Diego Gualandris – Escape from Regina Coeli

Informazioni Evento

Luogo
ADA PROJECT
Via dei Genovesi 35 00153 , Roma, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al
Vernissage
25/11/2022

ore 18

Artisti
Diego Gualandris
Generi
arte contemporanea, personale

Mostra personale.

Comunicato stampa

È l’una del mattino. Piove a catinelle sui sanpietrini di una viuzza a sud di Trastevere. Il tombino si solleva esitante e scivola sul pavimento facendo risuonare i muri di mattoni. Due sagome emergono e rimangono ferme in piedi per un attimo, senza muoversi, poi lentamente se ne vanno. Una è piccola col capello, l'altra grande e calva. Tutto è silenzioso attorno al tombino. Sopra i tetti brillanti come mille stelle, un proiettore fa il suo giro, indisturbato, come un faro. Entrambi gli uomini si accendono una siga e scendono fino a Via di San Michele. Si fermano sotto un grande albero-cactus per proteggersi della pioggia. Qui uno mormora qualcosa all’altro e insieme si stendono, appoggiando le orecchie al pavimento, come per ascoltare suoni sotterranei. Tutto a un tratto, si mettono in piedi e se ne vanno via correndo. 

Le strade sono deserte. È martedì. Le uniche persone che incrociano sono venditori di fiori, che li osservano con diffidenza come fossero spie, e due tipi che gli passano davanti trasportano dei quadri, raffiguranti porte oppure portali. Divertente, pensa l’uomo col capello, passando a fianco dei due uomini sorridenti, di risposta ricambia il sorriso pur evitando ogni contatto visivo. Poi entrambi si tirano il colletto in su e si guardano le scarpe che battono il pavimento nero brillante. Improvvisamente, in fondo alla strada, appaiono due sbirri! In preda al panico, aprono la prima porta che si trovano davanti e salgono la scala fatiscente e cigolante che sembrava potesse cadere da un momento all'altro. Entrano in un appartamento a caso e nel buio attendono. 

C’è un odore forte di trementina, tutto è silenzioso, eccetto il suono lento e persistente di un respiratore artificiale. Il posto è appena illuminato da una candela. Mentre i loro occhi si abituano al buio cominciano a distinguere una vecchia persona, o piuttosto una specie di creatura. La camera sembra una caverna, piena di pile di strumenti, abiti, piatti sporchi e dipinti, un’infinità di cianfrusaglie senza senso. Probabilmente in passato era lo studio di un artista. I muri sono ricoperti di graffiti, principalmente nomi e numeri di telefono “cosi no mi dimentico richiamargli” dice la creatura, con lo sguardo rivolto verso il muro. Al centro della cava è posto un respiratore, lucido, splendente, che contrasta con l’ambiente preistorico del posto. Il soffitto sale e scende, dando il soffio vitale alla creatura immobile. “non mi dispiaccerebbe un po di compania. Potette rimanere qui con me quanto volete, se mi leggete il mio Corriere e mi date da mangiare: biscotti e latte. La mia assistenza a domicilio non a riuscito a venire oggi e ho perso le mie occiali, sono quasi cieco communque. Come si fa a trovare le occiali quando sei cieco?” L'uomo col capello gli avvicina del cibo. Ma non riuscendo a trovare un cucchiaio, usa una spatola da pittore incrostata d'olio. L’uomo calvo si mette in piedi e legge il Corriere col carisma di un banditore al vecchietto quasi sordo. Ben presto tutti tre si addormentano. 

L’indomani si svegliano molto tardi. Se ne vanno senza disturbare l’anziano, che dorme con un sorriso in faccia. Povero, pensò quello col cappello. Sembrava molto solo. 

Risalgono via della Lungaretta fino a Santa Maria in Trastevere. Qui la gente cazzeggia intorno la fontana, assaporando gli spritz e negroni del San Callisto. Ha smesso di piovere. Il profumo del gelsomino satura l’atmosfera. È maggio. Si siedono di fianco alla fontana con due bicchieri rossi in mezzo alla gente. Iniziano poi a discutere sul perché i venditori di fiori rimangano sempre aperti, se rimangono veramente sempre aperti, o se è una leggenda. 

Ci sono grandi sfere metalliche posate a caso per strada, sembrano mine subacquee. 

C’è qualcosa sotto. Un uomo muscoloso, calvo anche lui, con piccoli occhiali da sole rotondi, gli passa davanti. Non lo conoscono, ma lo temono comunque. Sentono che li sta cercando da sempre. Decidono di nascondersi sotto il portico coperto della basilica. 

L’uomo gira intorno alla fontana, scrutando tutti, lentamente, poi se ne va via. I due si voltano e osservano per un attimo i marmi incastonati nei muri: frammenti di epigrafi salvati dalle catacombe. Parole, disegni. Tra queste, un uccellino sembra seguirli con lo sguardo. 

Prendono Via San Cosimato fino alla piazza e al mercato. Alla terrazza del Caffè Picchiotto, riconoscono i due uomini che trasportavano i dipinti. Fanno colazione, sghignazzando assieme. Una donna elegante con un bassotto con le ciglia bianche gli lancia un occhiata. Poi, dall’altro lato, vedono di nuovo i due sbirri. Inizia una partita a nascondino in piazza, finche finiscono in un posto alquanto strano in Via Agostino Bertani, tutto fatto di marmo. Sembra un misto tra una macelleria e un cabaret. All’entrata, un pappagallo senza una zampa li accoglie gridando “ti voglio bene!”. Un uomo con occhiali da sole e un pigiama-smoking suona stornelli al pianoforte. Tutti qui sembrano conoscersi e amarsi sinceramente. Entrambi gli uomini provano una certa malinconia vedendo tanto amore, in contrasto con la loro attuale condizione miserabile. Hanno freddo e fame, sono stanchi e si devono nascondere. Fanno slalom tra le sedie e le tavole vuote poi scendono nel bagno, sottoterra. Qui l'uomo grande e calvo nota una strana collezione. Colletti di camice tagliati di vari colori e dimensioni, come fossero trofei di caccia. Rimangono nascosti nel bagno fino alla chiusura del cabaret. Poi tornano in Piazza San Cosimato. Non ci sono più gli sbirri, non c’è più nessuno. Ha smesso di piovere. La città è tutta vuota, tutta silenziosa. Si stendono di nuovo sul pavimento, ascoltando il sottosuolo, da cui sorge un mormorio, che sembra provenire dal fango profondo della città, un suono soffocato e rauco, come un grido di rospo gigante, che sembra riecheggiare nelle strade di Trastevere. 

Si fermano da Ivo per mangiare una pizza, poi da via della Lungaretta arrivano a Piazza dei Ponziani. Una donna chiama il suo cane “Raoul! Vieni qua”. Nel cortile sotto, una banda di vagabondi fonde strani oggetti di metallo, creando un fumo orrendo, tutto nero, che fa tossire tutto il palazzo di sopra. Il cuoco della Trattoria Da Teo guarda la scena, fumando una siga e gettando sardine fritte ai gabbiani. 

Passano dritti in fretta e furia e poco dopo voltano a destra imboccando Via dei Genovesi. Vicino dal punto d’inizio della loro passeggiata. Piove di nuovo a catinelle, la pioggia fa vibrare il profumo del gelsomino. Notano una porta intrigante, con ampie vetrate e una strana maniglia, molto antica. È rimasta socchiusa. Entrano senza esitazione, come se gli fosse stato ordinato di farlo. La porta batte pesantemente dietro di loro. Qualche secondo dopo i due poliziotti appaiono nella via. Si fermano davanti alla porta, notando la maniglia e si fermano. Provano di aprire ma la porta sembra bloccata. Puntano le torce elettriche dentro lo spazio. Ci sono quadri, immagini di porte oppure portali. Al centro, una scultura molto realistica di un divano su cui due persone sembrano conversare serenamente. Uno piccolo col capello, uno grande e calvo. I poliziotti spengono le torce, si guardano e vanno via. La strada è nuovamente vuota, si sente solo il suono della pioggia sui sanpietrini. 

Testo di Basile Dinbergs, basato su una serie di storie vere.
Opere di Diego Gualandris con un intervento di Basile Dinbergs.