Drago Cerchiari – Selected works
Nel ciclo Fences and trees la pittura dell’artista oscilla tra fauvismo ed espressionismo, le opere della serie Impronte e respiri nascono invece dalla collaborazione con il fotografo Mario Bobba.
Comunicato stampa
NOTA INTRODUTTIVA: Drago Cerchiari allo Chagall: alberi, impronte e respiri. Nella suggestiva cornice dell’Atelier Chagall, una piccola galleria incastonata in uno dei più caratteristici cortili della Milano dei Navigli, tra la Darsena e il Vicolo de Lavandai, vengono presentate una serie di opere selezionate di Drago Cerchiari. Si tratta di opere tratte da due cicli: “Fences and trees” e “Impronte e respiri”. Nel primo ciclo la pittura di Drago Cerchiari, che non indulge all’aneddoto descrittivo e poco concede a superflue divagazioni icastiche, si rivela una pittura inquieta, in continuo movimento, all’eterna ricerca di una cifra stilistica originale e originaria. E anche quando trova una chiave interpretativa feconda ed efficace, dalla quale scaturisce un intero, prolifico ciclo, come, ad esempio, i quadri di ‘Canada in fiamme’ o di ‘Alberi e steccati’, questa si declina in variazioni su tema sempre nuove e talvolta spiazzanti. La tensione in Cerchiari è duplice: da una parte una volontà di sintesi capace di cogliere l’essenza formale delle cose raffigurate (alberi, figure, nature morte, vedute di città); dall’altra l’istintiva ricerca di un gesto pittorico in grado di proiettare sulla tela l’ombra della propria anima, l’impronta della propria personalità. Nel ciclo dedicato ad ‘Alberi e steccati’ lo stile oscilla tra reminiscenze fauve e tentazioni chiariste, anche se costanti sono il ritmo sincopato e le vibrazioni tonali delle pennellate e l’uso del graffio verticale a spezzare le campiture di colore e a dare slancio dinamico alle composizioni. La luce è protagonista in questi lavori: da un canto una luce fredda, tenue, azzurrognola, che si sfalda e si sfarina nelle opere di ispirazione chiarista; dall’altro una luce calda rossastra, catturata e riflessa, espansa in ampie macchie di colore nei quadri di orientamento fauve.
Il respiro della natura si fa colore e segno e, al tempo stesso, in quel colore e in quel segno l’anima del Drago si infrange e si rifrange, come in un gioco di specchi. Nella produzione più recente, nata dalla collaborazione col fotografo Mario Bobba, Drago Cerchiari torna a riflettere sul rapporto tra rappresentazione fedele della realtà e interpretazione libera e poetica, utilizzando e confrontandosi con un nuovo mezzo: la fotografia. Senza rinunciare alla pittura ‘olio su tela’, egli rielabora grandi fotografie di mani che afferrano frutti o di paesaggi di luce mediterranea, giocando sul rapporto tra la massima definizione e messa a fuoco che consente il mezzo fotografico e le infinite possibilità evocative e ‘atmosferiche’ dello ‘sfumato’ pittorico, utilizzando al massimo le possibilità di diluizione della pittura ad olio. Le opere restano così in bilico tra una presenza prepotente e quasi tangibile delle immagini raffigurate e una loro languida evanescenza. Affiorano visioni che sono al tempo stesso concrete e evocative. E di tale voluta, perseguita, programmata ambiguità si nutrono tutte le opere recentissime. Si tratta di un percorso da poco intrapreso che già però mostra tutta la sua potenzialità espressiva. Ed è ancora la luce ad essere protagonista, una luce a tratti netta, precisa, tagliente, chirurgica, che batte sulle cose e ne definisce i contorni senza incertezze. A tratti è invece una luce soffusa, flebile, morbida, che sfuma i contorni e lascia spazio all’immaginazione. La luce del Drago è nebbia e spada.
Virgilio Patarini