Different shoes

Informazioni Evento

Luogo
PALESTRA PERFORMANCE
Via Nazario Sauro 1/2 , Bologna, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

dalle 18.00 alle 20.00

Vernissage
28/01/2017

ore 18

Contatti
Email: tas.piccolascarl@tiscali.it
Sito web: http://www.arteperlaricerca.eu
Curatori
Eliana Masulli
Generi
arte contemporanea, collettiva

Evento Artistico che coinvolge sei artisti, cinque critici, che affrontano cinque tematiche presentate in cinque sedi in Bologna-Italy durante Artefiera 2017.

Comunicato stampa

Mostra inserita nell'Evento Artistico “DIFFERENT” che coinvolge SEI artisti, CINQUE
critici, che affrontano CINQUE tematiche, presentate in CINQUE sedi espositive a Bologna
in occasione di Artefiera 2017, per favorire UN Progetto: “L'Arte per la Ricerca",
dell'Associazione CCSVI nella Sclerosi Multipla ONLUS, teso a sostenere il “diritto dei
cittadini di avere una ricerca: libera, incondizionata, indipendente”,
“Different è tutto questo,
è tutto quello che nella differenza si distingue, è diverso e rivoluzionario”
“DIFFERENT BODY” a cura di ELIANA MASULLI
Specchio d’acqua e immagine del sè.
Organismo, “complesso” creato da più elementi, porzione limitata di materia. Il corpo, se indagato
filosoficamente, è un ente oggettivante, materiale appunto. In chimica il corpo è sostanza; per
estensione, con il corpo, spesso ci si riferisce ai sensi e alla carne, propriamente intesa e
percepita. Con la parola corpo sappiamo bene cosa pronunciamo e cosa, il corpo, può
rappresentare. Tutto ciò che vive ha un corpo, e persino ciò che vita non ha; questo perchè il corpo
è anche la forma. Dunque come può, il corpo, unicamente un corpo, riunire in sè sinonimi e
contrari? E’ la nostra cultura occidentale a lasciarlo accadere e a lasciare vago il processo che ne
concretizza il contenuto? Nel corpo ci si divide e ci si accomuna e nel corpo esploriamo ancora
quesiti irrisolti. Domando ancora: davvero sappiamo definire un corpo? Il dibattito tra posizione
monistica o dualistica sul corpo chiede, per propria natura, che l’epicentro concettuale,
mentalizzabile, venga riposto nel fondamento di un’identità che, a quanto pare, tarda ancora a
individualizzarsi, dapprima dentro ciascuno di noi. Il principio d’indivisibilità del mentecorpo
freudiano, fortunatamente, può aver vinto sul tentativo di speculare sul corpo nel precluderne la
sacralità di cui è, in verità, intriso da sempre, eppure rimane opportuno precisare che fu l’uomo e
nessun dio a decretarne la scissione. Principi quali istinto, corporeità e pulsioni fecero sì che al
pensiero venne conferita la possibilità di ridare una voce e un aspetto nel processo di recupero e di
restituzione al mondo di ciò che la mente, affettivamente, esitava a esprimere: la necessità di
testimoniare la sua esistenza, ingiustificata senza una dimensione materiale del limite e delle sue
prevaricazioni. Quello slancio della mente, composito, ben articolato, a misura d’uomo,
compenetrante alla sostanza sacra della vita, non poteva che realizzarsi nelle anatomie di una
visione gestaltista d’insieme. Erroneamente si suole pensare che, durante la creazione dell’uomo a
immagine e somiglianza del divino, la volontà dell’Onniscente non solo fosse quella di proiettare
nella piccola mente della sua opera mimetica l’idea di dover misurare il proprio “essere al mondo”
rispetto un principio e una forma intangibili, bensì anche di lasciare ammettere che la natura
umana fuori da quel piccolo ricettacolo di informazioni genetiche, potesse continuare a non
chiedere al corpo il motivo per cui venne messo al mondo. Nella compiutezza della Grande Opera
divina, l’uomo fu fatto uomo e la donna fu fatta donna, poichè entrambi avrebbero saputo
conoscere, nel mistero della vita, la dimensione esatta in grado di appianare la primordiale
differenza fisica, emancipandola nella consapevolezza comune a tutti della cura del sè. Somigliare
al divino è, dunque, posizionare meglio la propria immagine e identificarsi nella sinergia di un
corpo che aiuta la mente e viceversa. Somigliare al divino è rispettarne il dono della parola e della
vita, non lasciando sopite le pulsioni “androgine” ed esulando dall’idea insensata che possa
addebitarsi una differenza tra individui limitatamente alle tendenze, alle funzioni sessuali, o alle
forme apparenti. Il racconto mitologico sulle indescrivibili bellezze rappresentate da Ermafrodito e
Narciso possono, senza alcun dubbio, agevolare la comprensione simbolica dei processi di
emancipazione sul corpo e i suoi limiti, rendendo simili, paradossalmente, persino le dovute
differenze concettuali su un’Estetica delle forme. Ermafrodito nacque da Ermes e Afrodite e da
questi ereditò i caratteri sublimi di una bellezza rarissima. Rifuggì l’amore e la propria immagine,
poichè inconsapevole di entrambi gli aspetti della sua esistenza, eppure, la Ninfa Salmace non
potè che notarli, innamorandosene perdutamente. Respinta più volte, la delicata ondina dovette
chiedere supporto a Poseidone, dio del mare, che ascoltandone la supplica, fece risucchiare
Ermafrodito dalle correnti marine, permettendo che i due riuscissero a unirsi eternamente.
Ermafrodito, simbolicamente, venne investito dall’onda della consapevolezza e acquisì per questo
tanto le attitudini maschili quanto quelle femminili. Il mito rende perfetta, dunque, la forma del trino,
o se preferiamo, la forma dell’unità riassemblata a favore dell’ordine e dell’armonia psicosomatica.
Al contrario, la bellezza di Narciso nacque proprio per inondazione, poichè figlio della Ninfa Liriope
e del fiume Cefiso. La dovuta presenza dell’elemento acqua suggerisce, anche in tal caso, la
dimensione emozionale che funge da substratum alla vicenda mitologica. Narciso, di fatto, fu
creatura bella e libera sin dal principio, ma di quell’immagine non doveva rendersene conto; pena
la morte. Assetato cercò un torrente e nel riflesso, per la prima volta, la verità venne resa. Narciso
apparì a se stesso e in quell’immagine decise di perdersi per sempre. Illuminare la propria identità
comporta, dunque, fare luce non solo sulla forma, bensì anche sulla sostanza che permea il
pensiero di un sè interiore, che sappiamo riconoscere ovunque, anche fuori da noi stessi; questo e
non altro libera il corpo dal pregiudizio estetico del “dovere essere”, lasciando riemergere lo
sposalizio tra terra e acqua, tra materia e spirito, di cui siamo e saremo indissolubilmente formati.
Riconoscere il divino dentro noi stessi significa gridare a gran voce che, del proprio corpo, non si
ha alcun timore, onorandolo quale dono ermafrodito e insieme narcisistico che, nello specchio
d’acqua, nè possa scivolare morendo, nè possa abbandonarsi per continuare a nascondersi