Egidio Castelli – Della materia e del segno
L’arte di Egidio Castelli è strettamente legata all’espressionismo astratto e all’action painting, ama il dripping di Pollock e risente dell’informale materico ma, ancor più che del gesto potente di Kline o pieno di Rothko, è in sintonia con l’infinito segnico di Tobey e di Klee o il segno lineare di Tancredi.
Comunicato stampa
Egidio Castelli nasce il 7 novembre 1947 a Tradate, in provincia di Varese, da padre muratore e madre casalinga, ultimo di tre figli. Frequenta l’Istituto Tecnico Giulio Riva di Saronno, diplomandosi nel 1967 Perito Industriale Meccanico. Negli anni Sessanta, visita Venezia, Padova, Verona, Firenze, città che lo
entusiasmano dal punto di vista artistico; ma sono anche gli anni della contestazione giovanile, con pochi soldi in tasca e vivendo
di Beat Generation e rock inglese. Nel 1967 adempie al servizio militare come paracadutista presso la Scuola di Pisa e, nel 1968, viene assunto nella sezione progetti del Centro Studi della BTicino di Varese per il nuovo settore dei componenti industriali.
Dal 1973, anno del suo matrimonio, si interessa sempre più al mondo dell’antiquariato e, dal 1975, un po’ anche per passare le notti insonni dovute alla nascita del figlio Filippo, inizia a copiare le opere di alcuni tra i grandi nomi dell’impressionismo, come Corot, Pissaro e Sisley. Con gli anni Ottanta, approfondisce la
conoscenza dei grandi maestri, sbizzarrendosi per musei tra Milano, Bergamo, Como, Vercelli e Torino; segue aste, mostre e fiere d’arte, inizia ad esplorare anche i maggiori musei europei,
da Parigi a Londra, da Monaco a Bruxelles.
Colleziona dipinti fiamminghi del Seicento, si appassiona dal 2004 all’arte dei maestri vetrai di Murano, mentre la sua attività si spende tra l’azienda che nel frattempo ha creato, Tubifal, e la passione per l’arte. Alla fine del 2006 sperimenta nuove tecniche pittoriche e, a gennaio 2008, pubblica il volume dei lavori realizzati nel corso del 2007, esponendo alla Fiera d’Arte Contemporanea di Bergamo. Numerose sono le sue partecipazioni a mostre personali e collettive in Italia e all’estero, tra cui nel 2008 le personali presso la Galleria Previtali di Milano, alla Galleria Casa d’Arte di Vercelli; nel 2009 la personale alla Galleria Art & Wine di Prarolo (VC), le partecipazioni alla New York Broadway
Gallery e alla Chicago Kasia Kay Art Projects Gallery. A settembre del 2009 Castelli ha esposto alla Rocca di Fontanellato, con il Patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Fonta-
nellato, tra aprile e maggio 2010 all’Antico Palazzo della Pretura di Castell’Arquato. Nel 2011 espone alla Fiera Arte Contemporanea di Bergamo e all’Internazionale di Innsbruk. Partecipa a marzo con una mostra collaterale alla Fiera d’Arte Pordenone, a maggio tiene una personale alla Fondazione Matalon di Milano.
a settembre- ottobre espone alla Libreria Bocca Galleria Vittorio Emanuele di Milano.
L’arte di Egidio Castelli è strettamente legata all’espressionismo astratto e all’action painting, ama il dripping di Pollock e risente dell’informale materico ma, ancor più che del
gesto potente di Kline o pieno di Rothko, è in sintonia con l’infinito segnico di Tobey e di Klee o il segno lineare di Tancredi. In antitesi ad ogni farsi razionale e programmatico, le sue opere nascono da una dimensione profonda, si può
dire anche atavica e magnetica, che utilizza corposamente, o altre volte con minuzia, svariati tipi di supporto, dalla tela al plexiglass, dal foglio di nylon alla lastra di rame, e diffe-
renti tecniche: acrilici, siliconi, acidi e idropittura. Spesso le percezioni dell’artista alludono a un primordiale magma, traducendosi in un grumo luminoso contornato di nero, quasi il residuo di una meteora che si disintegra, di un abbozzo di vita che implode od esplode, lasciando ruzzoli di materia ai suoi lati. I filamenti ingarbugliati, il nero quasi catrame, che si strozza e poi prosegue in profondi meandri, le increspature, che diventano scintille di luci vibranti, tutto questo si immerge nel pieno del silenzio, grande protagonista di molte opere. Castelli lascia infatti parlare i tratti di colore e i segni, come testimoni del mondo, mentre vaghezze o forti emozioni si traducono in gesti mai violenti, fino a tinte soffuse, gradazioni cromatiche fluide e quasi evanescenti: gialli che si smarriscono in toni sempre più delicati, grigi che assumono mille cadenze, e il nero, piena striscia di colore al centro di molti quadri. Non a caso, in più di un’opera, è la
reminescenza di Venezia, con la sua laguna, il mare grigiastro e azzurrognolo delle giornate nuvolose, stemperato fino alla dolcezza di un rosa tenue, che sa di alba e di tramonto.
Insondabili e misteriosi, i cordoli neri, come strisce di terra tra cielo e mare, tralicci di natura o di un mondo abitato, tagliano l’orizzonte nella loro piena desolazione. Castelli si sbizzarrisce tra macchie, assaggi di colore e segni infinitesimali; non mancano neppure verdi acidi o rossi sanguigni e
il bagliore della luce, totale ed enigmatico, quasi più potente dei neri, margini fossilizzati di un’energia cosmica imperitura, che brulica nei micraocosmici segnici. Non c’è nulla di immoto o statico: le gradazioni di toni, gestualità e ma-
teria si dipanano attraverso un ricordo o uno stato d’animo, si incanalano nel farsi dell’opera, multiforme, sfaccettata e cangiante come il mondo. L’incisività di certi segni si al-
terna a spatolature che si arrotolano su se stesse e si susseguono vorticose; la curiosità per i materiali racchiude un processo alchemico, da fucina, che Castelli ha acquisito nella sua attività di perito industriale, rendendolo abile nel manipolare progetti di componenti industriali, o è scaturita dai ricordi del padre muratore e dal gusto per il collezionismo.
Una delle sue passioni sono infatti i vetri-scultura, opera del maestro vetraio Afro Celotto, capaci di ispirargli sfumature acquose e digradanti, tessuti fluenti, maglie di segni, foreste di sbrodolature nere su sfondi infuocati e brulichii di rossi raggrumati. L’universo di Castelli è un alterno e variegato
manifestarsi, un linguaggio di masse che rimandano alle origini del cosmo, a deflagrazioni e condensarsi di materia, fino al silenzioso perdersi in sottili lembi di luce ancestrale.
L’artista dialoga con i luccichii di minuscoli tocchi di colore che riempiono la superficie nera, mentre incisioni quasi rupestri si stagliano come abbozzi di creature o accennano
a difformi tracce del mondo. Per Castelli si può pertanto parlare, più che di espressionismo astratto, di un espressionismo lirico, in cui la lezione dell’arte si mescola all’intimità delle proprie emozioni: “Quando lavoro nel mio studio
– annota - devo essere solo”.
Elena Giampietri