Dora García – Conosco un labirinto che è una linea retta
Le sue opere ruotano attorno a un’incessante negoziazione tra colui che parla e colui che ascolta, tra autore e lettore, tra attore e pubblico e, allo stesso tempo, creano un’ambivalenza tra finzione e accadimento spontaneo, analizzando il senso del limite tra realtà e rappresentazione.
Comunicato stampa
Le storie di Dora García (Valladolid, Spagna, 1965. Vive e lavora a Oslo), contrassegnate da un copione sommario e da un finale aperto, indagano quale impatto abbiano la lingua, la letteratura, la traduzione e l’inconscio nelle costruzioni sociali e nelle identità. Le sue opere ruotano attorno a un’incessante negoziazione tra colui che parla e colui che ascolta, tra autore e lettore, tra attore e pubblico e, allo stesso tempo, creano un’ambivalenza tra finzione e accadimento spontaneo, analizzando il senso del limite tra realtà e rappresentazione.
Il progetto Conosco un labirinto che è una linea retta, sviluppato dall’artista per i Padiglioni 9A e 9B del Mattatoio di Roma, e curato da Angel Moya Garcia, si concentra sull’idea di evento, durata e ripetizione. I due padiglioni si specchiano, sdoppiandosi attraverso la psicoanalisi e la narrativa labirintica, e si articolano in un allestimento binario – da un lato una proiezione, dall’altro una serie di performance – come due sentieri che si biforcano e che si congiungono solo attraverso un’osservazione attiva che invita il visitatore a non considerare l’indifferenza come un’opzione praticabile e a decidere coscientemente se entrare in una situazione o sottrarsi ad essa.
Lo sdoppiamento, il riflesso, la differenza tra certezza e illusione insieme all’incursione del fantastico nel reale evidenziano quanto sia labile la distinzione tra i tre regni della soggettività (i registri dello psichico lacaniano: simbolico, immaginario e reale) per ricostruire un mondo oggettivo. Il racconto Tlön, Uqbar, Orbis Tertius di J.L.Borges, da cui proviene il titolo del progetto, ne è un esempio folgorante, in quanto è la storia di un’apocalisse concettuale. La trama segue le ricerche di un anonimo autore attorno al mistero che circonda la regione di Uqbar la cui letteratura possiede un registro prettamente fantastico, con alcune storie ambientate in una terra immaginaria denominata Tlön. Tlön è una finzione nella finzione, l’idea vagheggiata da una mente lontana che abita un regno indefinito, eppure alla fine compare nel mondo reale e lo sovverte. Un ordito che, sebbene labirintico, è fatto da uomini e “destinato a essere decifrato da uomini”. La verità sull’immaginazione è svelata: noi viviamo di essa. Le convenzioni sociali, le identità, la storia, qualsiasi fatto noi riteniamo oggettivo è in realtà organizzato dalla tessitura dell’immaginazione.
Il Padiglione 9A sarà occupato dalla proiezione del film Segunda Vez. Il film intreccia politica, psicoanalisi e performance e orbita intorno alla figura di Oscar Masotta, principale artefice della diffusione del pensiero lacaniano nei paesi di lingua spagnola e teorico cardine dell’avanguardia argentina dagli anni ‘50 agli anni ’70. Il titolo trae origine da un racconto omonimo scritto da un contemporaneo di Masotta, Julio Cortázar, che racconta il clima di psicosi e di incertezza causato dal trauma delle sparizioni in Argentina.
Il Padiglione 9B, invece, è impegnato per tutta la durata del progetto da una serie di performance “delegate” che si alternano e si intrecciano, usando tutto lo spazio del padiglione come arena grazie a una serie di disegni realizzati sul pavimento che scandiscono le sequenze, determinano il luogo delle performance e delimitano il proprio spazio anche quando non sono attive.
Il centro dello spazio diventa l’arena per Due pianeti si sono scontrati per migliaia di anni in cui due performer occupano lo spazio determinato dal disegno sul pavimento: un grande cerchio bianco e un secondo cerchio negativo all'interno del primo. Evocando muri metaforici, i disegni ricordano come anche i muri meno visibili spesso determinino il corso delle nostre azioni. La performance La partitura Sinthomo trasforma i ruoli di oratore e ascoltatore in quelli di lettore e danzatore. La partitura, in questo caso, si basa su una traduzione in italiano del seminario XXIII di Jacques Lacan, Le Sinthome (1975-1976), una serie di dieci lezioni che attingevano dagli scritti di James Joyce per approfondire il concetto di lingua e di inconscio. In fondo allo spazio, in Il labirinto della libertà femminile, una performer legge poesie scritte da donne, modulando la propria voce tra la declamazione al pubblico e il sussurro privato. Lo spazio di questa performance è definito da un cerchio bianco sul pavimento, un testo scritto con le parole “Position, Voice, World” (una citazione della scrittrice e attivista femminista chicana Gloria Anzaldúa) e un piccolo disegno su oro raffigurante una figura femminile smembrata. Infine, il progetto si completa con tre performance nomadi che si spostano per tutto lo spazio e che si dilatano negli esterni: La sfinge, Il messaggero e Il piccolo oggetto "a". Nella prima una donna seleziona un visitatore (apparentemente ignorando gli altri) e gli propone un gioco: rispondere a una serie di domande con un sì o un no. Se la risposta è corretta, viene formulata la domanda successiva. Se la risposta è sbagliata, il gioco finisce. Solo la sfinge conosce le risposte e ciò che determina se una risposta è corretta o meno rimane un enigma. Nella seconda un performer cerca (disperatamente) di farsi aiutare dai visitatori a decifrare un messaggio stampato su un vecchio pezzo di carta. Il performer corre, si nasconde, si alza in piedi, dando l'impressione di portare un fardello di cui deve liberarsi a qualunque costo. Nella terza un performer cammina per lo spazio con un pugno chiuso. Di tanto in tanto guarda attentamente uno dei visitatori, si avvicina e apre il pugno, mostrando brevemente un piccolo oggetto d'oro sul palmo della mano che viene richiusa di nuovo velocemente.
Questo nuovo progetto espositivo del ciclo Dispositivi sensibili ci trasporta in una dimensione misteriosa e affascinante, un labirinto che è una linea retta di apparenti divagazioni e allusioni dove simmetria e disordine compongono un disegno i cui contorni si scoprono nel tempo, nella durata e nella ripetizione. Un tentativo di sostituire la memoria in quanto ripetiamo quello che rifiutiamo di ricordare, un accenno alla fragilità dell’esistenza e un richiamo ai costanti segni che rinunciamo a vedere o interpretare e che ci portano a un’eterna ripetizione della storia.
Il progetto espositivo, promosso da Roma Culture (culture.roma.it ), è ideato e organizzato dall’Azienda Speciale Palaexpo.
Collaborazioni
In collaborazione con la Reale Accademia di Spagna a Roma
Ringraziamenti
Si ringraziano in particolar modo Ángeles Albert, Direttrice della Reale Accademia di Spagna a Roma e Accademia di Belle Arti di Roma.
Si ringrazia inoltre Pavimenti RCM per il supporto tecnico.
Biografia
Dora García è un'artista, insegnante e ricercatrice che vive e lavora a Barcellona e Oslo. Come artista, ha partecipato a numerose mostre d'arte internazionali, tra cui Münster Skulptur Projekte (2007), Biennale di Venezia (2011, 2013, 2015), Biennale di Sydney (2008) Biennale di San Paolo (2010), Documenta 13 (2012) Biennale di Gwangju (2016), osloBiennalen, Art Encounters Timisoara, e AICHI Triennale (2019). Nel 2021 svilupperà progetti presso Fotogalleriet, Oslo, Netwerk Aalst), oltre che al Mattatoio di Roma e per il festival Colomboskope, Sri Lanka. Il suo lavoro è in gran parte performativo e si occupa di questioni legate alla comunità e all'individualità nella società contemporanea, esplorando il potenziale politico di posizioni marginali, rendendo omaggio a personaggi eccentrici e antieroi. Questi personaggi eccentrici sono stati spesso al centro dei suoi progetti cinematografici, come The Deviant Majority (2010), The Joycean Society (2013) e Segunda Vez (2018).
Il progetto Conosco un labirinto che è una linea retta di Dora García è il quarto capitolo del programma triennale Dispositivi sensibili, ideato da Angel Moya Garcia per il Mattatoio di Roma e incentrato sulla convergenza fra metodi, estetiche e pratiche delle arti visive e delle arti performative, attraverso un modello di presentazione che si evolve costantemente.