installazione piramidale intitolata NA (2016), composta da 500 bicchieri di cui quello all’apice (colmo di china), una volta rovesciato crea una natura le sfumatura di nero che richiama metaforicamente la stessa direzione fonetica che si
compie nel pronunciare la parola “na”. A evocare un movimento sonoro sono anche le due opere intitolate Monotonia in fase-Ode al rumore nero e Vocalizzi in fase, entrambe del 2016. La prima, una video installazione in cui l’artista documenta il tentativo di trovare una continuità sonora nello strofinare con un dito il bordo di un bicchiere di cristallo colmo di china; l’altra caratterizzata invece da un atto di regressione linguistica, in cui le fitte parole di un foglio di giornale sono occultate da una soluzione di acqua e china che lascia spazio a un nuovo spartito vocale. Sempre facenti parte di questo percorso di sfumature verso un tempo indefinito, sono la serie d’opere intitolate Divaghi (2016) in cui l’artista, a partire dal medesimo processo d’azzeramento della superficie di un quotidiano, fa trapelare dell’oscurità frasi di natura evocativa che attivano
il nostro immaginario visivo. Quella di Danilo, è infine una mostra che ci pone davanti a un patto con l’artista,
per cui la lettura delle sue opere è data solo a chi accetti l’invisibile. Solo in questo modo il fruitore potrà cogliere, nella trasparenza dei suoi lavori, quel dato visibile che ci trasporta verso la bellezza del vago e una realtà indeterminata.