Del ludico dunque gioco
Il titolo della mostra è un gioco di parole senza alcun senso, combinando i titoli di due pubblicazioni degli anni ’80: “Del ludico” di Ernesto Francalanci e “Gioco”, titolo del catalogo di una mostra tenutasi nella Villa di Basciano nel gennaio del 1983. Fra i partecipanti di quell’evento c’erano artisti del gruppo Tata, poeti come Nanni Balestrini, registi come Massimo Randone e compositori come Giuseppe Chiari.
Comunicato stampa
Del ludico dunque Gioco
A cura di Alessandro Bellucci
6 luglio / 30 settembre 2024
YURTA Relazioni Culturali - Via dei Manufatti,1 - Zona Industriale Sentino - Rapolano Terme (SI)
Paolo Angelosanto / Jacopo Bellucci / Francesco Bendini / Dominic Blower / Stefano Boring / Mario Consiglio / Luca Costantini / Gigi Fucchi / Riccardo Gemma / Emanuele Giannetti / Gabriele Landi / gianni Lillo / Mimmo Manes / Marco Montanari / Rinaldo Novali / Vettor Pisani / Carole Peia / Sophia Ruffini / Alessandro Secchi / Wang Yu /
Inaugurazione 6 luglio 2024 dalle ore 17:30
Il titolo della mostra è un gioco di parole senza alcun senso, combinando i titoli di due pubblicazioni degli anni '80: "Del ludico" di Ernesto Francalanci e "Gioco", titolo del catalogo di una mostra tenutasi nella Villa di Basciano nel gennaio del 1983. Fra i partecipanti di quell’evento c'erano artisti del gruppo Tata, poeti come Nanni Balestrini, registi come Massimo Randone e compositori come Giuseppe Chiari.
Perché il gioco? Partendo dai quattro punti che Roger Caillot traccia nel suo libro “Il gioco e gli uomini: la maschera e la vertigine”, che sono: l’agon, l’alea, la mimicry, l’ilinx, il gioco è un tema che permette a chiunque di immaginare mondi, di travestirsi in qualsiasi forma (mimicry), di partecipare a sfide e competizioni (agon), di liberarsi dalle catene fisiche e mentali, abbandonandosi a giochi sfrenati (ilinx), di intrattenersi in qualcosa che apparentemente non ha alcun senso per la nostra sopravvivenza perché totalmente aleatorio (alea). Il gioco, in sostanza, è una dinamica umana per eludere il ridicolo della vita reale. Il ridicolo è sempre presente nella nostra vita quotidiana; lo sperimentiamo ogni giorno e spesso siamo costretti a schivare i suoi schizzi, non sempre riuscendoci e subendone spesso le conseguenze. Gli uomini agiscono troppo spesso come un gregge compatto, seguendo comandi assurdi e comportandosi di conseguenza in maniera sciocca. Il gioco ci apre a una possibile semplificazione dell'assurdo, coinvolgendoci in sfide più o meno agonistiche dove le regole possono essere chiare, estremamente complesse o addirittura enigmatiche, ma sempre circoscritte al suo ambito d'azione. Tuttavia, c'è sempre la possibilità di uscire da qualsiasi gioco, interrompendo il flusso di piacere o vertigine e ritornando alla realtà. Nel gioco, abbiamo possibilità infinite e possiamo indossare qualsiasi maschera, imitando animali, spiriti, uomini d'affari, assassini, preti, montagne, cristalli, virus, aumentando le nostre facoltà fino all'infinito, con il potere di distruggere o creare, viaggiare nel tempo, diventare invisibili o immortali. L'insieme di regole che si stabiliscono in un gioco permette a chi le accetta di rimanere "in gioco". La possibilità di barare è sempre presente, forse ricercata, ma a volte non soddisfa l'ego o non diverte, poiché è proprio nell'aderire pienamente e totalmente alle regole che si prova la massima soddisfazione nel giocare. Nella vita reale, barare, imbrogliare, falsificare è spesso considerato un vanto, una medaglia al valore che si sistema sul taschino di chi la fa franca, dell'imbroglione seriale, del mentitore di professione. L'onestà è spesso paragonata alla stupidità.
Il gioco, secondo Johan Huizinga, deriva da rituali ancestrali in cui gli uomini svolgevano riti o amministravano la giustizia in un luogo apposito, come un cerchio, dove chi entrava doveva rispettare delle regole. Anche Jean Baudrillard delimita lo spazio di un ipotetico cerchio e scrive: “Siamo ancora capaci di «notare» la cornice del quadro, ultima differenza tra arte e mondo, ultimo confine tra simulacro e verità.” L'arte, dunque, è tutto ciò che sta intorno e dentro una cornice o in sua prossimità? L’opera, in piena autonomia (forse anche in autonomia da chi la crea), si forma e diventa arte, anche se si trova nell’“orizzonte degli eventi” dove ogni cosa può perdere senso e in cui non sembrano esistere cerchi o limiti, ma solo sfumature, nebbie, ectoplasmi. Chiunque abbia cercato di definire la parola "arte" si è sempre trovato a descrivere i confini in cui essa si materializza attraverso le opere degli artisti, ma nessuno è riuscito a darne una definizione netta, perché l'arte sfugge a ogni definizione.
Ogni uomo gioca, lo ha sempre fatto. Il gioco deriva da antichi riti ancestrali poi dissolti nella più naturale arte di passare il tempo: l'arte di non annoiarsi. Gli uomini contemporanei, così come i nostri antichi progenitori, sembrano adorare la "serietà" del gioco della guerra rispetto alla noiosa inattività della pace. Tutto intorno a noi sembra cadere in questo vuoto pneumatico dove il gioco, da semplice passatempo, sarà sostituito dal gioco "maschio" della guerra, dove la posta in gioco è la morte dell'avversario o la nostra stessa vita. È nell'agonismo che l'uomo si riscopre competitivo; la sfida è tutta racchiusa nell'intimo interesse a scoprirsi immortali e a "mettersi in gioco" nell'azzardo del sangue. Il gioco può dunque vincere la morte? È un quesito carico di suggestioni filosofiche a cui noi non abbiamo una risposta. Il tessuto linguistico umano è intriso di locuzioni proverbiali, come "la posta in gioco", "il gioco è bello quando dura poco", "mi gioco la reputazione" e molte altre. Queste espressioni sono diffuse anche nelle altre culture, con infinite variazioni, ma il loro significato rimane inalterato.
Noi riteniamo che l'arte non sia affatto un gioco, ma piuttosto duro lavoro, responsabilità, fatica e spesso insuccesso, causa di forti delusioni. Tuttavia, non rinunciamo a "giocare": ogni opera è un azzardo e un'epifania. La morte dell'arte non è mai avvenuta e non avverrà mai, come Hegel aveva ipotizzato. Nonostante tutto, l'uomo continuerà a creare. L'arte non ha nemici, o forse ne ha troppi, ma «noi daremo la mano ai nostri nemici», scriveva André Breton negli anni ’20, sottolineando l'importanza di combattere solo per la libertà e la qualità artistica senza lasciarsi trascinare dalla narrazione dominante del potere che vorrebbe imporre schieramenti artificiali, creando nemici inesistenti.
Ricordiamo che quest'anno si festeggiano i cento anni della prima edizione del Manifesto surrealista, 1924/2024. Il Manifesto surrealista del 1924 rimane un'opera rivoluzionaria, celebrando la vita, l'amore, l’arte, la follia e la libertà contro la guerra e il potere costituito.
La mostra sarà visitabile dal 7 luglio al 30 settembre 2024, su appuntamento
Contatti per Appuntamenti e Informazioni
Email: [email protected]
Telefono: +39 340 1665528 / +39 347 9459108
Bibliografia suggestiva
Johan Huizinga, Homo ludens il gioco come funzione sociale, Il Saggiatore, 1972
Roger Caillois, I giochi e gli uomini, Bur, 2014
André Breton, Manifesti del Surrealismo, Einaudi, 2008
Ernesto L. Francalanci, Del Ludico, dopo il sorriso delle avanguardie, Mazzotta, 1982
Mauro Zanchi, Arte e gioco, DOSSIER ART, Giunti, 2023
AA.VV., Il Gioco serio dell’arte, a cura di Massimiliano Finazzer Flory, Bur, 2013
Stefano Bartezzaghi, Parole in gioco, Per una semiotica del gioco linguistico, Bompiani, 2017
Arturo Schwarz, Il Surrealismo ieri e oggi. Storia, filosofia, politica, Skira, 2014
Paola Dècina Lombardi, Surrealismo 1919-1969, Electa, 2022
Ferdinand Aliquè, Filosofia del surrealismo, Francesco Tozzuolo Editore, 2021