Donna Vita Libertà. Voci della rivoluzione iraniana
DONNA VITA LIBERTÁ. Voci della rivoluzione iraniana è un laboratorio teorico e un’esposizione research-based, con interventi artistici, performance e reading group, aperti al pubblico, che si svolgerà nel Campus NABA, insieme al seminario IF I CHOOSE SILENCE… (titolo tratto da una poesia di Forough Farrokhzad) come approfondimento del sistema artistico-espositivo iraniano, sia come momento di solidarietà con le lotte dei giovani e delle donne in Iran, per non rimanere in silenzio. Con la partecipazione speciale dell’artista Mahnaz Ekhtiary.
Comunicato stampa
Cosa conferisce a una fotografia - e alle tante che circolano sui social delle insurrezioni in Iran dopo l’uccisione di Jîna Mahsa Amini - questo incredibile potere rispetto a un video? Il tempo incapsulato nell’immagine porta con sé l’intera storia a cui il corpo è soggiogato. La rivolta delle donne in Iran è fotocentrica, è stato detto. Cosa amplifica questa impronta femminista e non la lascia svanire? Oltre al nome di Mahsa Amini e “Donna, Vita, Libertà”, la portata della repressione è tale che non è più possibile riunirsi e le proteste non si affidano agli slogan o alle parole, ma sono le figure iconiche delle donne a trasformare questa sollevazione in una rivoluzione femminile. Il tempo incapsulato nell’immagine problematizza la narrazione storica lineare ed evidenzia la tipologia della situazione: i gesti, i momenti, le micro-battaglie che portiamo avanti ogni giorno. Il tempo della foto è al passato prossimo: suscita desideri, fa rivivere quello che è accaduto, lo estende a un momento prima dell’ora e, nell’ora, consegna la successione di momenti alla foto e alla figura successiva, da quando, dopo quel 16 settembre 2022, le ragazze sono scese in strada e hanno dato fuoco al velo. Il volto di Mahsa Amini è ormai noto ovunque ma chi lo guarda oggi non vede la morte delle donne e dei giovani in Iran ma la loro resistenza.
DONNA VITA LIBERTÁ. Voci della rivoluzione iraniana è un laboratorio teorico e un’esposizione research-based, con interventi artistici, performance e reading group, aperti al pubblico, che si svolgerà nel Campus NABA, insieme al seminario IF I CHOOSE SILENCE… (titolo tratto da una poesia di Forough Farrokhzad) come approfondimento del sistema artistico-espositivo iraniano, sia come momento di solidarietà con le lotte dei giovani e delle donne in Iran, per non rimanere in silenzio. Con la partecipazione speciale dell’artista Mahnaz Ekhtiary.
#IRANREVOLUTION
# JINJIYANAZADI
#JINAMAHSAAMINI
#BETHEIRVOICE
#FEMINISTS4JINA
Opening ore 15 | Performance + Exhibition
a seguire ore 16 | Talk
If I Choose Silence…
Voci della rivoluzione iraniana
Aula T0.2
PROGRAMMA SEMINARIO
La mercificazione di Jin, Jiyan, Azadi (Woman, Life, Freedom) dalle istituzioni artistiche Occidentali
Francesca Grossi e Nicolò Martinelli
«La nostra battaglia è molteplice e non è nata da un giorno all’altro: è una battaglia combattuta nelle strade, così come nei media, nelle università e nel mondo dell’arte, contro la Repubblica islamica, che ci ha intrappolato nei confini dell’immagine che occupa il nucleo della sua ideologia: islamofascista patriarcale. Le immagini dinamiche, fluide e in continua metamorfosi delle donne iraniane sono in netto contrasto con le opere statiche e prive di equilibrio riprodotte in continuazione dalle istituzioni artistiche occidentali». Così affermano Pegah Pasalar, Katayoon Barzegar e Niloufar Nematollahi nel testo The Commodification of Jin, Jiyan, Azadi (Woman, Life, Freedom) by Art Institutions in the West. Una denuncia alla mercificazione dello slogan curdo, che si traduce in “Donna, Vita, Libertà”, associato a una rappresentazione della donna iraniana stereotipata e passiva nei confronti del regime islamico. Al centro della critica c’è il lavoro di Shirin Neshat, considerato dalle artiste iraniane lontano e disconnesso dalla loro realtà. In particolare, l’opera della serie Women of Allah esposta su un billboard a Piccadilly Circus e la mostra The Fury, presso la Gladstone Gallery (NY), valutate come una rappresentazione disumanizzata e feticizzata della vittima iraniana. Può quindi l’arte occidentale dare forma alla rivoluzione senza snaturarne e svuotarne il significato?
Enqelab. Radiografia di una rivoluzione
Francesca Barberi, Elisabetta Bottura, Elisabetta Calligaro, Francesca De Chiara
A partire dal documentario Radiography of a Family (2020) di Firouzeh Kosrovani una riflessione sulle complessità che nel corso della storia hanno determinato la tragicità degli eventi legati alla rivoluzione iraniana contemporanea. Dal regime dello Scià e l’imposizione del modello occidentale, alla rivoluzione del ’79, fino alla rivolta che oggi sconvolge il Paese. Il percorso storico e quello personale si intrecciano in una narrazione che restituisce la violenza con cui la scissione si è inscritta non solo sul piano politico, sociale e culturale ma anche e soprattutto sui soggetti, sui corpi, sui volti di chi vive la lotta in prima persona. L’insurrezione delle donne iraniane è una rivolta incentrata sulle foto, dove i corpi delle donne sono i protagonisti. Le figure si rendono sempre più visibili, si affermano in tutta la loro presenza partecipando unite alla lotta per la libertà. Fotografie, video, immagini documentano la riappropriazione del corpo da parte delle donne, un corpo collettivo, che agisce e protesta, che non può più nascondersi e che si afferma nello spazio per rivendicare la propria presenza.
La sollevazione in Iran: una rivoluzione femminista?
Irene Follador
Qual è l’idea dell’occidentale sulla condizione femminile islamica? Probabilmente quella di donne vittime, oppresse dal potere patriarcale, spesso anche incapaci di ribellarsi al dominio. Il panorama molto più complesso è stato analizzato dalla docente di islamistica, Renata Pepicelli che dichiara le ragioni per cui le donne si velano oggi sono plurali. Volontà di rivendicazione identitaria contro l’occidente, volontà di sottrazione dalla sessualizzazione del corpo e volontà di libera scelta religiosa, tutto questo è condensato nelle proteste e nei movimenti femminili islamici. Ancora nella società contemporanea è presente la narrazione di un “femminismo” islamico debole e sottomesso rispetto a quello occidentale.
Registrare le rivolte: femminismo, collettività e scie transnazionali
Giulia Elisa Bianchi
8 marzo 1979. Un collettivo di femministe francesi invitate dai comitati locali filma la protesta che esplode a seguito della legge sul velo proposta da Khomeini. È da questo sguardo, raccolto nel Centro Audiovisuale Simone de Beauvoir che si collega l’esperienza delle filmmaker Delphine Sygner, Iona Wieder e Carole Rousspolous: le lotte negli anni ‘60 a partire dal maggio francese, al femminismo radicale fino ai temi che segneranno gli altri femminismi, mostrando come le pratiche artistiche e mediali possano trasformare il linguaggio e lo sguardo in contesti di protesta. Citando Sygner come risposta alla domanda in cosa consiste il suo femminismo “è nel comunicare con le altre donne, non esisterebbe senza parlare con le altre donne”. Il femminismo genera potenze e non potere, ed è interessante come questi collettivi trasformano i punti di vista in moltitudini per una presa di coscienza plurale.
Le radici di Jin, Jiyan, Azadî.
Jineologjî come metodo radicale per una società comunitaria libera ed equa.
Alessia Riva e Yanbo Wang
Il 15 agosto 2022 il presidente Ebrahim Raisi firma il decreto nel quale annuncia l’introduzione di telecamere di sorveglianza per monitorare e multare le donne che non portano, o indossano “impropriamente”, il velo e dichiara la pena detentiva imposta per qualsiasi iraniana che metta in discussione la legge sull’hijab obbligatorio.
Il 16 settembre, dopo l’uccisione di Jîna Amini, scoppiano le proteste in Iran e nel mondo al grido dello slogan Jin, Jiyan, Azadî, ma qual è la sua origine? Le radici di quest’ultimo sono ben più profonde: non è solo un motto, ma una filosofia espressa per la prima volta dalle donne guerrigliere del Pkk e dal rappresentante del popolo curdo Abdullah Öcalan. Oggi tutti coloro che si uniscono all’urlo di Jin, Jiyan, Azadî dovrebbero sapere che le donne curde hanno adottato Jineologjî (la scienza delle donne) come strategia per superare il sistema d’oppressione patriarcale in campo scientifico e hanno fondato un’Accademia che ha l’obiettivo di diffondere un metodo alternativo, liberato dal sessismo, riscoprendo i saperi antichi della scienza femminile.
Il legame tra le donne iraniane come forma di ribellione all’architettura dell’oppressione
Rosaria Murolo e Veronica Pirovano
Le strutture della repressione hanno le loro fondamenta nella ricostruzione degli spazi pubblici: sul modello del panottico foucaultiano, gli ambienti sociali divengono mero luogo di controllo, la cui logica repressiva si nasconde dietro le mura dell’imposizione sul corpo, sulla vita e sui legami tra individui. La riprogrammazione morale del popolo islamico passò per la riqualificazione della città, tra cui il quartiere di Shar-e No, casa per centinaia di identità marginalizzate, come prostitute, transessuali, orfani e malati di mente. Attraverso i loro ritratti pre-rivoluzione del fotografo Kaveh Golestan e quelli degli anni 2000 dell’artista Tamine Monzavi, i luoghi della marginalità diventano architettura della resistenza. Ancor più in profondità in questa struttura ai bordi, i legami stretti in condizioni repressive, come quello tra le prostitute nei sobborghi di Teheran testimoniati dalla regista Nahid Persson, e tra le donne rivoluzionarie di ieri come di oggi, lascia intendere l’esistenza di fondamenta impossibili da distruggere, la cui forza è dovuta solo al legame che si costruisce tra gli oppressi, che inganna le strutture del potere ramificandosi intorno ad esso, e che come le radici degli alberi coperte dall’asfalto, è destinato a riemergere.
Storie non editate, un’esposizione di Catherine David
Matilde Crucitti, Barbara Niniano e Federica Rizzo
Quale è stata l’ambizione politica e curatoriale di Catherine David all’interno dell’esposizione Unedited History. Iran 1960-2014? Sicuramente quella di definire la storia della modernità nel mondo delle arti visive in Iran nel corso della seconda metà del XX secolo. Questo processo, profondamente influenzato dalla realtà politica e sociale iraniana dagli anni Settanta fino ai giorni nostri, è strutturato attraverso tre diverse sequenze: gli anni della “modernizzazione” (1960-1978), il decennio della Rivoluzione e la guerra Iran-Iraq (1979-1988) e le implicazioni contemporanee che i due precedenti avvenimenti hanno portato (1989-2014).
Grazie a un particolare focus sul festival delle arti di Shiraz-Persepoli (che si propose come nuovo modello globale e terzomondista per accogliere le distanti voci asiatiche e africane nel dibattito culturale internazionale contrapponendole alle espressioni e alle dinamiche occidentali) la mostra reinventa una tradizione documentaria e artistica impegnata a confrontarsi con gli individui e con il mondo.
If I Choose Silence, Only the Sound Remains | Pubblicazione
Elena Marcon, Myrta Mognoni, Chiara Meloni, Martina Pozzari, Mibong Kim
If I choose silence [...], only the sound remains, versi tratti da due differenti raccolte di poesie, “Captured” e “Let Us Believe in the Beginning of the Cold Season” (1974) di Forough Farrokhzad, poetessa persiana che ha sfidato le autorità parlando della situazione delle donne all’interno della società iraniana degli anni Cinquanta-Sessanta.
Un raccoglitore di immagini d’archivio, articoli, traduzioni, interviste inedite, e un sunto degli accadimenti storici dalla rivoluzione del 1979 ad oggi. Tra i contributi: intervista a Mashid Mohadjerin (1976), artista multidisciplinare iraniana il cui lavoro documentaristico mescola la sfera soggettiva, i luoghi della sua infanzia e il contesto pubblico delle donne iraniane. Un articolo di impronta tessile scritto dalla ricercatrice universitaria Farimah Bayat e da Nancy Hodges, vicepresidente per la pianificazione dell’Associazione internazionale del tessile e dell’abbigliamento (ITAA), intitolato Basta dire “no” all’obbligo hijab: Esplorare le motivazioni e i significati del Bad-Hijabi in Iran. Un altro contributo, Rappresentazione dell’identità islamico-iraniana nell’arte iraniana contemporanea, è un saggio storico-artistico di impronta psicologica, scritto da Kazem Khorasani, artista visuale e calligrafo, assieme ad Asghar Kafshchian Moghdam, professore di arti visive all’Università di Teheran.
DONNA VITA LIBERTÁ. Voci della rivoluzione iraniana | a partire dalle ore 15 | spazi esterni edificio T | Campus NABA
Performance ||| Marilù Falconieri con Mahnaz Ekhtiary, Chiara Smedile, Giulietta Pedraza, Francesca Palmieri.
Contributi artistici ||| Camilla Gurgone, Veronica Fiordi, Isabelle Noyer e Sara Verde, Francesca Bullo, Michelle Ucci e Iris Volpato, Katherine Teran, Luca Celè, Yuzhe Wang, Hu Jiaoming, Yuming Zhou, Xizi Du, Liu Tian.
Contributi teorico-testuali e visuali ||| Francesca Barberi, Elisabetta Bottura, Elisabetta Calligaro, Francesca De Chiara, Francesca Grossi, Nicolò Martinelli, Irene Follador, Elisa Giulia Bianchi, Alessia Riva e Yanbo Wang, Rosaria Murolo e Veronica Pirovano, Matilde Crucitti, Barbara Niniano e Federica Rizzo, Diego Giannettoni, Jacopo Bosetti, Lucrezia Vimini, Noemi Tumminelli, Zhou Xingyu.
Contributi editoriali ||| Elena Marcon, Myrta Mognoni, Chiara Meloni, Martina Pozzari, Mibong Kim.
Display e Graphic Design: ||| Marialetizia Cagnola, Alberto Navilli, Martina Pumpel, Alex Parrotto, Nicolò Soligo, Sun Xiaopei, Zhang Nan, Elena Marcon, Francesca De Chiara.
Special Thanks ||| Mahnaz Ekhtiary e Iranian Women of Graphic Design.
DONNA VITA LIBERTÁ. Voci della rivoluzione iraniana, rappresenta il momento conclusivo del corso teorico di Allestimento II, tenuto da Elvira Vannini con gli artisti e i curatori del 2^ anno del Biennio Specialistico in Arti Visive e Studi Curatoriali di Naba, Nuova Accademia di Belle Arti di Milano.