Dell’infingimento. Quello che noi crediamo di sapere della fotografia
Sedici maestri contemporanei, da Luigi Ghirri a Nobuyoshi Araki, da Thomas Ruff a Thomas Struth, da Tracey Moffatt a Olivier Richon ad altri, esplorano le potenzialità del mezzo fotografico nel creare una realtà mediata dalla finzione. L’esposizione presenta opere provenienti dalla Collezione Malerba.
Comunicato stampa
Al Museo d’Arte Contemporanea di Lissone (MB), dal 14 maggio al 20 luglio 2016, la mostra “Dell’infingimento. Quello che noi crediamo di sapere della fotografia” ospita le opere di sedici importanti autori italiani e internazionali, provenienti dalla Collezione Malerba che nel corso degli anni è diventata un importante riferimento nazionale sia per la fotografia storica che per quella contemporanea.
L’esposizione, curata da Alberto Zanchetta ed Elio Grazioli, propone i lavori di maestri quali Nobuyoshi Araki, Mino Di Vita, Lukas Einsele, Annabel Elgar, Joan Fontcuberta, Luigi Ghirri, John Hilliard, Renato Leotta, Tracey Moffatt, Yasumasa Morimura, Olivier Richon, Thomas Ruff, Hyun-Min Ryu, Alessandra Spranzi, Thomas Struth, Kazuko Wakayama, declinati nel sottile gioco tra realtà e finzione.
La rassegna, come afferma Alberto Zanchetta, è l’occasione per interrogarsi sulle modalità con le quali “il mezzo fotografico ci rivela il mondo come appare agli occhi del fotografo anziché ai nostri occhi; è cioè un mondo passibile di verità e di inganni, di equivoci o di trucchi ottici. Ad esempio, l’idea della “(messa in) posa” corrisponde a quello della “messa in scena”, vale a dire un infingimento. Giocando sulle analogie tra fotografia e teatro, tra camouflage e spettacolo, la mostra presenta alcune opere che sottendono ad artifici e mascheramenti”.
Il percorso espositivo presenta alcune opere che implicano il coinvolgimento di persone, luoghi e situazioni. Ecco allora Nobuyoshi Araki che ricorre alla maschera per dissimulare il proprio aspetto o Yasumasa Morimura che s’immedesima nelle dive del cinema (Marlene Dietrich, Sophia Loren, Marilyn Monroe) o nelle icone dell’arte (Frida Kahlo), introducendo il visitatore nel genere del tableau vivant.
È in questo ambito che Olivier Richon e Lukas Einsele si confrontano sull’idea della natura morta che sfida gli equilibri della composizione pittorica, attraverso l’immagine di una tavola imbandita, soggetto tipico di questa particolare forma di rappresentazione. Alla storia dell’arte attinge anche la serie di Joan Fontcuberta, che restituisce alle figure fitomorfe dell’Arcimboldo la loro essenza materiale.
Nell’impianto generale della mostra emergono inoltre memorie e storie collettive. Come quelle di Tracey Moffatt e Annabel Elgar, le cui immagini toccano argomenti socio-politici o pubblico-privati, dove persone e luoghi interpretano storie connesse all’identità razziale, spingendosi fino al grottesco.
Non mancano all’appello i temi del paesaggio e dell’architettura. La fugacità dello sguardo di Thomas Struth ritrae una Shangai immersa nel suo quotidiano anonimato, mentre Mino Di Vita raffigura una Venezia immobile, notturna, sfollata dai turisti che di giorno l’assediano, riuscendo a trasformarla in una quinta scenografica, del tutto effimera. Nelle fotografie di Struth e Di Vita eccelle la drammatica bellezza della luce che, per una volta tanto, non si conforma al romanticismo stereotipato del paesaggio urbano. Ancor più efficace e suggestivo è il luminismo che scaturisce dalle immagini di Alessandra Spranzi e Kazuko Wakayama, quasi che i soggetti sembrino calcificati, nel desiderio di evidenziare il valore scultoreo del soggetto ritratto.
Accompagna la mostra un catalogo edizioni Fondo Malerba per la Fotografia.
Lissone (MB), aprile 2016