Ed è sempre musica
Mostra collettiva.
Comunicato stampa
Dal 4 marzo al 30 aprile 2021 la Galleria 10 A.M. ART di Milano, nella sua sede di Corso San Gottardo 5, organizza la mostra Ed è sempre musica. Luigi Veronesi, Giovanni Pizzo, Lucia Di Luciano.
Così scrive il curatore Paolo Bolpagni:
L'idea è di accostare le opere di tre artisti che, pur di generazioni e provenienze diverse (rispettivamente nord, centro e sud dell'Italia), tra gli anni Sessanta e Ottanta del Novecento condussero ricerche sul rapporto tra suono, forma e colore, elaborando un linguaggio astrattista capace di tradurre visivamente, pur con presupposti differenti, le espressioni musicali.
Luigi Veronesi, nato a Milano nel 1908, fin dal periodo giovanile intrattenne importanti rapporti con compositori come Riccardo Malipiero junior (oltre che con il critico Luigi Rognoni, tra i primi grandi studiosi di dodecafonia in Italia). Dopo l'esperienza dei film "astratti", realizzati tra il 1940 e il 1942 colorando a mano le pellicole cinematografiche, con l'obiettivo di dar vita a una "pittura in movimento" dalla forte impronta ritmico-musicale, negli anni Cinquanta Veronesi cominciò a lavorare alla possibilità di tradurre i suoni in colori - e viceversa - sulla base di princìpi matematici e scientifici, secondo una corrispondenza oggettiva e non estrinseca. Ne nascerà, nel 1968, il sistema di trasposizione tramite il quale, a partire dal 1970, saranno create le "visualizzazioni cromatiche" della musica, che andranno a costituire un settore fondamentale della produzione dell'artista nell'ultimo trentennio della sua carriera. Grazie anche alla consulenza di amici come Vittorio Fellegara, insegnante di composizione al Conservatorio di Bergamo, di Mario Cazzola, fagottista dell'orchestra del Teatro alla Scala, e dello stesso Luigi Rognoni, Veronesi elaborò un metodo che, pur con evidenti limiti dal punto di vista della coerenza scientifica, gli consentì di produrre opere di notevole fascino e qualità. Il suo ingegnoso "sistema", peraltro, ha un'indubbia efficacia ai fini dell'analisi musicale, evidenziando la possibilità di offrire, tramite le "visualizzazioni cromatiche", una comprensione immediata e istantanea della struttura ritmica di un brano anche a chi non ne conosca la grammatica e il linguaggio. Di fatto, si tratta di partiture compilate in una notazione alternativa rispetto a quella standard, in cui, in luogo dei segni grafici del pentagramma, delle note e delle pause, sono utilizzati rettangoli colorati. Nella mostra della Galleria 10 A.M. ART sono presentati alcuni dei più importanti cicli di visualizzazioni cromatiche realizzati da Veronesi, ossia quelli del Contrapunctus II a quattro voci in re minore da Die Kunst der Fuge BWV 1080 di Johann Sebastian Bach (serie di undici pezzi, del 1970), della 2ème sarabande di Erik Satie (sette elementi, 1982-1983) e del poema per pianoforte op. 72 Vers la flamme di Aleksandr Skrjabin (ciclo di quattordici collages su cartoncino, del 1983-1985). Sono inoltre esposti alcuni studi che Veronesi eseguì tra il 1968 e il 1970 per sintetizzare i criteri adottati per la resa grafica dei valori e delle pause, con tabelle di corrispondenza fra altezze musicali e gamma cromatica e tra luminosità e saturazione dei toni in relazione alle frequenze sonore; infine, databile al periodo compreso fra il 1986 e il 1994 circa, l'incompiuto tentativo di trasporre le misure dalla 23 alla 32 del primo movimento del Concerto per fagotto e orchestra in la minore RV. 498 di Antonio Vivaldi, nella trascrizione per fagotto e pianoforte di Karl Heinz Fuessl.
Insospettabilmente vicini, sotto il profilo formale, alle visualizzazioni veronesiane, sono, al di là dei coevi lavori dello svizzero Jakob Weder (1906-1990) e della statunitense Jack Ox (1948), che condussero ricerche indipendenti e ignare le une delle altre, molti dei Sign-Gestalt di Giovanni Pizzo (Veroli, Frosinone, 1934) e delle Cromo strutture e delle Variazioni cromatiche di Lucia Di Luciano (Siracusa, 1933), di cui sono esposti, nella mostra alla Galleria 10 A.M. ART, alcuni ragguardevoli esemplari di datazione compresa fra il 1972 e il 1990, in un accostamento finora inedito e, per non pochi versi, sorprendente. Fondatori ed esponenti prima del Gruppo 63 e poi dell'Operativo R, i due artisti, legati da più di un cinquantennio in un sodalizio sia professionale sia sentimentale, superata la fase dell'utilizzo esclusivo del bianco e nero, reintrodussero stabilmente il colore nei propri dipinti all'inizio degli anni Settanta. Per Giovanni Pizzo l'espressione Sign-Gestalt rimanda alla nozione di un "segno-forma" impiegato come elemento primario di un alfabeto visivo articolato secondo progressioni ritmico-musicali di moduli geometrici, che, in alcuni casi - pensiamo in particolare a Sign-Gestalt n. 156 del 1976, a Sign-Gestalt n. 197 del 1977, a Sign-Gestalt E64 del 1981 e a Sign-Gestalt E92 del 1982 - mostrano evidenti affinità con le visualizzazioni di Luigi Veronesi. Altrettanto si può dire di numerosi lavori di Lucia Di Luciano: per esempio Cromo struttura del 1978 e Articolazione strutturale discontinua del 1980, basati sul modulo del rettangolo, che "scorre" in senso orizzontale da sinistra a destra su fasce sovrapposte, alla stregua di una partitura di forme colorate, costruita con procedimenti pittografici anziché notazionali. Va anche ricordato che la musica, nella vita e nella carriera di Giovanni Pizzo e di Lucia Di Luciano, non è mai stata un elemento estraneo o secondario. Non è molto noto, ma entrambi, già negli anni Sessanta, intrattennero uno stretto rapporto con il compositore veneziano Pietro Grossi, fondatore dello Studio di Fonologia di Firenze e pioniere in Italia dell'uso dell'elettronica nella musica: a lui si devono "sonorizzazioni" e installazioni acustiche realizzate ad hoc per mostre dei due artisti. In almeno un'occasione, questa modalità per così dire sinestetica fu posta in atto da Pizzo e Di Luciano utilizzando tracce di Iannis Xenakis, all'epoca - stiamo parlando sempre degli anni Sessanta - ancora attivo nello studio di Le Corbusier, i cui concetti matematici applicati all'architettura furono di grande importanza nell'elaborazione del linguaggio musicale, allora semisconosciuto in Italia, che avrebbe poi reso celebre il greco-francese Xenakis. Anche successivamente i due artisti furono in contatto con compositori e, in generale, prestarono un'attenzione non comune - e assai precoce e rabdomantica - alle permutazioni del suono tipiche dei minimalisti (l'esempio più famoso è quello di Philip Glass) e all'adozione della sezione aurea e della serie di Fibonacci, negli anni Settanta, da parte di molti compositori statunitensi. Per citare ulteriori riprove di tale vicinanza all'universo musicale, si può rammentare che Lucia Di Luciano dedicò un proprio dipinto a Salvatore Sciarrino, ispirandosi a un suo brano ascoltato alla radio, e inoltre ha cooperato in più di un'occasione con Mauro Bagella, allievo di Domenico Guaccero, cofondatore dell'Associazione Nuova Consonanza di Roma; mentre Giovanni Pizzo, negli anni Novanta, realizzò una serie di lavori per la prima italiana, a Roma a Villa Medici, di Four walls di John Cage, la prima opera, risalente al 1944, in cui fu introdotto il "silenzio lungo", in anticipo rispetto al celebre 4'33''. Entrambi lavorarono anche con il compositore Vittorio Gelmetti.
La presenza della musica all'interno della propria produzione artistica si rivela dunque un tratto distintivo che accomuna Luigi Veronesi a Giovanni Pizzo e Lucia Di Luciano. Questa mostra della Galleria 10 A.M. ART di Milano consente di aprire un orizzonte di esplorazione nuovo su un aspetto forse non abbastanza considerato.
Note biografiche:
Luigi Veronesi nacque a Milano nel 1908. Si iscrisse all'istituto tecnico, seguì un corso per disegnatore tessile e studiò pittura sotto la guida di Carmelo Violante. Si avvicinò, giovanissimo, agli artisti che gravitano attorno alla Galleria Il Milione, dove, appena diciassettenne, espose per la prima volta opere influenzate da Sironi e da Modigliani. Accostatosi all'astrattismo, nel 1934 aderì al gruppo Abstraction-Création. Fondamentali, in questo periodo, i suoi incontri con Josef Albers, László Moholy-Nagy, Max Bill e Jean Tschichold, che gli consentirono di assimilare gli insegnamenti del Bauhaus e di conoscere la produzione di Malevič, El Lissitskij e Rodčenko. Nel frattempo lavorava con la rivista "Campo Grafico". Collaborerà anche con "Casabella" e "Ferrania" e, nel dopoguerra, con "AZ". Molte sono le sperimentazioni compiute tra gli anni Trenta e Quaranta, durante i quali maturò un personale astrattismo geometrico-costruttivista, con un'apertura a differenti àmbiti espressivi: pittura, fotografia, incisione, cinema, scenografia etc. Si interessa anche di musica: nel 1936 realizza le celebri 14 variazioni di un tema pittorico, con collage e inchiostro di china su carta, ora nella collezione del MART a Rovereto; saranno riprodotte in volume tre anni dopo, insieme con le 14 variazioni di un tema musicale, composte nel 1938 da Riccardo Malipiero junior ispirandosi all'opera di Veronesi. Nel 1939 questo ciclo di lavori fu poi esposto nella sua mostra personale che si tenne alla Galerie l'Équipe di Parigi. Nel 1947 entrò nel gruppo fotografico La Bussola, firmandone il manifesto programmatico; del 1948 è invece l'adesione al M.A.C. (Movimento Arte Concreta). Negli anni Cinquanta e Sessanta Veronesi riceve i primi importanti riconoscimenti (premi, partecipazioni alle Biennali di Venezia e di San Paolo del Brasile, mostre personali in Italia e all'estero) e attraversa una parentesi di inquieta apertura ad alcune istanze dell'Informale, poi superata nel ritorno a un nitido geometrismo lirico-costruttivista. Comincia inoltre la sua attività didattica all'Accademia di Belle Arti di Brera (dove "erediterà" il corso di cromatologia introdotto da Mario Ballocco), e poi alla Nuova Accademia di Milano. Negli anni Ottanta e Novanta, al rinnovato interesse per la fotografia e il cinema si aggiunsero operazioni ascrivibili al campo dell'arte applicata, con affreschi, progetti di piazze e interventi grafici in esterni. Si spense a Milano il 25 febbraio 1998.
Giovanni Pizzo è nato a Veroli (Frosinone) nel 1934, Lucia Di Luciano a Siracusa nel 1933. Entrambi approdati a Roma, lui si laureò in architettura nel 1955, lei frequentò l'Accademia di Belle Arti, dove avvenne il loro incontro. Si sposarono nel 1959. Nel 1963, insieme con Francesco Guerrieri e Lia Drei, fondarono il Gruppo 63, che, nell'àmbito delle ricerche cinetico-programmate, si diede un'impronta fortemente razionalistica, con un'impostazione logico-matematica che mirava alla definizione di moduli geometrici che permettessero all'arte di coniugarsi con l'architettura e il disegno industriale. Questo sodalizio a quattro ebbe breve durata, a causa di divergenze programmatiche. Già nel 1964 Giovanni Pizzo e Lucia Di Luciano diedero vita all'Operativo R, coinvolgendo nella nuova compagine Carlo Carchietti, Franco Di Vito e Mario Rulli. I lavori da loro prodotti in quel periodo prendono le mosse dall'analisi di processi visivi di matrice gestaltica. La componente della ricerca scientifica convive con una tecnica di grande attenzione qualitativa. La lettura dei testi di Bertrand Russell sulla logica matematica da una parte, la volontà di conformarsi a rigorose regole geometriche dall'altra determinarono l'elaborazione di un "segno-immagine" dove il colore, in quanto fattore potenzialmente emotivo e soggettivo, è bandito. I supporti sono perlopiù masoniti o comunque tavole, le cui dimensioni si rifanno ai rapporti proporzionali della sezione aurea. Nelle opere di Lucia Di Luciano si determina spesso un effetto di sovrapposizione di griglie, che conferisce all'immagine un'evidente pluridimensionalità. Le composizioni di Pizzo presentano nel titolo il prefisso Sign-Gestalt, che allude proprio alla nozione di "segno-forma": una sorta di elemento primario di un alfabeto fondamentale, articolato alternativamente secondo progressioni e strutturazioni ritmiche di moduli geometrici. I due artisti sfruttano le infinite possibilità combinatorie di tali procedimenti, che rivelano talvolta anche chiari risvolti musicali. Verrà poi, per Lucia Di Luciano e Giovanni Pizzo, il ritorno al colore: in maniera non sistematica negli anni Sessanta; in seguito, con la graduale introduzione dei toni primari. Non sarà un tradimento degli assunti originari, ma un approfondimento di un'indagine sulla percezione ottica, che Di Luciano porrà in pratica, per esempio, nella serie dei Gradienti, opere ricche di verve immaginativa unita al rigore scientifico, e Pizzo nella propria fase cosiddetta "geometrico-razionale", durante la quale scoprirà le possibilità dell'Atlante di Albert H. Munsell per l'arricchimento dell'analisi cromatica. Le ricerche di entrambi proseguono tuttora.