Dario Costa – Cute!
Nel lavoro di Dario Costa lo spunto riflessivo, la volontà di mandare un messaggio, esprimere un’idea sulla contemporaneità, si allontana dal concettualismo, determinando la realizzazione di opere dotate di una componente materica e visuale d’impatto, ottenute mediante una manualità certosina, minuziosa ed esasperata.
Comunicato stampa
“Ah!”, disse il topo, “il mondo si restringe ogni giorno di più. In principio era talmente vasto da farmi paura. Correvo, ed ero felice quando finalmente potevo vedere i muri lontani a destra e a sinistra. Ma questi lunghi muri convergono l'uno verso l'altro così in fretta, che io sono già nell'ultima stanza e lì, nell'angolo, si trova la trappola verso la quale sto correndo.” “Devi solo cambiare direzione” - disse il gatto - e se lo mangiò.
Franz Kafka, Piccola fiaba
La Galleria Glance è lieta di presentare la prima personale italiana di Dario Costa ( 1977, Sassari).
Nel lavoro di Dario Costa lo spunto riflessivo, la volontà di mandare un messaggio, esprimere un’idea sulla contemporaneità, si allontana dal concettualismo, determinando la realizzazione di opere dotate di una componente materica e visuale d’impatto, ottenute mediante una manualità certosina, minuziosa ed esasperata.
Colori accesi, grandi dimensioni, collage e assemblage, foto-ritocco digitale, riecheggiano le strategie visuali dei mass media e della pubblicità.
Espliciti riferimenti a maestri del passato, evocati in post-produzione, costituiscono da un lato un omaggio ai classici della pittura, dall’altro la constatazione, laconica ma non acritica, della mercificazione del canone artistico del Novecento, banalizzato da riproduzioni infinite di grandi capolavori su poster, magliette, tazze e ogni tipo di gadget museale.
Il punto post-impressionista diventa così il tappo di bottiglia, unità minima della pittura e scarto, simbolo di un consumo veloce ed acritico (La Grande Latta, 2008-2010).
La pennellata di Van Gogh è invece evocata dai residui di gomma da cancellare, quanto di più effimero e insignificante si possa immaginare (Self Portrait III, 2010).
Il discorso va però oltre la pratica del riuso, della rifunzionalizzazione dello scarto in polemica con il consumismo occidentale. Nei lavori più recenti infatti, i tappi di bottiglia sono acquisiti direttamente in fabbrica, assunti nella loro valenza oggettuale, e i residui di gomma sono prodotti ad arte, nelle nuances di colori richieste dal modello pittorico: processi che negando all’origine l’atto del recupero, mettono in crisi la poetica della nobilitazione del rifiuto e, introspettivamente, la pretesa dell’arte di porsi come censore e giudice di una società moderna dominata dall’etica del profitto. Una pretesa che, pare dire Dario Costa, è in contraddizione con i meccanismi del mondo dell’arte, che si muove proprio secondo i principi di quell’etica.
Cute! parte da questo impianto concettuale e mette in atto simili procedimenti formali per approfondire ed in parte complicare la riflessione sul mondo dell’arte, specchio deformato - ma neanche troppo - dell’intera società.
Un manuale di disegno per autodidatti della fine degli anni Ottanta, How to Draw Our Little Furry Friends di Sadako Mano, con modelli e tecniche per riprodurre piccoli animali da compagnia e cuccioli, è la fonte iconografica di Squirrel, Raccoon e Kitten with fish bowl.
I primi due sono realizzati con residui di gomma da cancellare: precisi e iper-realistici nell’imitazione visiva e tattile della furriness, soffice pelosità dei due animaletti, con una componente tridimensionale accentuata anche dalla spessa cornice rotonda, per un risultato più oggettuale che pittorico.
Il terzo, realizzato su fogli di carta di riso montati su legno, uniti sino a raggiungere dimensioni monumentali, riproduce con tratto compendiario una delle fasi preliminari della composizione (una delle quattro previste dal manuale). La carta di riso e la pennellata svelta sembrano evocare le raffinatezze dell’Ukiyo-e e dell’arte calligrafica cinese, mentre l’uso stesso della carta di riso (si tratta di fogli comunemente usati per i decoupage amatoriali) a l’attenersi scrupoloso alle istruzioni del manuale rimandano senza possibilità di errore alla fonte dell’iconografia.
Se l’operazione allude scopertamente alla serie Do it Yourself di Andy Warhol, nell’assunzione dei modelli utilizzati dai “pittori della domenica” nel sistema dell’arte contemporanea, riprendendone l’elemento di riflessione sulle dinamiche di inclusione ed esclusione di un progetto artistico in un determinato circuito, il discorso è complicato dalla scelta dei soggetti.
Carini, teneri, cuccioli: simpatici animaletti zuccherosi ammiccano allo spettatore, richiedendo una immediata risposta emozionale. Una graziosità, cuteness, che è una vera e propria categoria concettuale.
Ciò che è cute a prima vista è bello senza essere conturbante, fa simpatia senza richiedere empatia, stimola sentimenti di tenerezza intensi ma superficiali. L'immagine di un cucciolo indifeso ispira una volontà di protezione, genera un impulso alla solidarietà che non richiede però alcun impegno civile. Insomma è rassicurante e auto-consolatoria.
Il fatto che gli animali raffigurati utilizzino le zampe come mani, per compiere gesti in qualche modo assimilabili a quelli umani, accentua questa piacevolezza, aprendo al tempo stesso la strada ad una serie di ambiguità. L'immagine dell'orsetto lavatore, destro di mano e con gli occhi cerchiati da una mascherina nera, richiama lo stereotipo del ladro. Lo scoiattolo, forse il simbolo per eccellenza della cuteness, intrappolato nei parchi urbani assume per molti versi le caratteristiche del ratto. La simbologia del gatto infine, è talmente ampia e radicata nella cultura, ambivalente e complessa, che non vale quasi la pena di notare come la scena così tenera proposta dall'illustratore a modello per quadretti, cuscini e piattini, sia in realtà una scena di caccia e di morte.
Hello! - monocromo composto da tappi raffiguranti Hello Kitty - chiude il cerchio. Personaggio di fantasia slegato da ogni cornice narrativa, ma che trova la sua motivazione esattamente nell'essere carino, diventato in virtù di questa dote il più conosciuto, riprodotto e commercializzato tra i rappresentanti del suo genere, è una gattina ripulita da ogni connotazione ambigua (sesso, pericolo, inganno) e dotata di una serie di espressioni stereotipe che rappresentano tutta la gamma di emozioni socialmente accettabili e globalmente vendibili.
Contrariamente a tanta arte giapponese superflat, che sull'ambiguità insita dell'estetica manga e anime ha costruito un genere, accentuandone ed esibendone i caratteri morbosi, Dario Costa utilizza prototipi non allarmanti, nati in un circuito tangenziale a quello dell'arte, lasciando all'osservatore l'attivazione di emozioni e riflessioni contrastanti, che dal piano personale facilmente transitano su quello sociale e culturale.