Domenico Antonio Mancini
Il progetto “Immersioni” è stato realizzato specificamente per gli spazi della galleria, ed è composto dall’installazione “Senza Titolo (Cartina ODM)” e un collage dal titolo “Protocol 05” primo di una serie di 21 esemplari.
Comunicato stampa
La galleria Davide Gallo è lieta di presentare, mercoledì 27 maggio 2015, dalle 18 alle 20, la mostra personale di Domenico Antonio Mancini.
Il progetto “Immersioni” è stato realizzato specificamente per gli spazi della galleria, ed è composto dall’installazione “Senza Titolo (Cartina ODM)” e un collage dal titolo “Protocol 05” primo di una serie di 21 esemplari.
Con l’istallazione “Senza Titolo”, l’artista realizza, in modo del tutto singolare la presunta mappatura di una delle aree del mar Mediterraneo, nei cui abissi si nasconderebbero navi cariche di rifiuti tossici e radioattivi.
L’antefatto è lo spiaggiamento della nave Jolly Roso, ad Amantea nel 1990, e il presunto ritrovamento, al suo interno, di una carta nautica con le indicazioni degli affondamenti di navi cariche di veleni. L’unica certezza sono gli affondamenti, documentati, oltre che dal registro internazionale, da una serie di indagini avviate negli anni ’90 dalla Lloyd Assicurazioni, o documentati fotograficamente, come nei casi più recenti di rilascio di carichi fuoribordo, al largo delle coste liguri e toscane.
Il piano criminale non è facilmente dimostrabile, anche perché lo scandaglio dei fondali è operazione dispendiosa. Ma che intorno all’Italia, per i prossimi 20.000 anni (questo è il periodo in cui il plutonio dimezza la sua carica radioattiva) rifiuti nucleari continueranno a produrre la loro carica di morte, è una supposizione più che plausibile. Inoltre, le indagini si sono spesso arenate quando hanno sfiorato gruppi d’affari e potentati intoccabili.
La questione potrebbe riguardare i traffici con il Libano e gli affondamenti al largo della Somalia, terra da cui Ilaria Alpi non è tornata viva.
Gli abissi diventano baratro inesplorabile della storia; con la lucidità di chi racconta un fatto di cronaca, l’artista riesce a far luce in questi abissi, ed ecco che attraverso il denunciare, la cronaca sublima, e diviene opera d’arte, unico documento capace di imporsi alla storia e alle sue ambiguità.
L’istallazione “Senza Titolo” si presenta come opera unica, enviroment. Ad una prima visone, o ad una visione poco attenta, l’opera si camuffa con lo spazio. Poi, lentamente, lo spazio comincia a svelare l’opera, e il contrasto dei colori costruisce la forma. Chi spera di ritrovare una mappa con la posizione dei “presunti” affondamenti rimarrà deluso. La precisione minuziosa, la credibilità del manufatto, sono gli strumenti con cui l'artista denuncia il crimine. Nelle sue mani l'opera diviene documento capace di confrontarsi con la storia, presente e futura.
La denuncia è tutta nella precisione minuziosa, nella verosimiglianza del manufatto che lo rende documento credibile, degno di confrontarsi con la storia, presente e futura.
Un ulteriore strumento di analisi della questione, è offerto dal collage “Protocol 05” realizzato per successive sovrapposizioni di un testo della Convenzione di Londra - che proibisce lo sversamento di rifiuti in mare-, con disegni tecnici dei dispositivi di galleggiamento delle navi e con immagini delle navi stesse, e i relativi numeri identificativi (IMO).
Già Pascali con il suo “Mare”, Ceroli, Gilardi, Turcato, o Boetti hanno realizzato opere come “enviroment”. E questi maestri sono sicuramente punti di riferimento per le nuove generazioni. Ma Domenico Antonio Mancini elabora un linguaggio nuovo e personale, poiché riesce a fondere, con estrema armonia, poetiche concettuali con ispirazioni neorealiste, e riferimenti alla Land Art e alle molteplici “estetiche della misurazione”, che dagli anni ’70 in poi hanno caratterizzato il percorso della migliore avanguardia occidentale.